Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/212

200 l’aridosia


Marcantonio. Noi vogliamo oggi darti la Cassandra per moglie.

Cesare. Io non desidero altro. Ecco e’ danari d’Aridosio. E vi giuro che, in quanto a me, io desidero lei e non la dote; e di lei mi curo e non di dota; ma io sono necessitato attendere la voglia di mio padre el quale espressamente mi ha comandato che, senza mille ducati, io non 7 la pigli.

Marcantonio. A tutto abbiam pensato. Andiamo a parlare con Aridosio, che, senza lui, non si può far niente. E tu, Cesare, va’ per tuo padre e menalo qua in casa mia dove noi sarem tutti. E li concluderemo ogni cosa, a un tratto.

Cesare. Cosí farò; ma, in questo mezzo, mi vi raccomando.

Marcantonio. Non dubitare: lascia far a me e sta’ di buona voglia. E tu, Lucido, va’ ordina; che tutti ceneremo in casa mia.

Lucido. C’ho io a rispondere a Tiberio?

Marcantonio. Non altro. Farò il bisogno e risponderogli io.

Lucido. Sará fatto.

Marcantonio. Erminio, bussa quella porta Erminio. Tò, tò, tò.

Marcantonio. Picchia forte.

Erminio. Tò, tò, tò.

SCENA Vili

Aridosio, Marcantonio, Erminio.

Aridosio. Chi è?

Marcantonio. Apri, Aridosio.

Aridosio. Chi mi viene a portar qualche cattiva novella?

Marcantonio. Non piú cattive nuove, Aridosio. Sta’ di buona voglia: e’ tua dumila ducati son trovati.

Aridosio. Di’ tu che e’ mia danari son trovati?

Marcantonio. Questo dico.

Aridosio. Pur che io non sia uccellato, come dianzi!