Rime (Guittone d'Arezzo)/O dolce terra aretina

O dolce terra aretina

../O cari frati miei, con malamente ../Tanto sovente dett'aggio altra fiada IncludiIntestazione 17 maggio 2024 100% poesie

Guittone d'Arezzo - Rime (XIII secolo)
O dolce terra aretina
O cari frati miei, con malamente Tanto sovente dett'aggio altra fiada


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XXXIII

Lamenta la decadenza di Arezzo ed ammonisce i concittadini
a porre sollecitamente rimedio al male.


 
     Ahi, dolze terra aretina,
pianto m’aduce e dolore
(e ben chi non piange ha dur core
o ver che mattezza el dimina),
5membrando ch’eri di ciascun delizia,
arca d’onni divizia,
sovrapiena arna di mel terren tutto,
orto d’onne disdutto,
zambra di poso e d’agio,
10refettoro e palagio
a privati e a strani d’onne savore,
d’ardir gran miradore,
forma di cortesia e di piagenza,
e di gente accoglienza,
15norma di cavaler, de donne assempro.
Oh, quando mai mi tempro
di pianto de sospiri e de lamento,
poi d’onne ben te veggio
in mal ch’aduce peggio,
20sí che mi fai temer consumamento?

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     Or è di caro piena l’arca,
l’arna di tosco e di fele,
la corte di pianto crudele,
la zambra d’angostia è tracarca,
25lo refettoro ai boni ha savor pravi
e a’ fellon soavi,
e specchio e mirador d’onni vilezza,
di ciascuna laidezza
villana e brutta e dispiacevel forma,
30non di cavalier norma,
ma di ladroni, e non di donne assempro,
ma d’altro: ove mi tempro?
Sí hai, rea gente, el bon fatto malvagio;
unde al corpo hai mesagio,
35a l’alma pena, e merti eternal morte;
ché Dio t’ha in ira forte:
a te medesma e a ciascun se’ noia;
ed a fermato crede
ch’ai figliuoi tuoi procede
40sí che ver lor trestizia è la tua gioia.
     Ahi como mal, mala gente,
de tutto ben sperditrice,
vi stette sí dolce notrice
e antico tanto valente,
45che di ben tutto la trovaste piena!
Secca avete la vena;
l’antico vostro acquistò l’onor tutto,
voi l’avete destrutto:
voi, lupo ispergitore,
50sí com’esso pastore.
Ma se pro torna a danno ed onor onta,
la perta cui si conta
pur vostr’è, Artin felloni e forsennati.
Ahi, che non foste nati
55di quelli, iniqui schiavi; e vostra terra
fosse in alcuna serra

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de le grande alpi, che si trovan loco;
e lá poria pugnare
vostro feroce affare
60orsi, leoni, dragon pien di foco.
     O gente iniqua e crudele,
superbia saver sí te tolle,
e tanto venir fa te folle,
venen t’ha savor piú che mele.
65Ora te sbenda ormai e mira u’ sedi,
e poi te volli e vedi
dietro da te lo loco ove sedesti;
e dove sederesti,
fossete retta ben, hai a pensare.
70Ahi, che guai hai che trare,
ciascun se ’n sé ben pensa ed in comono,
che onor, che pro, che bono
che per amici e che per te n’hai preso!
Ché s’hae altrui offeso,
75ed altri a te; ché mal né ben for merto
non fu né será certo,
perché saggio om, che gran vol, gran sementa;
ché giá non po sperare
de mal ben alcun trare,
80né di ben mal, né Dio, credo, il consenta.
     Iniqui, aggiate merzede
dei figliuoi vostri e di voi;
ché mal l’averebbe d’altrui
chi se medesimo decede;
85e se vicina né divina amanza
no mette in voi pietanza,
el fatto vostro estesso almen la i metta;
e s’alcun ben deletta
lo core vostro, or lo mettete avante;
90ché non con sol sembiante
né con parlare in mal far vo metteste,
ma con quanto poteste.

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Degn’è donque che ben poder forziate,
né del ben non dottiate,
95poiché nel mal metteste ogni ardimento;
ché senza alcun tormento
non torna a guerigion gran malatia,
e chi accatta caro
lo mal, non certo avaro
100ad acquistar lo bene essere dia.
     Non corra l’omo a cui conven gir tardi,
né quei pur pensi e guardi
a cui tutt’avaccianza aver bisogna;
ché ’n un punto se slogna
105e fugge tempo sí, che mai non riede.
Ferma tu donque el piede,
ché, s’ello te trascorre ed ora cadi,
non atender mai vadi;
né mai dottare alcun tempo cadere,
110se or te sai tenere.
Adonqua onni tuo fatto altro abandona,
e sol pensa e ragiona
e fa come ciò meni a compimento;
ché, se bene ciò fai,
115onne tuo fatto fai;
se no, ciascun tuo ben va in perdimento.
     Ahi, com’è folle quei provatamente
che dotta maggiormente
perder altrui che sé, né ’l suo non face,
120ma che quant’ha desface
a pro de tal, onde non solo ha grato.
Ed è folle el malato,
che lo dolor de l’enfertá sua forte
e temenza di morte
125sostene, avante che sostener voglia
de medicina doglia;
e foll’è quei che s’abandona e grida:
Ah, Dio segnore, aida!

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E folle anch’è chi mal mette ed ha messo
130nel suo vicin prossimano
per om non stante e strano;
e foll’è chi mal prova e torna ad esso.