Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/166

158 il pedante


Rufino. Venite a basso, se volete, che ve Ilo dirò.

Prudenzio. Adesso vengo.

Repetitore. Che bona nova è questa?

Rufino. Come lui viene abasso, lo saperete.

Repetitore. Sono forsi cose d’amore?

Rufino. De grazia, non me Ilo adimandate; ch’io non vel voglio dire, se non ci è lui.

Malfatto. E io starò alla finestra a despetto tuo, si.

Prudenzio. Bene veneritis. Che dite, magnifico?

Rufino. Che me guadagno della buona nova?

Prudenzio. Voglio che ve lucrate, per amor nostro, un paro de chiroteche bene olenti.

Rufino. Che cosa sono queste che me volete dare? Fate ch’io ve intenda.

Repetitore. Un paro de guanti.

Rufino. Che guanti! che guanti! Io mi maraveglio de voi.

Prudenzio. Dite pur, che ve promettemo una bona bibalia.

Repetitore. Cioè, una buona mancia.

Rufino. Orsú! Date qua la mano. Livia, questa vostra vicina..., Malfatto. Olá! Levateve de sotto, ch’io voglio pisciare.

Prudenzio. Non vói stare, no, ignaro, insolente?

Rufino... è vostra moglie.

Prudenzio. Oh fratello! Io te voglio essere servus servorum et osculartene le mani.

Malfatto. Guardate ch’io tiro un sasso.

Repetitore. Oh! tu sei el bel tristo!

Prudenzio. E quando sará questo, patrone mio?

Rufino. Come quando? Adesso; or ora.

Malfatto. Ecco lo sasso. Sentite? olá!

Rufino. Fate stare cheto colui.

Prudenzio. Taci, tu. Ma che avete a far la Signoria Vostra con lei?

Rufino. Son servitore de un suo parente el quale ora è in casa con esso lei e me ha mandato a chiamarvi; che la madre e lui sono contenti che voi la sposiate stanotte per ogni modo.