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atto primo 121


Malfatto. È vero, si, e ce porta lo...

Prudenzio. Non lo credi, no, che te farò cedere locum maiori?

Malfatto. Misser no, che non lo credo.

Prudenzio. Bone vir, io credo che la Magnificenzia Vostra in tutto e per tutto e al tutto...

Rufino. State a udire.

Prudenzio... sia da bene, savia e morigerosa e che la Spettabilitá Sua non cogitet ch’un paro nostro, disciplinato nelle liberale arti, incumba a simile vanitá: quia «vanitas vanitatum et omnia vanitas»; che sapete bene che, nocturno tempore, vanno li vespertilioni.

Curzio. Ve possino venire a voi queste biasteme!

Malfatto. Amenne. El cancaro ancora!

Prudenzio. Odite. «Nulli tacuisse nocet, nocet esse locutum».

Curzio. Oh! che bestia è questa?

Prudenzio. E si ve dico che «litem ferre cave».

Curzio. Che volete che cavi? che volete che cavi?

Malfatto. Dice lo vero. Non ce è da cavare qua.

Curzio. Sapete che dico a voi? che, se non séte savio, ve farò vedere che voi non sapete la santa croce.

Malfatto. Non è vero, misser. La sa; e me ha imparato a me sino al «be a ba, be e be».

Curzio. Voi non respondete? Molto state si cheto.

Prudenzio. Non rispondo quia «contra verbosus noli contendere verbis». Ma non crediate ch’io sia tanto aspernato o reietto perché portamo la toga, che me resolvo che non me farete fuori del debito della iustizia e di quanto comandano le municipali leggi sacrosante iustiniane imperatorie per ciò che siamo in una delle inclite cittá del mondo.

Curzio. Voi fate un gran bravare.

Prudenzio. Et in casu necessitatis me ne andarò ad osculare i piedi al clavigero ponitore cellicolo, idest del beatissimo pontifex maximus, in nel suo proprio solio, quando pur me farete fuori del debito; bench’io non multi facio le parole vostre degne di reprensione.