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o( XXVII )o

D’Eroi nutrice, poi che tutta io vidi
La razza de gli Eacidi onorata;
L’illustre Peleo, Telamon famoso,
Patroclo costumato, e’l forte Achille.
     Così a lui disse l’ansiosa Donna,
A cui piacevolmente egli rispose.
     Hai tu sentito nei confin di Frigia
D’una terra parlar, che chiaman Ilio,
Che di mura arricchir Nettuno e Apollo?
Sentito hai tu d’un Rè felice in Troja,
Che da la stirpe fortunata scende
Del figliuol di Saturno? Io quindi nato
La mia paterna schiatta in me dimostro
Col retto oprar. Figlio ben caro, o Donna,
Di Priamo son io, che d’oro abbonda;
Io da Dardano vengo, ed ei da Giove.
E poichè giù dal Ciel scendendo i Numi
Ad albergar con gli uomini, talvolta
Servono lor, benchè immortali sono;
Nettuno e Apollo ne la Patria nostra
Fabbricar mura eterne. Io poi, Regina,
Giudice son di Dee; giacchè formando
Di lor sentenza, io con dolor de l’altre
Lo splendore di Venere anteposi,
E l’amabil bellezza. Ed Ella poi,
Per alto guiderdon de l’opra mia,
Adorabile Sposa a me promise
Una Sorella sua, ch’Elena ha nome:
Per cui sol di passar già tanti mari
Soffersi. Orsù, qui celebriam le nozze:
Citerea lo comanda. Oh Dio! Non farmi