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o( XXIX )o

Tu quest’ingiuria, e non biasmar mie nozze.
Non parlo più: poichè ’l parlar, che giova
Più lungamente a te, che tutto sai?
E tu sai pur, che d’una razza imbelle
E’ Menelao nè v’è tra Greci alcuna
Donna qual tu poichè crescendo l’altre
Con più debili membra, han a’uomin forma,
Ond Donne legittime non sono.
     Così disse; e fissò l’amabil faccia,
Per lungo tempo dubitando, a terra,
Nè rispondea la Ninfa: alfine poi
Cosi stordita alzò la voce e disse:
     O Forestier, de la tua Patria certo
Io volli un giorno contemplar le mura,
Quelle grandi opre de gli eterni Dii,
Che un tempo fabbricar Nettuno, e Apollo.
Volli veder que’ pascoli odorosi
Del solitario Apollo, ove sovente
Egli seguiva i curvi buoi ne’ piedi
Presso a’ ripari de le Porte alzati
Per suo consiglio. Or se da Sparta a Troja
Mi vuoi condur, ti seguirò, siccome
Vuol de le Nozze Citerea Regina.
Ed io non temo Menelao, quand’egli
Intenda poi, ch’io son venuto a Troja
Tal feo patto con lui la bella Ninfa.
Ma la notte ristor de le fatiche,
Del Sol dopo i viaggi suscitando
Il sonno, più rendevalo leggieri
Su l’ormai giunta Aurora; e le due porte
De’ sogni al Mondo Spalancava; l’una