Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/424

412 i bernardi

          gli danno noia. Gli è montato in collera
          con esso meco senza alcuna causa;
          e, benché sia, sopr’ogn’altro uomo, misero
          ed avaro, non par che stimi un picciolo
          e’ sua dumila scudi. Che miracolo
          è questo? I" resto amirato. Ma pensivi
          egli; io gli terrò tanto che ei chieggali.
          Olá, garzoni Non star piú a disagio.
          Tornatene a bottega colla bolgia;
          che vi sarò adesso. Intanto serbala.
          Garzone. Sta ben; cosí farò.
          Giulio. Oh! Ecco Cambio
          Ruffoli. I’ vo’ veder se accoglienzia
          mi fa come costui. Vogl’ir incontroli.

SCENA III

Cambio vecchio, Giulio detto Bernardo.

          Cambio. S’i’non avessi tanta diligenzia
          usata in serrar in quella camera
          quel ribaldo, e di poi serrato l’uscio
          da via a chiavistello, io certissimamente
          direi che costui che incontromi
          viene fusse egli. Oh come è simile
          a lui! Ma che dich’io? Gli è quel proprio.
          Che cosa è questa?
          Giulio. Dio vi salvi, Cambio.
          Cambio. Se’ tu Bernardo che sta qui con Fazio?
          Giulio. Sono, al comando vostro.
          Cambio. I’ mi trasecolo.
          O chi t’ha aperto?
          Giulio. Che «aperto»?
          Cambio. L’uscio
          di casa mia.
          Giulio. Oh! oh! Questa fía simile