Novelle (Bandello)/Terza parte/Novella XXXV

Terza parte
Novella XXXV

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Un dottore cambia vestimenti col marito de la sua innamorata,


e si giace con lei da mezzogiorno.


Egli non è molto che in Milano si ritrovò un dottore di leggi assai giovine, che non meno era dedito a le donne che ai testi di Giustiniano; il quale, amando una giovane nobilmente maritata, spesse fiate con lei a prender amorosamente l’uno de l’altro piacere si ritrovava. Il marito di lei, quantunque nobile e ricco, era uomo assai ambrosiano e cui di leggero la moglie, che era scaltrita, dava ad intendere ciò che voleva. Ed avendo certa lite di confini di casa con un suo vicino, teneva domestica e stretta pratica col dottore; di maniera che gli amanti potevano senza sospetto insieme ragionare e dar ordine, senza il mezzo di messaggieri, a’ casi loro. Né in casa era persona che questo loro amore sapesse, se non una donzella de la donna. Ora avvenne un giorno che il dottore, montato su la mula, si partí di casa per andar a ritrovare la sua amica, e andando incontrò il marito di lei, che era a cavallo e andava a diporto; il quale, come vide il dottore, se gli accostò e cominciò seco a ragionare de la sua lite. Messer lo dottore che aveva voglia d’altro che di lite, poi che gli ebbe alcune cose circa la lite risposto, gli disse: – Io non poteva incontrare persona piú a mio proposito che voi, perciò che io vorrei andar a parlare con una mia innamorata, e andava ora pensando ove potrei accomodarmi d’una cappa; e la vostra sará al proposito, se me la volete prestare. Noi entraremo qui ne la chiesa di San Nazaro, ed io vi darò la mia toga e voi darete a me la cappa, e mi aspetterete fin che io torni, che sará fra mezz’ora. Voi potrete in questo mezzo passeggiare per la chiesa, che è, come sapete, buia, ed aspettarmi. – Comandate pure, – disse il buon uomo, – ché io sono paratissimo di maggior cosa servirvi che non è di accomodarvi di una cappa. – Smontarono adunque e insieme entrarono in San Nazaro, che è, come sapete, su il corso di Porta romana. Quivi messer lo dottore si cavò la lunga toga del damasco e la diede al buon uomo, dal quale ebbe la spada e la cappa a la spagnuola. Come il dottore vide il suo amico togato, che menava piú d’un palmo de la veste per terra, gli disse ridendo: – Voi potete sicuramente passeggiare per la chiesa fin che io torni, ché vi assicuro che non sará persona che vi conosca. – Il dottore è uno dei grandi uomini di Milano, e il marito de la donna è qualche cosetta minore di me: pensate ciò che devea parere con quella veste lunga. Cangiati adunque i panni, rimase ne la chiesa il marito; e il dottore, vestito a la corta, chiamò seco uno dei suoi servidori, comandando a l’altro che con la mula l’aspettasse. E messasi la via fra i piedi, a la moglie del lasciato in chiesa si condusse e le narrò come aveva mutate le vesti; del che ella se ne rise assai. Andati poi in camera, cominciarono amorosamente a godersi e cacciar il diavolo ne l’inferno; e non s’accorgendo del passar de l’ore, perciò che il piacere faceva lor parer il tempo breve, stettero circa due ore insieme. Il marito de la donna, che era restato in chiesa togato, veggendo di gran lunga passar l’ora e il dottore non ritornare, deliberò partirsi e andar a casa, la quale non era molto lontana da la chiesa ove egli passeggiava. Il perché venuto fuor di chiesa, disse a colui che teneva la mula del dottore: – Tu dirai a tuo padrone quando egli tornerá che io me ne vado a casa, ove l’attenderò che venga a pigliarsi la veste. – Poi montato su il suo cavallo, s’inviò verso casa, tuttavia temendo d’incontrare qualche persona che lo conoscesse in quell’abito. Stava per commissione de la donna la donzella consapevole de la cosa ad una finestra, la quale, come vide venire il messere, agli amanti lo disse; onde eglino, dando fine ai lor amorosi abbracciamenti, discesero a basso ed entrarono in un giardino e sotto un pergolato si misero a passeggiare. Come il marito fu smontato e vide ne l’orto la moglie col dottore, altro male non pensando, disse: – Io poteva ben aspettarvi! – A cui subito rispose il dottore: – Io venni in chiesa e, non vi trovando, senza pigliar la mula, venni qui per la via del traverso, e trovai madonna qui nel giardino, che fortemente si meravigliò di vedermi con questa cappa. E quando voi entraste, io cominciava a dirle cagione di questa mutazione de le veste. – Adunque, – soggiunse il buon uomo, – noi ci siamo falliti per la via, perché io venni per mezzo il corso. – E piú oltre non pensò. La donna alora disse al marito: – Io so, marito mio, che noi abbiamo uno studioso avvocato che, quando deveria studiare, va ingannando le povere donne. – E sapendo il bisogno del dottore, mandò a pigliar de le confezioni e portar vini preziosi, da far collezione, a ciò che messer lo dottore alquanto si ristorasse. Ma piú riso che confetto in quella collezione si mangiò, ben che diversamente ridessero. Mandarono poi a pigliar la mula del dottore, il quale a casa se ne ritornò, e piú e piú volte con la donna de la mutazione degli abiti rise. Non m’è paruto per buoni rispetti porre i nomi proprii e massimamente quello de la donna, a ciò che messer lo dottore non perdesse il suo godimento e meco s’adirasse, avendomi piú volte di questa beffa ragionato. Ma come siate ritornata a Milano, io vi prometto farvela narrare da l’istesso dottore, il quale sono certissimo che vi dirá il nome del marito e de la moglie, pure che voi gli promettiate di tenerlo segreto.


Il Bandello al gentilissimo signor


Gian Angelo Simoneta


Gran prudenza mi par esser quella d’un gentiluomo, il quale, stando con un signore che conosca esser capriccioso e che mal volentieri si senta riprendere di ciò che fuor di ragione fa, talmente si sa governare, che senza incorrere ne la disgrazia di quello, di tal modo si diporta che de l’error suo l’ammonisce. E questo suol assai sovente avvenire quando il cortegiano è di svegliato ingegno, e con qualche proposta che gli fará, l’induce a conoscere il difetto ove egli è caduto. Questo conseguirá egli con qualche bel detto, o chiedendo talora il contrario di ciò che il signore sgarbatamente fa, a ciò che con questa occasione possa modestamente avvertirlo. Ché ci sono molti, i quali, persuadendosi vie piú di quello che sanno e che convien loro, senza rispetto veruno vorranno corteggiar il padrone, e quanto piú gente ci sará, per mostrarsi ben di grande autoritá, lo emenderanno. Onde il signore, se forse talora saperá dissimulare l’ira che ha, non resterá perciò che non se la leghi, come si dice, al dito, e a tempo e luogo poi non faccia degli scorni insopportabili a chi averá voluto sonar lui. Sovvengavi di ciò che fece non è molto il signor Sigismondo Malatesta, quando i tedeschi e spagnuoli dirubarono e saccheggiarono Roma e spogliarono le chiese; che, essendo alora entrato in Arimini, perciò che uno dei piú cari partegiani che avesse, e che celatamente l’aveva in un fascio d’erba portato in quella cittá, ardí dirgli non so che essendo a tavola, gli diede de le pugnalate e l’ammazzò. E tuttavia ciò che colui gli diceva era per ammonirlo che non cadesse in certo fallo ove era, disonestamente operando, poco innanzi caduto. Si vuole adunque maturamente pensare quello che con i suoi padroni si ragiona, e se pur altro modo non ci è, prender l’opportunitá e con ogni sommissione, alora che sono soli, dir loro ciò che bisogna. Facendosi adunque l’onorate nozze del signor Giovan Paolo Sforza e de la signora Violante Bentivoglia in Ferrara, in casa del signor Alessandro Bentivoglio padre de la sposa, e ragionandosi di questa materia, il signor Alfonso Caraffa, che, venuto nuovamente di Francia, se ne ritornava a Napoli, disse a questo proposito una breve novelletta, la quale io subito scrissi. E pensando a cui dar la devessi, voi m’occorreste, come cortegiano gentile, piacevole, cortese e modestissimo. E cosí quella vi dono in testimonio de la vostra gentilezza ed altresí de l’amor mio verso voi. State sano.