Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo II - Descrizione di Ceva antica.

Capo II - Descrizione di Ceva antica.

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Capo I - Antichità di Ceva. Capo III - Ceva moderna.
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CAPO II.


Descrizione di Ceva antica.


Fra i descrittori dell’antica Ceva, citeremo in primo luogo Monsignor Francesco Agostino Della Chiesa, il quale nella sua opera intitolata relazione del Piemonte stampata nel 1635 così lasciò scritto.

«Verso il fonte del fiume Tanaro si trova Ceva, capo d’un marchesato, che più di 26 Castella, parte in questa provincia e parte nei Baggieni contiene, le quali parte agli antichi marchesi di Ceva, che erano dei discendenti d’Aleramo marchese di Monferrato, parte al marchese Carlo Emanuele Pallavicini, che è stato ambasciatore di S. R. A. presso l’imperatore, e parte ai marchesi Del Carretto pure discendenti dallo stesso Aleramo, e ad altre nobili famiglie del Piemonte ubbidiscono; giace Ceva capo di provincia, e sedia d’un Prefetto, che è cinta di mura difesa da una forte cittadella, e che è piena di popolo ricco, e per la vicinanza della Riviera molto trafficoso, sopra la ripa del Tanaro.

Descrivendo poi il corso di questo fiume, dice quest’illustre scrittore che trovansi in esso granelle d’oro, e che nel marchesato di Ceva, si pescano trutte, e tamari di smisurata grandezza, le quali per l’arene d’oro che mangiano (?) sono di mirabil bontà.»

[p. 15 modifica]Lo stesso Monsignor nella sua Corona Reale di Savoia parlò di bel nuovo di Ceva nei termini seguenti 1.

« Il marchesato di Ceva è una signoria di molti castelli, parte nell’alte langhe, parte nella valle del Tanaro, e monti circonvicini, e parte intorno alle ripe dei torrenti Monza e Casotto.

Aveva questo marchesato nella sua prima erezione assai più larghi confini che oggi non ha; poiché abbracciava molte altre terre; ma per essere quelle alla fabbrica del Mondovì concorse, furono indi parte con violenza, e parte volontariamente unite alla Provincia di quella Città. Oggidì pertanto oltre Ceva non contiene che 26 tra Castelli e Ville, parte nella diocesi d’Alba, alla quale Ceva appartiene, e parte in quella di Asti esistenti. Ad Oriente ha le terre della provincia d’Alba e quelle del marchesato di Saluzzo. A mezzanotte la provincia di Mondovì, a mezzo giorno il marchesato di Finale, ed alcuni luoghi della diocesi d’Albenga, ed a ponente l’Alpi di Tenda e della Briga; e comecchè tutto giaccia in valli e monti, non è molto abbondante di frumenti, produce con tutto ciò tanta copia di castagne, che per molti mesi dell’anno suppliscono ai bisogni di quei popoli, i quali trovandosi in paesi poveri, e dalla marina poco lontani, si vanno a procacciare il pane chi in una parte, e chi in un’altra d’Italia. Hanno buonissimi pascoli, onde ne viene che i formaggi cevaschi, che sono quelle piccole forme, quali con nome di Robiole si portano in Piemonte, ovvero quelli che si fanno nell’Alpi della Raschiera, che sono i confini delle montagne della Briga, e del Mondovì, vengono stimati di tanta bontà che Plinio nel cap. 42 del libro II, di sua storia naturale fra i più preziosi formaggi d’Italia gli annovera.

[p. 16 modifica]Ceva capo del marchesato, grosso ed antico borgo da Romani conosciuto, giace sopra la destra ripa del Tanaro, non oscuro fiume del Piemonte, nella strada che dal Mondovì a Savona conduce. Essa è cinta di muraglie ed ha una cittadella la quale per essere in parte eminente situata, non solamente tiene a freno tutta la terra, ma anche da chi tentasse di occuparla la difende. Aveva parimenti un forte Castello, il quale nelle vecchie guerre del Piemonte fu a terra gittato. Il suo popolo ne’ tempi dei nostri avi era assai più numeroso che non è di presente, poiché eccedeva senza la campagna 600 capi di Casa; ma parte per gl’infortunii, che seco portano le guerre, le quali i regni e le provincie, non che le terre consumano, e parte per l’innondazione d’un suo principale borgo, il quale alli 6 di luglio dell’anno 1584, con la morte di centinaia di persone e di animali, e perdita di una grandissima quantità di robe d’ogni sorta di un torrente detto Chiavetta, che scorre vicino alla terra, essendo stato dalle fondamenta spianato, il numero degl’abitanti appena alla metà si è ridotto.»

Contemporaneo a Monsignor Della Chiesa viveva in Ceva l’avvocato Gio. Antonio Derossi di cui si conserva manoscritto un consulto dato in favore di questa Città in ordine ad alcune giurisdizioni Marchionali. Per dare un saggio dell’enfatico stile dal seicento citeremo di questa scrittura i tratti più importanti e curiosi.

« Giace, ma s’erge con le glorie Ceva, città riguardevole di Lombardia ne’ confini del Piemonte, non lungi dalla foce del Tanaro. Siede come antichissima Cibele madre di tanti dei quante furono le virtù da’ suoi cittadini possedute; circondata con l’ampia corona di 48 Castella di sua provincia, siccome ne’ secoli trapassati era coronata con più di cento considerabili terre. La sublimità de’ suoi pregi non è già abbassata dall’umiltà del suo sito, poichè dassi a vedere capo della sua vasta provincia, e come [p. 17 modifica]cuore del suo nobilissimo Marchesato, e come fronte di questo subalpino principato.

È questa città tutta cinta di mura. Dalla decrepità degli anni rese immemorabili le sue memorie, inceneriti negl’incendi di tante guerre passate; i suoi annali spiccano assai più belli tra le tenebre dell’oblìo i lumi delle sue glorie, e resta tanto più doviziosa di splendori onorevoli quanto per l’antichità è più oscura la sua origine.

Nella schiera degl’antichi famosi istorici (dal mare de’ cui inchiostri si traggono le belle gemme delle prerogative di Ceva) si ritrova che molti per lo più coll’epiteto di nobile l’han nominata, avanti che di Città avesse il pregio.

Leandro Alberti nella sua descrizione d’Italia seguendo altri autori la nomina con quest’epiteto di nobile.

Biondo da Forlì nella sua Italia così la descrive: Superius sunt Ceva oppidum nobile, et sui Marchionatus oppida et Castella inter quas Tanarus fluvius ortum habet

D. Andrea Rossotti quantunque ignorando che Ceva goda attualmente il titolo e prerogative di Città scrive però che di ragione le si dovrebbe dare questo pregio: Ceva Marchionatus titulo illustris a qua familia nomen habet, olim potens, utpote cuius dominio centum non infimi ordinis oppida subiacebant, civitatis iure nomen obtinere posset, habitatorum numero, terreni fertilitate, et divitiis magna.»2

Monsignor Brizio nel suo Sinodo, quarta istorica, descrivendo le diverse congregazioni stabilite nella sua diocesi dopo quella di Alba parla di quella di Ceva in questi termini:

«Urbem inter priscas insignem, sed temporis voracitate corrosam qui nosce desideras Cevam inspicito, præclarissimi Marchionatus caput. Hæc Marchionum foecundissima parens pietate in deum, fide in principem [p. 18 modifica]commendabilis.... hostiles incursus quos civitas nequit, arcis munitione repelluntur etc..... » 3.

Vale a dire, se tu ami di conoscere una città insigne fra le antiche, dà uno sguardo a Ceva capitale d’un preclarissimo Marchesato. Questa madre fecondissima di Marchesi, è commendabile per pietà verso Dio, e per fedeltà verso il principe. Gli ostili assalti che la Città non può respingere vengono respinti dal presidio della sua fortezza, ecc.

Nel teatro Piemontese stampato da Gio. Bleau in Amsterdam l’anno 1682, si vede la pianta di Ceva miniata con particolar maestria e vi si legge un lungo articolo descrittivo di questa Città, che fu poi ricopiato con poche variazioni dal professore Vincenzo Malacarne nell’Elogium Cebae, stampato in Pavia nel 1792. Per non ripetere cose dette altrove daremo qui tradotto in italiano la sola descrizione topografica di Ceva, ivi scritta in latino elegante anzi che no.

« In sul confine de’ Liguri Stazielli tra l’Apennino ed il Tanaro, ed al lato boreale delle alpi marittime in un piano circondato da colli ameni e sulla destra riva del suddetto fiume è situata la città di Ceva già capitale di celebratissimo Marchesato; sottoposta una volta al dominio dei sig. di Saluzzo, quindi degli Asteggiani, ed al presente, degli invitti Re Sabaudi.

Già nota Plinio questa Città per la fertilità del suolo, e mitezza del clima, non che per l’industria, e traffichi degli abitanti e di tutto abbondantemente provvista. Trovasi in essa gran copia di generosi vini, di castagne, e di tartuffi, di eccellente fragranza e sapore.

Posta quasi a metà strada tra Mondovì e Savona, gode Ceva dei vantaggi d’un vivo commercio per la gran copia di derrate d’ogni genere che dal mare si tragittano al [p. 19 modifica]Piemonte e viceversa, il che fa sì che trovasi abbondantemente provvista di quanto è necessario al vitto ed all’ornamento della persona. L’aria vi è sana, i circostanti colli abbondano di frutti, un’alta rupe dalla parte di settentrione, la difende dall’eccessivo rigore invernale, in modo che sembra che la natura abbia provvisto per ogni verso alla salute e ben essere de’ cittadini Cevesi.»

Li 2 febbraio 1623, Vittorio Amedeo I, separò il marchesato di Ceva dalla provincia di Mondovì, e v’instituì un giudice d’Appello.

Carlo Emanuele II, decorò Ceva del titolo di Città, e con sue patenti 15 gennaio, 20 luglio 1650, 6 gennaio e 27 maggio 1651, ed altre del 22 maggio 1658, la eresse in capo di provincia, e godette di questo privilegio sino al 1722 4.

Da uno stato spedito il 22 luglio 1699 dal ministro Gropello al conte Lamberti di Mondovì, che trovasi a mie mani risulta che appartenevano alla provincia di Ceva 41 comuni, cioè Belvedere, Battifollo, Bonvicino, Castelnuovo, Castellino, Igliano, Cigliero, Clavesana, Cortemiglia, Castelletto d’Ussone, Camerana, Garessio, Gorrino, Gottasecca, Torre, Lesegno, Lisio, Montezemolo, Malpotremo, Marsaglia, Murassano, Murialdo, Mombasiglio, Monasterolo, Niella, Nuceto, Ormea, Perletto, Paroldo, Pamparato, Perlo, Priero, Priola, Roasio, S. Michele, S. Giulia, Sale, Scagnello, Torre di Bormida, Torre d’Ussone, Torricella e Viola.

L’antica Ceva era cinta dalle mura e chiusa da otto porte. La prima era quella del Tanaro, per cui si andava a Mondovì, passando su di un lungo ponte in pietra di cui rimangono ancora alcuni archi su d’un dei quali s’innalza [p. 20 modifica]un’antica torre, ben conservata che era munita di saracinesca e che serviva anch’essa di porta. Avendo il Tanaro cangiato il suo letto questo ponte trovasi ormai intieramente sotterrato. Poco distante da questo vi era la porta del Broglio la di cui difesa era affidata ai cavalieri di Malta contro le aggressioni dei Saraceni che infestavano la valle del Tanaro, la di cui strada veniva a metter capo a questa porta. Si addita tuttora come antica proprietà della religione di Malta, una casa che fiancheggia questa porta, e che trovasi registrata nel gran Cabreo, delle possessioni in Piemonte di questi Cavalieri.

Da questa porta saliva un muro di cinta sino al bastione di Soraglia che era munita di tre torri una delle quali serve tuttora per l’orologio e per la campana di Citta.

La terza porta era quella di Soraglia, che chiudeva la via della riviera. La quarta quella di S. Giovanni con torre e ponte su Cevetta verso levante. La quinta detta il Portiolo per la via del forte e delle Langhe. La sesta quella di san Francesco munita di torre con un ponte su Cevetta pel passaggio all’ospedale ed al convento di S. Francesco. La settima turrita anch’essa vicina alla Madonna di Campagna, e l’ultima al ponte della Cattalana vicina alla torre detta dei Guelfi.

Quasi tutte le contrade e le piazze erano fiancheggiate da portici per comodo dei commercianti, e per l’angustia del sito le facciate delle case non avevano che un arco, con due finestre sopra per le abitazioni, ed i più facoltosi le innalzavano sino al quarto e quinto piano. Le poche case che portano l’impronta dell’antichità coi sesti acuti, coi mattoni lisciati o impressi di ornati fanno prova di quest’asserzione.

Il borgo della Torretta, che apparteneva anticamente ai marchesi di Susa, comprendeva tanti abitanti quanti ne poteva contare la Città e gli altri borghi di qua dal Tanaro.

Note

  1. Cuneo presso Bartolomeo Strabella 1657. Indi Torino nel 1777, per Onorato Derossi 2 vol. in 4°. Ci siamo serviti di questa seconda edizione, Vedi pag. 143 del 2° vol.
  2. Syllabus scriptorum Pedemontii etc. Monteregali typis Francisci Mariæ Gislandi MDCLXVII in 4°. In Indice patriæ.
  3. Synodus quarta historialis S. Albensis ecclesiæ etc. Carmanioliæ typis Bernardini Columnæ 1658 in 4. a pag. 298.
  4. Nel mentre che Ceva era capo provincia, si serviva d’un bollo di forma ovale e bislungo in cui vi era rappresentato un Cavaliere che correa a spron battuto con a destra l’arma di Ceva, a sinistra l’arma di Casa Savoia, e sopra il cavaliere una fascia su cui sta scritto: Provincia di Ceva.