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atto quinto 107

Guglielmo. E voi, messer Consalvo, che v’ha mosso a venire a Pisa?

Messer Consalvo. Vi dirò. Veggendomi giá molto oltre nel tempo e disperandomi del ritorno di Ginevra e della vita vostra, quantunque, giá quattro anni, vi fusse levato il sonaglio, feci pensiero d’andarmene a Roma per veder di ridur Ioandoro in casa nostra acciò che, innanzi la mia morte, riconoscesse le cose sue. Ed eromi venuto a star due giorni in Pisa perché è quasi il camino e amo assai questa cittá.

Guglielmo. E tu, Ioandoro, perché se’ qua giá tanto tempo? e perché ti chiami messer Giannino?

Messer Giannino. Quanto del nome, mio padre, non vi so dir altro se non che, nella corte, mi trovai a poco a poco, senza avedermene a pena, per Ioandoro, esser chiamato messer Giannino. E questo, in Italia, s’usa tutto ’l giorno: troncarsi e imbastardirsi i nomi. Della mia stanza a Pisa io non vi negarò niente, mio padre. Passando io a sorte per Pisa, alla tornata di papa Clemente di Marsilia, viddi alla vostra finestra quella giovene che or volete far morire; e piacquemi tanto che, per amor suo, mi fermai qua alquanti giorni: nel qual tempo me ne accesi di sorte che, scordatomi d’ogni altra cosa, mi levai da la servitú del papa, ne la quale ero.stato molti anni, e venni ad abitare qua per veder s’io potesse mai averla per moglie. E holla sempre trovata si rigida che a pena è da credere. E voi lo sapete quante volte ve l’ho fatta domandare; né mai avete voluto concedermela. Ora io vi prego, mio padre, che mi diciate liberamente se l’ha errato: perché, se l’ha fatto errore, io voglio esser con voi a gastigarla; s’ell’è innocente, vi supplico che voi vi contentiate ch’io la tolga per moglie perché, ancor che io mi trovi un secento scudi d’entrata, nondimeno non mi piace d’esser prete.

Guglielmo. Come s’ell’ha errato? Con quest’occhi propri l’ho vista con quel servitore. E perché crederesti ch’io la gastigasse, se fusse senza peccato?

Messer Giannino. Credevo che forse vi fusse paruto e che fusse da esaminar la cosa.