Numi d'abisso, numi

Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Letteratura Intestazione 4 agosto 2023 75% Da definire

Poichè Amor fra l'erbe e i fiori Bella guancia, che disdori
Questo testo fa parte della raccolta Canzonette di Gabriello Chiabrera


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XIII

Pianto di Orfeo.

Numi d’abisso, numi
     Dell’infernal soggiorno,
     Ecco che a voi ritorno
     Con lagrimosi fiumi.
     5È ver, che a vostra legge
     Io poco intento attesi,
     E follemente errai,
     Ma non vi vilipesi,
     Fu sol che troppo amai:
     10Scusar suolsi l’errore,
     E non sopporsi a pena,
     Quando ad errar ci mena
     Grand’impeto d’amore.
E questo arcier supremo
     15È tra’ mortali in terra,
     Son noti i dardi suoi,
     E costaggiù sotterra
     Son noti anco fra voi.
E se fur miei lamenti
     20Da voi pur dianzi uditi,
     Oggi non sian scherniti,
     Che gli fo più dolenti
     Sul tenor tanto acerbo
     Di mia cruda ventura.
25Numi, deh il ripensate,
     E di mia vita oscura
     Costringavi pietate!
     In van per me s’attende
     Giorno di duol men forte,
     30Se l’amata Consorte
     Per voi non mi si rende.
Giammai tra’ lunghi affanni
     Il lagrimar non resta,
     Onde le guance inondo,
     35Ed ogni cosa è mesta
     Pur per quest’occhi al mondo.
Non ha seco sereno
     Febo s’esce dal mare,
     E se la notte appare
     40Non ha stellato il seno:
     In sul più vago Aprile
     Nembo di pioggia, o vento
     Fammi terribil verno:
     Pietà del mio tormento,
     45Pietà, numi d’Inferno.
Rive ombrose e selvagge,
     Deserte orride piagge,
     Solinghi alpestri monti,
     E voi torbidi fonti,
     50Rupi non giammai liete,
     Or per sempre accogliete

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     Nel caso infausto e reo
     Il sì dolente Orfeo.
Sentite, omai sentite
     55Mie miserie infinite,
     E quel che attrista il core
     Infinito dolore:
     Udite i miei lamenti
     Sì forti e sì possenti,
     60Che non gli prese a scherno
     Il tenebroso Inferno.
Lasso! già volsi il piede
     Vêr la Tartarea sede,
     E piangendo impetrai
     65Lo scampo de’ miei guai;
     Ma mentre che io il rimiro
     Vinto dal gran desiro,
     O miseri occhi miei,
     Io per sempre il perdei.
70Bella, per cui felice
     Visse un tempo, Euridice,
     Benché mesta dimori
     Giù ne’ profondi orrori;
     Non per tanto è men dura
     75Di me la tua ventura,
     Se qual fui di te privo,
     Miseramente io vivo.
Pure ciglia serene,
     Onde lacci e catene
     80Fecer mia libertate
     Serva d’alta beltate,
     Io ben chiamo e richiamo
     Vostri rai, che tant’amo,
     Ma pur sempre lontano
     85Chiamo e richiamo invano.
Cinta il crin d’oscure bende
     Notte ascende
     Per lo ciel su tacit’ali,
     E con aer tencbroso
     90Dà riposo
     Alle ciglia de’ mortali.
Non è riva erma selvaggia,
     Non è piaggia
     Di bei fior vaga e dipinta,
     95Nel cui seno alberghi fera
     Così fiera,
     Che dal sonno non sia vinta.
Io soletto al duol, che spargo,
     Gli occhi allargo,
     100Perchè forse indi trabocchi,
     E pasciuto di veneno
     Più nel seno
     Rio dolore,
     Che appo me non sia felice:
     105Ah che in terra il mio conforto
     Teco è morto,
     Veggia il cor non men che gli occhi.
Per tal via non soffre un core
     Amatissima Euridice!
     110Lasso me! che far degg’io?
     Dive, addio,
     Troppo liete a’ dolor miei:
     Vegno a voi, monti silvestri,
     Fiumi alpestri,
     115Vegno a voi, ghiacci Rifei.