Lettere (Sarpi)/Vol. II/175

CLXXV. — Al medesimo

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CLXXV. — Al medesimo
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CLXXV. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Io stimo tanto poco le occorrenze che passano qui, che mi par sempre dover annoiar l’amico, quando ne avviso alcuna. Il che è causa, che con gran difficoltà mi metto a scrivere, se qualche precedente lettera non me ne porge l’occasione. Questa è la vera causa per la quale restai di scrivere a V.S. per quello spaccio quando non ricevei delle sue. Io non posso se non chiederne perdono, come faccio d’ogni mia azione con quale non gli dia intero gusto.

Ho ricevuto la sua del 10 maggio, la quale mi ritiene tra la speranza e il timore. Intorno le cose [p. 208 modifica]di cotesto regno, al quale io non temo gran male dal papa, per esser da poco;2 nè molto dal re di Spagna, essendo forse più minore che il re di Francia: ma ben grandemente dall’inestimabile malizia dei Gesuiti. Fanno senza dubbio molte delle loro pratiche ad istanza di quei duoi; ma le peggiori e più scellerate per proprio moto. Ho gelosia non solo per costì, ma anche per Venezia, prevedendo che, al sicuro, se non averanno che far in altro luogo, volteranno tutti li suoi pensieri qui, non senza pericolo di restarne oppressi.

Con questo corriere è venuta nuova, che un gentiluomo si sia dichiarato della Religione, e abbia occupato una città: che mi par cosa di notabile considerazione; e in ogni modo, si dimostra esser principio di gran conseguenza. Ma nell’assemblea spero sarà provvisto ad ogni inconveniente.

Ho molte volte assicurato V.S. che le armi di Savoia non avrebbero altro fine che la desolazione di quello Stato. Adesso lo vediamo in effetto. Quello che dà maraviglia a qualche speculativo, è che li Spagnuoli abbino levata quella guarnigione che si ritrovavano in Savoia, con gran dispiacere e resistenza del Duca; e pur la ragione avrebbe persuaso, ch’egli ne avesse dovuto fare istanza e gli Spagnuoli resistenza. [p. 209 modifica]

Veramente è cosa grande che in ogni Stato i predicatori parlino contro il governo presente. Scrissi a V.S. quella di Napoli: qua ancora è avvenuto qualche inconveniente la quaresima passata. Costì ancora li Gesuiti non cessano di parlare sediziosamente. Concludo che non si potrà levar l’abuso, lasciando la predica: il modo si troverà poi di provvedere altrimenti alla predica medesima. Scrissi a V.S. d’aver veduto quel libro di...3 e non l’aver stimato, non perchè le conclusioni non siano perniciose, ma perchè sono trattate in maniera che persuadono il contrario a persone di cervello. Però quel libro non si vede qua: credo che siano chiari i motivi di non aver ingresso. Ma che ignoranza è quella di Fiorenza in favorire una tal dottrina, della quale dovrebbe egli temer più di qualsivoglia altro, essendo principe nuovo e occupatore della repubblica? Certamente par che Dio acciechi questi savi.

A quello che V.S. mi dimanda con sì grande istanza, è verissimo che non li cardinali soli, ma tutta la corte è stata gravissimamente offesa, che il cardinale Doria si sia sottoscritto all’editto contro Baronio per la pubblicazione in Sicilia; ma considerando nella congregazione che provvisione avrebbe potuto fare, non è stato proposto altro partito, salvo che di aver pazienza.

Le cose di Praga, e dirò di tutta Germania, non posso dire d’intenderle, se mi mutano d’aspetto ogni [p. 210 modifica]settimana. In questo solo tengo bene con V.S., che, in qualunque modo succedino, non passeranno con gusto della corte. Mattias è coronato,4 non sapendosi però s’egli governerà, o pur l’imperatore, o nè l’uno nè l’altro; e gli Spagnuoli si trovano ben impediti, e in fine forse non averanno fatto piacere a nessuno.

La nuova che nel collegio de’ Gesuiti di Praga fossero state trovate arme in buona quantità, venne in questa città ancora; e io fui curioso di saperne il vero, e ne scrissi all’ambasciatore della Repubblica; dal quale ebbi risposta che non era vero. Così la fama qualche volta inganna. Fu ben vero che li Gesuiti furono salvati dagli principali de’ Protestanti, che s’adoperarono più di tutti a difesa della città: cosa che mi fa stupire di maraviglia.

Io ho letto tutto il trattato mandatomi da V.S., e non posso se non lodar intieramente la dottrina, essendo di punto in punto quella degli scritti nostri. Il signor Molino e padre M. Fulgenzio rendono infiniti saluti a V.S., e io le bacio la mano.

Il papa pretende che sia sua una città di questo stato chiamata Ceneda;5 e perchè sempre è stata [p. 211 modifica]possessa dalla Signoria, ella adesso vuole esercitar secondo il solito. Il papa dice ch’è novità, e che si tratti prima le ragioni; e se ben tratta con molta amorevolezza, fin’ora qui non si vuole ascoltare, come veramente non si debbe metter in dubbio il proprio diritto. Sono in qualche pensiero, che per ciò non possa seguir rottura.

Desidero sapere se la occupazione fatta da quel gentiluomo nuovamente convertito,6 sia a favore, o una trama delli avversari per metter in cattivo concetto, come pur ho ragione grande di dubitare.

Di Venezia, il 7 giugno 1611.




Note

  1. Stampata come sopra, pag. 360.
  2. Paolo V avea cominciato, come molti fanno, a pontificare con gran vigore, da ciò sperando l’immortalità del suo nome; ma provato avendo come fosse difficile per siffatto modo il conseguirla, diedesi a battere una via molto più piana ed agevole: quella del fasto e della così chiamata magnificenza; tanto che Roma va piena d’iscrizioni apposte, comecchessia, a vecchi o nuovi monumenti e ammirati per lo più solo dal volgo, le quali portano il suo nome.
  3. Lacuna della precedente stampa. Crediamo però alludersi al libro che, nella Lettera CLXXIV si dice “scritto dal confessore della granduchessa madre di Toscana,„ in risposta al re d’Inghilterra.
  4. L’ambizioso principe Mathias, essendo già riconosciuto, re d’Ungheria, fu coronato, con solennità grande, re di Boemia in Praga, il dì 23 maggio di quello stesso anno.
  5. Sopra questa già molto antica e famigerata controversia, di cui c’informa lungamente il Griselini, aveva scritta il Sarpi una dottissima Allegazione, che il biografo sopra citato dice essere rimasta inedita. Vedi Memorie aneddote, pag. 123. Ma alla fine del tomo VI delle Opere dell’autor nostro, dell’edizione di Helmstat o di Verona spesso ricordata, ci è dato altresì di leggere una scrittura che porta il titolo di Trattato circa le ragioni di Ceneda.
  6. Vedi alla pag. 208.