Novellette e racconti/XII. Il Gabbamondo, o sia, Meglio è fringuello in man, che in frasca tordo

XII.
Il Gabbamondo, o sia, Meglio è fringuello in man, che in frasca tordo

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Il Gabbamondo, o sia, Meglio è fringuello in man, che in frasca tordo
XI. Il Ladro che per rubare perde il suo XIII. Ladro scoperto in una chiesa
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Il Gabbamondo, o sia Meglio è fringuello in man, che in frasca tordo.


Non sono ancora molte settimane passate, che venne in Vinegia un uomo, il quale coll’andar vestito riccamente, con lo spendere largo e con l’avere in bocca i nomi de’ gran signori e de’ principi, avea sempre, dovunque andava, un cerchio di persone intorno che l’ascoltavano attoniti come s’egli fosse caduto dal cielo. E senza punto pensare dond’egli traesse i danari che continuamente spendea, immaginando ch’egli avesse nel paese suo grandissime rendite, ognuno vivea per fede, nè ad altro pensava che ad esaltare i tesori suoi, affermando che lettere di cambio gli piovevano ogni dì come se l’avesse vedute e lette. Quando alcuno lo visitava in sua casa, spesso si udia a picchiare, e gli venivano presentate lettere le quali dicea venirgli ora da tal principe, ora da ministro tale e forse da tal re, ed empieva gli orecchi e il cervello di tutti di signorie, di corti, di regni e d’imperj, tanto che uscivano di là mezzo ubbriachi e balordi fra le grandezze. A questo modo acquistò egli la conoscenza e a poco a poco l’intrinsichezza fra gli altri di forse dieci persone le quali facendo professione di lettere, col lungo ammaestrare la gioventù aveano fatto civanza di alcuni pochi quattrini ch’erano stimati da loro un picciolo premio a’ lunghi stenti che fatti aveano, e alle buone arti da loro molti anni professate. Per la qual cosa lagnandosi essi sovente al forestiere, e mostrando egli dal suo lato compassione dello stato loro, dicea quasi con le lagrime agli occhi: Oh secolo veramente di ferro e di bujo, in cui la verace virtù ed il sapere se ne vanno abbandonati e raminghi per la terra! Ora meriterebbero così fatti uomini, quali voi siete, sì scarsa fortuna, se voi nati foste a’ tempi di Augusto o di Lione X? Oh tempi [p. 20 modifica]varamente beati, in cui largamente erano gl’ingegni vostri pari largamente ricompensati! Egli non si dirà però ch’io non faccia quanto posso per voi, e forse non andrà molto lungo tempo ch’io farò ad alcuno di voi scambiar condizione. In tal guisa col mele della speranza pascea or l’uno or l’altro de’ buoni uomini, i quali a lui caldamente si raccomandavano, parendo già ad ognuno di avere in mano la fortuna e di essere piantato in sul candelliere, spargendo raggi pel mondo. Il valente uomo avendo in tal forma disposti gli animi degli amici suoi, i quali credeano più a lui che a sè medesimi, a poco a poco incominciò a chiamargli or l’uno or l’altro in disparte, e a spiegare lettere; e all’uno dicea in secreto, sè avere commissione di eleggere un maestro di storia a due giovanetti principi, e ad un altro di provvedere un segretario di lettere domestiche di un C... e fino gli veniva raccomandato da una corte un predicatore; sicchè, studiate le varie teste degli amici suoi, secondo la loro intenzione e inclinazione o piuttosto vanità che aveano, tutti in breve tempo gli allogò a mente in corti di principi e di gran signori in varie parti del mondo, raccomandando a ciascheduno caldamente che nulla di ciò palesasse a’ compagni; sicchè ognuno si teneva pel più amato e beneficato da lui. Eglino tutti lieti di tanta fortuna, lo chiamavano padre e benefattore, e gli baciavano di tempo in tempo le mani, e parte s’informavano de’ varj costumi di que’ luoghi a’ quali doveano andare; ed egli, come se Socrate o Seneca fosse stato, molte belle massime di prudenza or a questo or a quello insegnava, e mille accorgimenti per guidarsi con cervello ed essere cari al paese a cui tra poco doveano andare. E già avvicinavasi il tempo della partenza, quando a ciascheduno di loro incominciò a dire che soprattutto non portasse seco danari, nè robe; ma che venduto ogni cosa e fatto quattrini, quelli arrecasse ad un banchiere, e avutane quindi una lettera di cambio al paese a cui andar dovea, di ogni altro impaccio si sbrigasse, per viaggiare [p. 21 modifica]con minor disagio e forse con sicurezza maggiore. I buoni uomini, che delle mondane faccende aveano pochissima cognizione, e stimavano oggimai lui per padre e duca in ogni cosa, a poco a poco gli arrecarono quanto aveano in danari, e in lui rimisero il trovare il banchiere. Egli, mostratosi da prima alquanto ritroso, ma pure al fine assentendo alla richiesta, tutto da tutti accettò, facendone la quittanza, e finalmente provvide ognuno di una lettera di cambio secondo la facoltà che consegnata gli avea, e a ciascheduno in disparte assegnò una mattina ed un’ora medesima alla partenza. Intanto che andavasi il giorno approssimando, avvenne che vedendo in mano ad uno di loro una scatola d’argento, agramente ne lo rimproverò che volesse appresentarsi innanzi ad un principe con una cosa cotanto dozzinale, e che pensasse almeno a farla dorare. Scusavasi il buon uomo, dicendo che il dorarla potea costargli troppo; ond’egli, notando che avea in dito un cerchiellino di oro, gli disse: Io credo che quel cerchiello basterà alla spesa: io conosco un artefice, e mi dà l’animo di far sì che il cerchiello sia a sufficienza. Se così è, dice l’amico, eccovi la scatola ed il cerchiello. Intanto venne la stabilita mattina, e all’ora assegnata tutti gli allogati, con gli stivali in gamba, col gabbano e con la canna in mano, si ritrovarono all’uscio del forestiere, maravigliandosi grandemente l’uno dell’altro, e chiedendosi della loro avventura, ma tardi; perchè il forestiere la sera innanzi con una barchetta a quattro remi, destra come uno sparviere, avea già lasciato Vinegia, e insegnato agli amici suoi, ch’egli è meglio contentarsi del poco in mano, che del molto promesso dalla speranza.