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atto terzo 247


Giacchetto. Anzi, hanno gran disavantaggio.

Ciacco. In che modo?

Giacchetto. Dimandate il pedante che ha studiato per lettera.

Spagnuolo. Io dico che ’l tempo fugge.

Ciacco. Orsú, Giacchetto! Lassando da parte le burle, non piú Giacchetto, ma Livia, sará il tuo nome.

Giacchetto. Livia sará il nome mio? insino a quanto?

Ciacco. Insino che si fornisca l’opera.

Giacchetto. Guarda, adunque, che in chiamarmi non prendi errore scambiando un nome per un altro.

Ciacco. Guarda pur tu di non errar nelle risposte.

Giacchetto. Ascoltami se io saprò fare. Tosto che io sarò dinanzi al vecchio, da poi il risalutarlo con basse e vergognose parole, se esso mi racconterá il suo amoraccio, le sue pene, i sospiri, io, mentre che egli parlará, terrò gli occhi fitti a terra.

Ciacco. Galante!

Giacchetto. Se mi accarezzará, pregará o gettará le mani al collo, datogli allora una occhiatina, cosi, dirò: — Paiovi io,, messere, femina di questa sorte?. — Ciacco. Buono!

Giacchetto. Se vorrá fare il prosontuoso col trar delle mani nel seno o in voler metterle sotto a’ panni, subito io, dandogli delle mani nel petto, dirò: — State fermo, se non che io gridarò. — Ciacco. Benissimo!

Giacchetto. E, se pur gli volesse durare nella ostinazione ^ e io a gridar quanto di gola mi potrá uscire, a trar delle mani e a stringer le cosce.

Ciacco. Tu sei uno imperadore.

Giacchetto. Imperadrice. Ecco che giá comincia a errare.

Ciacco. Tu vali un Melano.

Giacchetto. Se egli sará moderato e onesto, io gli compiacerò finalmente d’un bascio.

Ciacco. Compiacigli anco di due, quattro e sei. Questo importa poco.

Giacchetto. Importa forse assai piú che il resto.

Ciacco. Perché?