Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/63


atto secondo 51

pure ch’io non mei vegga piú dinanzi agli occhi perché, standoci lui, io non ci son per niente.

Vergilio. Io ci farò fare ogni sforzo, pur che la cosa riesca. E voglio ir ora a parlarne al padrone che debb’esser a un orafo che m’aspetta.

Marchetto. Va’; e ricordati della promessa.

Vergilio. Non si mancare di niente.

SCENA VI

Marchetto solo.

Oh! Io arei fatto el buon colpo, s’io mi levasse dinanzi questo Lorenzino! Io ho fatto questo pensiero. L’una delle due non mi può fallire. S’egli svolle Lucrezia, che non lo credo, messer Giannino non mi può mancare della promessa. Se Lucrezia sta pur dura come suole, e io scoprirò a Guglielmo come costui porta e’ polli in casa sua ed egli, scorrucciato, lo mandare via e forse gli fará peggio; e cosí non mi vedrò piú intorno questa bestia che fa tanto poco conto di me, fastidioso, poltrone! Ma mi par sentir chiamare. Signore! Or veng’a voi il cancaro!

SCENA VII

Panzana servo solo.

Se n’andava alla sua stalla per vedere i suoi cava’; se n’andava alla sua stalla, oh! crisolá!

per vedere i suoi cava’.

Lassami un po’ pigliare un altro boccone di questo marzapane.

Oh! Gli è dolce! Par di quei di Siena. E queste starne?

Uh! Vi calzano? Insomma, questo ghiotton del mio padrone s’intende del viver del mondo. Oh! Io sarei el bel corrivo a