Lettere (Sarpi)/Vol. I/34

XXXIV. — Al medesimo

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XXXIV. — Al medesimo
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XXXIV. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Scrissi ultimamente a V. S. il 16 del presente, e ora tengo una sua delli 9. L’avviso della proposizione fatta da cotesti ministri spagnuoli (non escludo di questo numero il nuncio), se bene pare in prima faccia ridicola, come V. S. accenna; considerata però, non è tale, perchè si vede dove mira. Questi uomini non dicono mai alla prima quello che sentono: ma siccome nel far il papa non propongono mai prima quello che vogliono, ma un altro che riceve le opposizioni; così nelle proposizioni di Stato io veggo benissimo quale sarà la seconda, e quella che tenteranno di concordare col re. [p. 113 modifica]

Le cose sono in uno stato, nel quale non è possibile che continuino. È necessario che in questo tempo succeda una grande e manifesta rottura, ovvero una buona e sincera intelligenza. Dio faccia quello ch’è secondo la sua santa volontà. Se al re viene parlato con insolenza, nè fin qui viene usata modestia nel trattare, il fine conviene che sia comune: ovvero di riceverli per padroni e ascoltarli come precettori (chè tanto pretendono), ovvero di farli conoscere a loro stessi quali veramente sono. Io vivo con gran gelosia, perchè (se non m’inganno) non viene considerata la grandezza del pericolo quanto merita.

Già due settimane, fu mandato via di questo Stato un confessore, per aver negato di ammettere alli Sacramenti un gentiluomo che teneva il libro del Quirino. Per questa causa, il nuncio ha fatto le querimonie e le minaccie che V. S. potrà giudicare. Di queste cose non ne avvengono poche, come li umori s’ingrossano; nè però si teme, come si dovrebbe, che possino produr qualche apostema pericoloso.

La partita di Fra Fulgenzio io non la stimo per le qualità dell’uomo, chè per questo rispetto converrebbe averne piacere; ma perchè, considerati li particolari, mi si rende dubbio che sotto non ci sii qualche cosa di coperto importante. Egli partì di qui con salvocondotto del nuncio; passò per le terre della Chiesa, incontrato e favorito. Gionto in Roma, ha ricevuto dal papa assignazione di spese pubbliche per sè e per tre servitori; ha avuto da Sua Santità favorite e lunghe audienzie; e specialmente, già due settimane, stette col pontefice due ore ben grosse, [p. 114 modifica]restando fuori il padre generale delli Gesuiti, con gran impazienza che fosse innanzi a lui ammesso quel frate, e dovesse aspettar tanto egli, solito esser preferito a qualunque gran prelato di corte. Scrive Fra Fulgenzio a’ suoi amici qua, che egli tornerà presto a Venezia.

Quelli tanti che nelle controversie passate si sono adoperati a favore del pontefice, restano mal sodisfatti vedendosi negletti e favorito un contrario. Li uomini savi non sanno vedere come questo non sii un incitare ciascuno ad offendere; poichè uno del resto di nissuna stima, solo perchè ha offeso, è favorito. Io ammiro la novità, che per lo passato non sono stati ammessi li gran prelati e maggior principi, e li imperatori stessi, senza eccessive umiliazioni, e anzi abiettissime; e questo sii stato ricevuto trionfante. Quel che sarà, il tempo lo mostrerà; ma potrebbe anco essere che chi si tiene di non poter fallare, avesse anco in questo particolare errato.2

La ritirata di monsieur Pithou ha proposta più condecente: mira nondimeno al fine di prima, perchè senza dubbio a chi si prega conviene render grazie non di sole parole. Io dubito che in una tale occasione sii maggior cosa il pregare, che il pagar cinquecento ducati: e perocchè sarà difficile effettuarla, tanto più quanto (come dico) bisognerà pur tuttavia anco aggiungerseli, e meglio sarebbe un mercato e senza altro obbligo. Io ho tanto [p. 115 modifica]desiderio di vedere opera così degna, che mi adopererò con ogni diligenza, sebbene con poca speranza.

Sebbene V. S. sarà fuori di Parigi, quando non debba esserli molesto e vi sii transito sicuro di là al suo castello, non resterò di continuare a scriverle, per il piacere che sento trattando con lei. Mi farà grazia avvisandomi a chi doverò inviare a Parigi le lettere dirette a lei.

Intendo che fu fatto già un’apologia per Giovan Castel.3 Saprei volentieri che cosa sii, e se merita d’esser veduta; perchè se lo difende in jure, mostrando che abbia fatto bene, mi pare tal’esorbitanza, che meriti d’esser veduta, massime se viene da’ Gesuiti; se lo difende solo in fatto, cioè mostri che non è colpevole dell’imputazione, non la stimo niente. V. S. può esser certa per sempre, che da me saranno tenuti secreti tutti li avvisi che mi darà, e qualunque cosa mi scriverà; e quando la cosa stessa ricercherà d’esser comunicata ad alcuno, ciò sarà fatto da me senza però nominarla in conto alcuno. Così oggi mi è parso opportuno dar ad una persona grande la proposizione di che m’avvisa che stima ridicola e io artificiosa; e l’ho fatto senza dir da chi ne fussi avvisato.

Intorno li Paesi Bassi, tengo per ferma l’esclusione della pace, e veggo che V. S. ne ha pronosticato precisamente l’esito come è avvenuto. Così [p. 116 modifica]desidero che s’effettui anco l’esclusione della tregua; di che dubito molto per li uffici efficaci che vengono fatti da Giannino. Non sarebbe questa la prima volta dove uno avendo orato fintamente, abbia persuaso da dovero, e con suo dispiacere. Poi abbiamo avviso che il legato doverà presto essere in Italia, di ritorno di Germania. Questa sarà forse la prima legazione romana, che in questo secolo sii terminata senza frutto.

Li moti nell’Austria sono grandissimi, volendo quelli dalla Confessione Agostana le chiese loro aperte. Pare che li baroni dell’inferiore siino ristretti in unione, e quelli della superiore si siino anco impadroniti de Linz. Dubitano alcuni, che l’impresa dell’arciduca Matthias debba riuscire come quella che fece in Brabanzia. In Italia le cose passano per tutto con silenzio; salvo che s’intende che il pontefice proceda contro molti delli baroni romani, essendo anche un principale prigione, con non poco pericolo della vita. La ritirata ancora del cardinale Aldobrandino, la quale tuttavia continua,4 dà che pensare assai alla Corte, la quale non è intieramente soddisfatta che le cose passino nella maniera incominciata. Garbugli sono per tutto: Dio, che solo sa cavar bene del male, li temperi secondo il suo santo beneplacito. Io resto con desiderio di far cosa grata a V. S.; alla quale, per fine di questa, bacio la mano.

Di Venezia, li 30 settembre 1608.




Note

  1. Edita: come sopra.
  2. Penetrante e insieme arguta puntura, anche perchè quel francescano, da ben altro guidato che dalla coscienza, ebbe a finir male i suoi giorni.
  3. Giovanni Chatel, il famoso regicida e discepolo dei Gesuiti, che nel dicembre del 1594 avea tentato di uccidere Enrico IV. Dell’Apologia di cui parlasi, fu autore il fanatico arcidiacono Giovanni Boucher, che la pubblicò sotto il nome di Francesco de Verone, e fu per altri tradotta in latino, col titolo di Jesuita sicarius.
  4. Parlasi del cardinale Cintio Aldobrandino, protettore di Torquato Tasso; e che, tuttavolta, era allora malato di pietra e morì nel gennaio del 1610.