Lettere (Sarpi)/Vol. II/153

CLIII. — Al medesimo

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CLIII. — Al medesimo
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CLIII. — A Giacomo Leschassier.1


Io credeva che i Gesuiti fossero trattenuti in Francia dalla sola volontà del re, pocanzi defonto. Ora che, lui morto, li veggo osar più e maggiori cose, temo vie più per voi, per la vostra chiesa e [p. 129 modifica]per la stessa libertà. Io li conobbi ammaestrati a maraviglia del come occorra far uso della prospera fortuna. Eglino certamente mai non ripiegheranno le vele, nè occasione alcuna sfuggirà loro di mano. Lessi l’opuscolo scritto a nome della Università, e lodo l’ingegno e la prudenza dell’autore; ma i Gesuiti non si commuovono per rumori: essi tirano innanzi perseverando nelle loro opere; e per quanto altri seriamente li combatta, non desistono dal loro proposito. Provocarli con leggera battaglia è lo stesso che indurli a vera guerra.

Non so che alcuno abbia raccolto i passi degli autori che approvano l’assassinio dei principi: ricordo bensì di averli io letti in molti di quella Società; ma i luoghi non ne appuntai, perchè una tale dottrina in Italia, dove i Gesuiti signoreggiano, è difesa qua e là da tutti. Qui dove il principe non vive in una sola persona, non ne abbiamo paura. Gli altri principi italiani, perchè figli de’ Gesuiti, se ne tengono sicuri; ma il Bellarmino pubblicò poco fa un opuscolo contro il Barklay, facendo vista di difendere quanto il Barklay avea combattuto della dottrina stessa di lui, ma in realtà (com’io credo) acciocchè con proprio e particolar trattato si divolgasse la sua dottrina intorno alla onnipotenza del papa. Ivi egli sostiene, come se fossero articoli di fede, la potestà nel pontefice di scomunicare i principi, di sciogliere i sudditi dal giuramento e dall’obbedienza, ed eziandio di privar quelli del dominio e dell’impero, non solo per colpe commesse, ma per qualsivoglia causa che al papa sembri sufficiente: nè ciò senza ingiurie nè contumelie verso coloro che sentono in contrario, ai quali dà infamia peggiore che [p. 130 modifica]di eretici. Più di cento volte vien egli inculcando, esser legge di Dio e di natura che si obbedisca al principe; aver anche il Signore comandato di rendere a Cesare quel ch’è di Cesare: ma che ciò deve intendersi di chi veramente sia principe e veramente sia Cesare; ma colui che vien privato dal papa, non è altrimenti più principe, nè perciò dee più essere obbedito. Il papa, dunque, mai non comanda già di non obbedire al principe, ma fa del principe un altro che non è principe, e a cui non si è più tenuti di obbedire. Che gliene pare? — Insegna anche spesso che il papa non può soltanto disporre dei regni e dei dominii, ma delle cose tutte che ai Cristiani appartengono, non sì tosto abbia egli conoscinto che ciò torni a vantaggio della Chiesa. Ritratta altresì la propria opinione, da lui più volte sostenuta nei libri prima d’ora stampati; cioè che i chierici furono con giustizia soggetti ai principi: adesso però asserisce pervicacemente, che solo nel fatto, ma non mai di diritto, stati sono lor sudditi. In somma, se a un libro simile sarà creduto, com’io penso che sarà, oso dire che il papa non solo dovrà tenersi eguale, ma superiore a Dio. A darle ad intendere di che petulanza e di che sfacciataggine abbia il Bellarmino fatto uso, mi basti il dirle per più assai che gesuitiche.

Codesto opuscolo è uscito in luce da non più di dieci giorni: nè so invero se quegli a cui spetta, abbia permesso d’introdurlo in questa città e dominio. Ben congetturo, nè senza buoni argomenti, che udita la morte del re Enrico, fosse in Roma presa la risoluzione di comporlo, per preparar materia di nuovi attentati a fine di ricuperare la perduta [p. 131 modifica]riputazione. Tanto esso muore lo stomaco e la bile, che io non posso metter fine di parlarne.

Sento che il figlio di Barklay è uomo di acuto ingegno ed erudito:2 credo, perciò, ch’egli non lascerà impunita l’ingiuria fatta a suo padre, e che l’altrui petulanza ne verrà repressa. In altro tempo male avrei potuto raffrenarmi; ma ora mi è, pur troppo, impedito di operar ciò che sarebbe necessario a difesa della verità.

Troppo la tenni a bada; ed è ormai tempo di liberarla da tale molestia. La prego di rendermi, all’opportunità, consapevole di quanto sarà stato giudicato nella causa de’ Gesuiti, e di far a mio nome mille salutazioni al signor Gillot. Stia sana.

Di Venezia, il 28 settembre 1610.




Note

  1. Stampata come le altre, in latino, tra le Opere dell’Autore, pag. 91.
  2. Vedi la nostra nota a pag. 275 del primo volume.