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o( XXXI )o

Di corni fatta; ed è del ver la porta;
Ond escon de gli Dii le vere voci:
E l’altra, che la porta è de l’inganno,
E che de’ sogni inutili è Nutrice.
     Paride allor fu le marine navi
Elena trasportò da gli ospitali
Letti di Menelao, superbo al sommo
Per le promesse de la Dea Ciprigna,
E gia di fretta d’una guerra il peso
Ad Ilio conducendo. Ermione intanto,
Gittando a’ venti il vel, forte piangeva
Al nascer de l’Aurora: onde prendendo
Spesso le ancelle sue fuori de’ letti
Con grida acute alzò la voce, e disse:
     Donzelle, ov’è, che la mia Madre andossi,
Me qui tra molte lagrime lasciando?
Feri insieme con me prese le chiavi
Del talamo e a dormir meco sen venne
Giacendo in un sol letto, e prese sonno.
     Così disse piangendo, e le raccolte
Figlie piangendo anch’esse in ogni cante
De le porte a l’ingresso ivan tentando
Di confortare Ermione dolente.
     Datti pace, dicean, Figlia, e non piangi:
La Madre sen andò, ma fia, che torni
Tosto che inteso avrà, che tu sospiri.
Non vedi, che s’inchinano già fiacche
Le guancie? poichè ver, che si dimagra
La faccia di colui, che troppo piange.
O ch’ella andò, la retta via smarrendo,
Ad un Coro di Vergini raccolte,