Lettere (Machiavelli)/Lettera VI a Francesco Vettori

Lettera a Francesco Vettori

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Lettera a Francesco Vettori
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VI.


A FRANCESCO VETTORI IN ROMA.


Magnifice Orator mihi plurimum honorande.


IO nel mezzo di tutte le mia felicità non ebbi mai cosa che mi dilettassi tanto quanto e ragionamenti vostri, perchè da quelli sempre imparavo qualche cosa; pensate adunque, trovandomi ora discosto da ogni altro bene, quanto mi sia stata grata la lettera vostra, alla quale non manca altro che la vostra presenzia et il suono della viva voce; e mentre la ho letta, che la ho letta più volte, ho sempre sdimenticato le infelici condizioni mia, e parmi essere ritornato in quelli maneggi, dove io ho invano tante fatiche durate e speso tanto tempo. E benchè io sia votato non pensare più a cose di stato nè ragionarne, come ne fa fede l’essere io venuto in villa, et avere fuggito la conversazione, nondimanco, per rispondere alle domande vostre, io sono forzato rompere ogni voto, perchè io credo essere più obbligato alla antica amicizia tengo con voi, che ad alcuno altro obbligo io avessi fatto ad alcuna persona; massime facendomi voi tanto onore, quanto nel fine di questa lettera mi fate, che, a dirvi la verità, io ne ho preso un poco di vanagloria, sendo vero quod non parum sit laudari a laudato viro. Dubito bene che le cose mie non vi abbino a parere dell’antico sapore, del che voglio mi scusi lo avere col pensiero in tutto queste pratiche abbandonate, et appresso non ne intendere delle cose che corrono alcuno particolare. E voi sapete come le cose si possono bene indicare al buio, e massime queste; pure ciò che io vi dirò sarà o fondato sopra ’l fondamento del discorso vostro, o in su’ presupposti miei, e quali se fieno falsi voglio me ne scusi la preallegata cagione.

[p. 19 modifica]Voi vorresti sapere quello che io creda che abbi mosso Spagna a fare questa tregua con Francia, non vi parendo che ci sia dentro il suo, discorrendo bene ogni cosa da tutti e versi; in modo che, giudicando da l’un canto il re savio, da l’altro parervi che li abbi fatto errore, siete forzato a credere che ci sia sotto qualche cosa grande, che voi per ora, nè altri, non intendete. E veramente il vostro discorso non potrebbe essere nè più trito nè più prudente, nè credo in questa materia si possa dire altro. Pure, per parere vivo e per ubbidirvi, dirò quello mi occorre. A me pare che nessuna cosa vi facci stare tanto sospeso, quanto il presupposto che fate della prudenza di Spagna. A che io vi rispondo che Spagna parse sempre mai a me più astuto e fortunato, che savio e prudente. Io non voglio ripetere più le sue cose in lungo, ma venire a questa impresa fatta contro a Francia in Italia, avanti che Inghilterra movesse o che credessi al certo che li avessi a muovere, ne la quale impresa a me parve e pare, non ostante che l’abbi auto il fine contrario, che mettessi senza necessità a pericolo tutti li stati suoi, il che è cosa temerarissima in un principe. Dico senza necessità, perchè egli aveva visto pe’ segni dello anno dinanzi, dopo tante ingiurie che ’l papa aveva fatte a Francia, di assaltarli li amici, voluto farli ribellare Genova, e così, dopo tante provocazioni che lui aveva fatte a Francia, di mandare le genti sue con quelle della Chiesa a’ danni de’ suoi raccomandati, nondimanco sendo Francia vittoriosa, avendo fugato il papa, e spogliatolo, distrutti e sua eserciti, possendo cacciarlo di Roma, e Spagna da Napoli, non lo avere voluto fare, ma avere volto l’animo a lo accordo; donde Spagna non poteva temere di Francia; nè è savia la cagione che si allegassi per lui, che lo facessi per assicurarsi del regno, veggendo Francia non ci avere volto l’animo per essere stracco e pieno di rispetti. E se Spagna dicessi: Francia non venne innanzi allora perchè gli ebbe il tale et il tale rispetto, che un’altra volta non gli [p. 20 modifica]avrebbe avuti; rispondo che tutti quelli rispetti che li ebbe allora era per averli sempre, perchè sempre il papa non doveva volere che Napoli ritornassi a Francia, e sempre Francia doveva avere rispetto al papa et all’altre potenzie, che non si unissino, veggendolo ambizioso. E s’uno dicessi: Spagna dubitava, che non si unendo con il papa a fare guerra a Francia, il papa non si unissi con Francia per sdegno a fare guerra a lui, sendo il papa uomo rotto et indiavolato come era, e però fu costretto pigliare simil partito; che risponderei? che Francia sempre s’arebbe più presto convenuto con Spagna che con il papa, quando avessi in quelli tempi possuto convenire o con l’uno o con l’altro, sì perchè la vittoria era più certa, e non ci si aveva a menare arme; sì perchè allora Francia si teneva sommamente iniuriato dal papa, e non da Spagna, e per valersi di quella iniuria e satisfare a la Chiesa del concilio, sempre arebbe abbandonato il papa; di modo che a me pare che in quelli tempi Spagna potessi essere o mediatore d’una ferma pace, o compositore d’uno accordo sicuro per lui. Nondimanco e’ lasciò indreto tutti questi partiti, e prese la guerra, per la quale poteva temere che con una giornata ne andassino tutti li stati suoi, come e’ temè quando e’ la perdè a Ravenna, che subito dopo la nuova della rotta, ordinò di mandare Consalvo a Napoli, ch’era come per lui perduto quel regno, e lo stato di Castiglia li tremava sotto. Nè doveva mai credere che svizeri lo vendicassino et assicurassino, e li rendessino la reputazione persa, come avvenne; in modo che, se voi considerrete tutta quella azione e maneggi di quelle cose, vedrete nel re di Spagna astuzia e buona fortuna, più tosto che sapere o prudenzia; e come io veggo fare ad uno uno errore, io presuppongo che ne faccia mille; nè crederrò mai che sotto questo partito ora da lui preso ci possa essere altro che quello che si vede, perchè io non beo paesi, nè voglio in queste cose mi muova nessuna autorità senza ragione. Pertanto io voglio [p. 21 modifica]concludere, che Spagna possa avere errato et intesala male e conclusala peggio.

Ma lasciamo questa parte, e facciamolo prudente, discorriamolo come partito di savio. Dico adunque, facendo tale presupposto, che a voler nettamente ritrovare la verità di questa cosa, mi bisognerebbe sapere se questa tregua è stata fatta dopo la nuova della morte del pontefice et assunzione del nuovo, o prima, perché forse ci si farebbe qualche differenzia; ma poiché io non lo so, io discorrerò presupponendo che la sia fatta prima. Se io vi domandassi adunque quello che voi vorresti che Spagna avessi fatto, trovandosi ne’ termini si trovava, mi risponderesti quello mi scrivete; cioè che gli avessi potuto far pace con Francia, restituitogli el ducato per obbligarselo e per torli cagione di condurre arme in Italia. A che io rispondo, che, a discorrere questa cosa bene, si ha a notare che lui fece quella impresa contro a Francia per la speranza aveva di batterlo, farcendo per avventura nel papa, in Inghilterra e nello imperadore più fondamento che non ha poi in fatto veduto da farvi; perché dal papa e’ presuppose trarre danari assai; dall’Imperatore credeva venissi contro al re qualche offesa gagliarda; credeva che Inghilterra, sendo giovane e danaroso e ragionevolmente cupido di gloria, qualunque volta e’ fussi imbarcato, avessi a venire potentissimo, talemente che Francia in tutto avessi et in Italia et a casa, a pigliare le condizioni da lui; delle quali cose non gliene è riuscita veruna, perché dal papa ha tratto danari nel principio, ma a stento; et in questo ultimo non solum non li dava danari, ma ogni dí cercava di farlo ruinare, e teneva pratiche contro di lui; dall’Imperatore non è uscito altro che la gita di Mons. di Gursa, e sparlamenti e sdegni; da Inghilterra gente debole, incompatibile con le sue; di modo che, se non fussi lo acquisto di Navarra, che fu fatto innanzi che Francia Bassi in campagna, e’ rimaneva l’uno e l’altro di quello esercito vituperato, ancorachè [p. 22 modifica]non abbino riportato se non vergogna, perchè l’uno non escì mai delle macchie di Fonterabia, l’altro si ritirò in Pampalona, e con fatica la difese; dimodochè trovandosi Spagna stracco in mezzo di questa confusione d’amici, da’ quali, non che e’ potesse sperare meglio, anzi ogni dì peggio, perchè tutti tenevano strette pratiche d’accordo con Francia, e veggendo da l’altra parte Francia reggere a la spesa, accordato co’ Veneziani e sperare ne’ Svizzeri, ha giudicato che sia meglio prevenire con quel Re in quel modo ha possuto, che stare in tanta incertitudine e confusione, ed in una spesa a lui insopportabile, perchè io ho inteso di buono luogo, che chi è in Spagna scrive quivi non essere danari nè ordine da averne, e che l’esercito suo era solum di comandati, i quali ancora cominciavono a non l’ubbidire; e credo che il fondamento suo sia suto levarsi la guerra da casa, e da tanta spesa, perchè se a tempo nuovo Pampalona avessi spuntato, e’ perdeva la Castiglia in ogni modo, e non è ragionevole che voglia correre piú questo periculo. E quanto alle cose d’Italia, potrebbe fondare forse più che ragionevole in su le sue genti, ma non credo già che facci fondamento nè in su svizeri, nè in sul papa, nè in sull’Imperatore più che si bisogni, e che pensi che qua el mangiare insegni bere a lui et agli altri italiani; e credo che non abbi fatto più stretto accordo con Francia, di darli el ducato lui, come voi dite che doveva fare, per non lo avere trovato, et anche per non lo iudicare più utile partito; perchè io credo che forse Francia non lo arebbe fatto, perchè di già doveva avere accordato co’ Veneziani, e poi per non si fidare nè di lui, nè delle sua armi, arebbe creduto che lui non facessi per accordarsi seco, ma per guastarli li accordi con altri. Quanto a Spagna, io non ci veggo veruna utilità, perchè Francia diventava in Italia ad ogni modo potente, in qualunque modo egli entrasse nel Ducato. E se ad acquistarlo li fossero bastate l’armi Spagnuole, a tenerlo bisognava che ci mandasse [p. 23 modifica]le sue, e grossamente, le quali potevano dare i medesimi sospetti agli Italiani ed a Spagna, che daranno quelle che venissero ad acquistarlo per forza; e della fede e degli obblighi non si tiene oggi conto. Sicchè Spagna non ci vede sicurtà da questo canto, e dall’altra parte ci vede questa perdita, perchè o egli faceva questa pace con Francia col consenso de’ confederati, o nò; col consenso egli la giudicava impossibile, per non si potere accordare Papa, e Francia, e Veneziani, e Imperadore, tale che a volerla fare d’accordo coi confederati era un sogno. Avendola dunque a fare contro al consenso loro, ci vedeva una perdita manifesta per se stesso, perchè si sarebbe accostato ad un Re, faccendolo potente, che ogni volta che ne avessi occasione ragionevolmente si doveva ricordare più delle ingiurie vecchie ,che de’ benifizi nuovi; e irritatisi contro tutti i potenti italiani, e fuori d’Italia, perchè essendo stato lui solo il provocatore di tutti contro a Francia, che li avessi dipoi lasciati, sarebbe stata troppa grande ingiuria. Però di questa pace fatta, come voi vorresti che l’avessi fatta, e’ vedeva la grandeza del re di Francia certa, lo sdegno de’ confederati contra di lui certo, e la fede di Francia dubbia, in su la quale solo bisognava che si riposassi, perchè avendo fatto lui potente e gli altri sdegnosi, bisognava che li stessi con Francia; et e principi savi non si rimettono mai, se non per necessità, a discrezione d’altri. Sicchè io concludo ch’egli abbi iudicato più securo partito fare tregua, perchè con questa tregua e’ mostra a’ collegati l’errore loro, fa che non si possono dolere, e dà loro tempo a disfarla se la non piace loro, avendo promesso che ratificheranno; levasi la guerra di casa, e mette in disputa et in garbuglio di nuovo le cose d’Italia, dove e’ vede che è materia da disfare ancora, et osso da rodere; e come e’ disse di sopra, spera che ’l mangiare insegni bere ad ognuno, et ha a credere che al papa et a lo ’mperadore, et a svizeri non piaccia la grandeza de’ viniziani e Francia in [p. 24 modifica]Italia, e giudica, se costoro non fieno bastanti a tenere Francia che non occupi la Lombardia, e' saranno almeno bastanti seco a tenerlo, che non vadino piú avanti; e che 'l papa per questo se li abbi a gittare tutto in grembo; perché e' può presummere che il papa non possi convenire con e viniziani né con loro aderenti, rispetto alle cose di Romagna. E cosí con questa tregua e' vede la vittoria di Francia dubbia, non si ha a fidare di Francia, e non ha da dubitare della alterazione de' confederati; perché o lo 'mperadore e Inghilterra la ratificheranno o no: se la ratificano, e' penseranno come questa tregua abbia a giovare a tutti, e non a nuocere; se non la ratificano, e' doverrebbono diventare piú pronti a la guerra, e con maggiore forze e piú ordinate che l'anno passato venire a' danni di Francia; et in ogni uno di questi casi Spagna ci ha lo intento suo. Credo pertanto ch'el fine suo sia stato questo, e che creda con questa tregua, o costrignere lo 'mperadore et Inghilterra a fare guerra da dovero, o con la reputazione loro, con altri mezi che con l'armi, posarle a suo vantaggio. Et io ogni altro partito vedeva periculo, cioè, o seguitando la guerra, o faccendo la pace contro alla volontà loro; e però prese una via di mezo, di che ne potessi nascere guerra e pace.

Se voi avete notato el procedere di questo re, voi vi maraviglierete meno di questa tregua. Questo re da poca e debole fortuna è venuto a questa grandeza, et ha auto sempre a combattere con stati nuovi e sudditi dubii. Et uno de' modi con che li stati nuovi si tengono, e li animi dubii o si fermano o si tengono sospesi et irresoluti, è dare di sé grande espettazione, tenendo sempre li uomini sollevati con l'animo, nel considerare che fine abbino ad avere e partiti e le 'mprese nuove. Questa necessità questo re la ha conosciuta et usatala bene, da la quale è nato la guerra di Granata, li assalti d'Affrica, l'entrata nel reame e tutte queste altre intraprese varie, e sanza vederne el fine, perché el fine suo non è quello acquisto o quella vittoria, ma [p. 25 modifica]è darsi reputazione ne' populi sua e tenerli sospesi con la multiplicità delle facende; e però è animoso datore di principii, a' quali e' dà dipoi quel fine che li mette innanzi la sorte e che la necessità l'insegna; et infino a qui e' non si è possuto dolere né della sorte, né dello animo. Provovi questa mia opinione con la divisione che fece con Francia del regno di Napoli, della quale e' doveva sapere certo ne avessi a nascere guerra intra lui e Francia, sanza saperne el fine a mille miglia; né poteva credere averli a rompere in Puglia et in Calavria et al Garegliano. Ma a lui bastò cominciare per darsi quella reputazione, sperando, come è seguito, o con fortuna o con inganno andare avanti. E quale che li ha fatto, sempre farà, et il fine di tutti questi giochi vi dimosterrà cosí essere el vero.

Tutte le sopradette cose io ho discorse, presupponendo che vivessi papa Julio; ma quando egli avessi inteso la morte sua e la vita di questo, arebbe fatto el medesimo, perché se in Julio e' non poteva confidare per essere instabile, rotto, impetuoso et avaro, in questo e' non può confidare per essere savio. E se Spagna ha punto di prudenza, non lo ha a muovere alcuno benifizio che li abbi fatto in minoribus, né alcuna coniunzione abbino auti insieme, perché allora egli ubbidiva, ora comanda; giucava quello d'altri, ora gioca el suo; faceva per lui e garbugli, or fa la pace.

manca il fine