Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/383


atto terzo 371

          Cambio. Ma non pensi ch’i’ me ne
          voglia tór giú. I’ vo’ farlo nel bucine
          entrare e, non avendo altro rimedio
          di poi né chi m’aiuti, voglio irmene
          agli Otto; che non mi par ragionevole
          che, senza punizion, a un sia libero
          l’entrar per l’altrui case. Voglio ascondermi,
          da poi ch’i’ arò posto el contrasegno
          alla finestra e posto l’uscio in bilico,
          sotto la scala o nella volta; e, subito
          ch’i’ sentirò ch’e’ sia entrato in camera
          terrena, vel serrerò dentro. E possolo
          fare, che fuori è ’l paletto: onde serrasi
          la camera di fuor. Ma che fatappio
          va qui aggirando? Io so che la Lucrezia
          è pur serrata in luogo che possibile
          non è che mai si faccia alle finestre.
          Qual cosa vuol costui? Non gira nibbio
          mai che non sia presso una carogna.
          Piro. Padron, eccolo a noi. Or afrontatelo.
          Non istate piú a vedere.
          Bernardo. Salvivi
          Iddio, gentiluomo.
          Cambio. E te ancora.
          Che vai cercando qui ’ntorno?
          Bernardo. Piacendovi,
          vorrei mi dicessi come chiamasi
          quel gentiluom che, poco fa, parlavavi
          in Borgo San Lorenzo.
          Cambio. E che impòrtati
          questo?
          Bernardo. Oh! Pur assai.
          Cambio. Oh! Va’ domandane
          lui; ch’i’ ho tanto da far da me proprio
          ch’i’ non tengo conto d’altrui.
          Bernardo. Dispiacemi,