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atto primo 137


Iulia. Basta. Digli pure ch’io non voglio che mio figliuolo vadia piú alla scola sua; che non vo’ che mei faccia un ruffiano.

Malfatto. È ben ruffiano, si.

Iulia. Chi?

Malfatto. Minio, quello vostro.

Iulia. El malanno che ti venga! Io dico el maestro tuo.

Malfatto. Dico ben cosí io ancora. Ma diteme un poco, o madonna: perché non me date moglie?

Iulia. E che ne vói far della moglie, bestia?

Malfatto. La voglio abracciare nello letto, cosi, vedete.

Iulia. Fatti in lá, poltrone! se non hai voglia ch’io ti dia d’una pianella inel mostaccio.

Malfatto. Perdonateme; ch’alia fé, io ve Ilo vorria fare per bene. E chi dorme con voi, la sera, quando è notte?

Iulia. Vedi adimanda scioca! Per certo, che questa di costui è una dolce pazzia. Non ci dorme nessuno. Perché?

Malfatto. Perché si. Non avete paura delli lenconi, voi, quando state sola?

Iulia. Hai tu altro che dire?

Malfatto. Madonna si; un’altra cosa. Ma io non vorria che voi me dessivo delle pugna.

Iulia. Pensati che, si tu non parli saviamente, ch’io te Ile darò; e saranno buone.

Malfatto. Be’, io non ve la voglio dire. Cagna! Voi séte troppo crudela.

Iulia. Orsú! Vatti con Dio, va’; e di’ al tuo maestro che, se non è savio, io gli farò fare uno scherzo che se pentirá d’avermi mai cognoscíuta.

Malfatto. Orsú! Basta: bon di. Io li farò l’imbasciata e diroli che quello che mena lo volete per voi.

Iulia. Dilli quello che ti pare.

Malfatto. Me aricomando alla Vostra madonna Signoria. Alla fé, per questa croce, se non che me venga mò mò lo cancaro, se non sono giá innamorato de essa. Oh! che l’è bella, diavolo! Oh! quasi che vorria che me mandassi spesso, lo mastro. Ma vorria che me facessi dormire con essa; che so che me