Lezioni e racconti per i bambini/Per un chicco di grano

Per un chicco di grano

../Lascialo ridere! ../Turco e Sparalampi IncludiIntestazione 26 novembre 2013 100% Letteratura

Lascialo ridere! Turco e Sparalampi


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Per un chicco di grano.


La mamma prese Lello sulle ginocchia e si mise a guardare i campi a traverso i vetri della finestra. Era un tempaccio triste, noioso, buzzone: un vero tempo d’autunno. Sugli alberi non c’era rimasta che qualche foglia ingiallita, che penzolava dal ramo; i lieti canti degli uccellini erano cessati, e già sulle lontane alture di S. Francesco e di Vallombrosa biancheggiava la neve.

La mamma, col viso appoggiato contro i cristalli, pensava; il bambino, invece, seguiva collo sguardo [p. 43 modifica]un contadino, che seguito da un paio di bovi, andava e veniva per le viottole.

Per qualche tempo stette zitto, pago di osservare: poi, incuriosito, chiese alla mamma:

— Mi sapresti dire che cosa fa quell’uomo?

— Quell’uomo, figliuolo mio, mette a profitto la forza dei suoi bovi, i quali, come vedi, si tirano dietro l’aratro, per arare la terra e disporla alla

sementa del grano. Sai già che l’aratro è lo strumento più importante dell’agricoltura e serve a tracciare nel terreno i solchi profondi che dovranno accogliere il nuovo seme.

— Non so capacitarmi, disse Lello, come i chicchi di grano seminati dal contadino, possano diventar pane. Eppure c’è scritto in tutti i libri.

[p. 44 modifica]— È certo, rispose la mamma ridendo, che noi non vedremo spuntar dal terreno, dei semelli o dei filoncini di pan salato. A queste trasformazioni ci pensa il fornaio.

— Oh, il fornaio come fa a ridurre i chicchi in pane?

— Quando li riceve il fornaio, sono già stati ridotti in farina dal mugnaio, che li ha macinati al mulino.

— Ora comincio a intendere. Ma vorrei che tu mi spiegassi come ha fatto il contadino a raccoglierli.

— Te lo dico in poche parole. Il contadino semina i chicchi e li rincalza colla vanga, affinchè stieno al coperto e possano germogliare. Infatti, dopo un mese della sementa, si vedono spuntare dei piccoli fusticini d’un verde tenero, i quali vanno via via crescendo fino a produrre delle spighe, ognuna delle quali contiene una ventina di chicchi; queste spighe, nascoste ancora nei loro steli, crescono gradatamente, maturano al sole, e, verso giugno, prendono quel bel giallo che le fa parer d’oro. Allora il contadino procede alla segatura: lega il grano in tanti fasci o covoni, lo trasporta nell’aia, e lo batte fortemente con lunghe canne, per separar la paglia ossia i gusci, dai chicchi, i quali vengono riposti nelle sacca o portati al mulino.

[p. 45 modifica]Il grano non serve solamente alla fabbricazione del pane, ma anche a quella delle paste, con le quali si fanno le minestre: ci dà, inoltre, l’amido con cui insaldiamo la biancheria, la crusca, la paglia per molti usi, tra i quali va ricordata la fabbricazione dei cappelli.

— Una volta, quand’ero malato, mi facesti un decotto d’orzo. La maestra mi disse che anche quello era una specie di grano.

— È verissimo. L’orzo è una biada molto utile e serve alla fabbricazione della birra: in alcuni paesi montuosi lo impastano insieme alla farina per farne pane, e chi lo ha assaggiato assicura che è assai buono.

Tra i grani non bisogna dimenticare il formentone o grano turco, che ci procura quell’ottima farina gialla, colla quale facciamo polente, gnocchi, covaccini e dolci. In molti paesi dove non c’è grano, se ne servono anche per fare il pane: ma non riesce salubre e buono come quello che mangiamo noi.

Il fusto del formentone è molto alto; e fra le sue giunture escono le pannocchie, le cui foglie servono a riempire i sacconi.

La vena che si dà ai cavalli, il miglio, il panico e il riso appartengono anch’essi alla specie dei grani: ma la coltivazione del riso richiede terreni [p. 46 modifica]bassi, irrigati, paludosi, che vengono chiamati appunto risaie.

Non è quindi sano l’abitare in prossimità delle risaie e noi dobbiamo esser riconoscenti ai poveri coltivatori, i quali, astretti dal bisogno, vi menano una vita breve e travagliata.

A questo punto Lello annodò le braccia intorno al collo della mamma e nascose la testa nel seno di lei.

— Che cos’hai? chiese questa maravigliata. Ti senti male?

— Oh mamma! rispose il bambino, lo conosci Geppone, il figliuolo del lattaio?

— Sicuro che lo conosco! Ebbene?

— Stamani, nell’andare a scuola, l’ho incontrato, e siccome non m’ha voluto far montare sul baroccino dove ci aveva le fiasche del latte, l’ho trattato di contadinaccio e di villano!

— E lui che cosa ti ha risposto?

— Lui! Nulla. Ha seguitato la sua strada, a capo basso, senza neanche voltarsi indietro.

— Forse piangeva, osservò la mamma.

E senz’aggiungere una sola parola uscì dalla stanza.


Lello rimase male, male di molto. Avrebbe preso che la mamma lo avesse gridato, magari picchiato. [p. 47 modifica]Quel silenzio doloroso gli fu più amaro d’ogni rimprovero.

Si pose di nuovo a guardare i campi a traverso i vetri della finestra e pensava: Se io non rivedessi più il povero Geppone e non potessi perciò chiedergli perdono, come farei a campare con questo struggimento?