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Tecla e Marta si ritirarono in casa, ognuna pensando a Giuliano secondo il proprio cuore; meste come se quella solitudine in cui rimanevano, non avesse dovuto mai più finire.

E Giuliano? Avveniva di lui come di tanti, che mentre a casa loro si sta dì e notte in pena per essi; cercano lontano gli spassi e la lieta vita, badando a fare i magnifici della roba sparagnata dai parenti?

Se fosse stato a D...., sotto gli occhi di sua madre, non avrebbe potuto essere più raccolto, nè più severo di vita; e dal dì del suo ritorno a Torino, che facevano appena due mesi, s’era così mutato, da mostrare qualche anno di più. Seguiva di lui, come di certe fanciulle, che dall’oggi al domani ti capitano innanzi indonnite: e pareva un uomo, che già avesse trovato il suo da fare nella vita. Non era malinconico, sì che altri se ne accorgesse, ma schivava ogni spasso; taciturno e solitario, invece d’uno scuolare, che non vedeva l’ora di potersene tornare medico alle sue montagne; lo si avrebbe creduto uno dei tanti fuorusciti francesi, che di quei giorni, andavano randagi coi segni in viso di lutti domestici, o di sconfitte toccate alla loro parte. Faceva le sue passeggiate per le vie più deserte della città; desinava or qua, or là nelle osterie più basse, per ascoltarvi i discorsi dei popolani, i quali già osavano sussurrarsi qualche parola, e mostrarsi vogliosi di vedere i mutamenti del mondo: e il meglio delle sue giornate, studiava nella camera, che aveva presa a pigione sui lembi della città, dalla banda della fortezza; luoghi memori dell’eroismo di Micca, di cui non so se i discendenti rosicchiassero sin d’allora il tozzo di pane, dato dai re di Sardegna alla schiatta del prode. Di certo gli accadde più d’una volta, di meditare sul gran gesto del popolano Canavese, e di vederne l’ombra passare nelle tenebre, colla face in mano, e coll’anima immortale tutta negli occhi. E pensando ai Francesi combattuti da lui, e a quelli che adesso si affacciavano all’Alpi; gli parve che a mutare l’ire dei po-