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xxiv - pieraccio tedaldi 53

L’altro so che cognosci, per che sai
che carne non si mangia in nessun lato:
sabato è l’altro, i’non l’ho smenticato;
l’altro è quel di, che a bottega non vai.
Qualunque s’è di questi, mille volte
hai detto del fornir del fatto mio,
e poi mi di’ che hai faccende molte.
Tu hai faccende men, che non ho io;
le tue promesse tutte vane e stolte
le truovo, con sustanza men, ch’un fio.
Dimmi s’tu credi ch’io
ne sia servito innanzi al die iudicio;
quando che non, rinunzio al beneficio!

XXXVI

In riprensione del vizio della pigrizia.

Amico, negligenzia è piú, che danno,
però che disonor drieto si trae;
e ciascadun distintamente il sae,
e spezialmente quei, che seco l’hanno.
Però, quando niente a fare egli hanno,
vanno indugiando d’ora in or piú láe:
cosí facendo, il tempo se ne vae,
e passa il rii, semmana e mese e l’anno.
E odi quel, che ’ncontra a’ niquitosi:
essendo ricchi, pieni e bene agiati,
diventan pover’, miseri e gottosi;
e, mentre al mondo vivon, son chiamati
cattivi, sciagurati e dolorosi:
dunque, in mal punto que’ cotal son nati.
Però te ne correggi, amico mio,
se vuoi piacere al mondo e poi a Dio.