Lettere (Filippo Sassetti)/Lettera XIX

Lettera XIX

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XIX.

Al Medesimo.


Magnifico Sig. Francesco Osservandissimo.


Questa volta noi abbiamo avuto vantaggio due mesi, perchè le altre navi arrivarono in 5. e noi in 7. e venimmo per fuora, e le altre per dentro, e furono a Mozambique 15. giorni, e di poi in Goa, e il non essere noi iti a Goa importa al Sig. Filippo vicino a 5. mila scudi, e poi abbiamo sofferto tanto travaglio, che se stavamo 15. giorni più a arrivare, moriva nella nostra nave più di 100. persone. Oltre a 25. che ne morì per essere cascati in mare, e’ si sbarcò da 180. malati. Noi per grazia di Dio siamo stati sempre sani. Viene una malattia senza febbre, enfiano le gengìe di tal sorte, che ricoprono i denti, e ancora le gambe enfiano, e diventano nere come uno monachino, e di quello si muore, e secondo me viene dallo stento, perchè vivono della regola, che dà il Re, che è molto poco; pure quando si arriva a buon porto, in ogni cosa si sta bene. Noi arrivammo a Coccino, e in capo di 7. mesi, e uno dì ci sbarcammo. Arrivammo, fate conto, a una cacivacca1 sanza mura, e sanza fortezza, e quella, che chiamano fortezza, è una casaccia; e se questo cane di questo Re di Coccino ci volesse far tagliare a pezzi, bene lo potrebbe fare a sua posta, perchè noi siamo quattro scalzi, e non aremo difesa nessuna; perchè egli quando ci viene (che ordinariamente la sua abitazione è lontano mezza lega) viene talvolta a visitare il Capitano, o un altro, che tiene conto delle cose del Re, e si chiama l’Esattore della faccenda; e questo Re viene quì con 8. o 10. mila persone, e tutte colle loro arme, le quali hanno per usanza o pace, o guerra sempre portate, come diremo archibusi, mezze picche, alcune con .... alcune con rotelle, e spade storte, le quali sono storte allo ’ndentro, e la spada senza punta, larga in cima, e corta, ma tagliano come rasoio; altri hanno certe arme da lanciare, e così sempre ne hanno con se. Il Re se ne viene quì con questa gente, ma ora è alla guerra con 40. mila persone lontano di quì manco 20. leghe; e a questi giorni si trasferì quà per far motto a questo Esattore, il quale è venuto in quest’anno, e si postò lungi di quì una lega di là da uno rio, onde questo Esattore andò a baciargli la mano, e noi di casa andammo in sua compagnia. Lo trovammo come dire in una capannaccia assiso in una seggiolaccia, che da’ ferravecchi se n’avrebbe per 4. crazie2, e ve n’era un’altra, dove si assise l’Esattore; e se gli parla per Altezza, e per interpretre, ancorachè dicono, che intende, e sa parlare Portughese, e sta con gran maestà. Per ordinario questa gente va ignuda; allora si era messa, come diremmo, una camicia infino a’ piedi. Egli era iscalzo, e con gli orecchi forati pieni d’oro, e di gioie, che gli toccavano le spalle. Vi stemmo da un quarto d’ora; e in vero è molto bello uomo, ed ha viso di Re, è grande, ed ha faccia gioviale; egli aveva con se da 100. persone. Questa gente non tiene fede, e credono alla prima cosa, che vedono la mattina. Le loro donne sono a comune, e non possono dire di nò; e quando uno di questa gente entra in una casa a stare con queste donne, lascia per segnale l’arme fuora, e non sarìa nessuno sì ardito, che andasse a dargli noia, vedendo questo segnale. Fu quì già una donna molto bella, come le dà il paese, che le venne a noia essere sì spesso cavalcata, onde per riposarsi prese per risoluzione di tenere una spada, e rotella alla sua porta, ma fu scoperta, e gastigata molto rigidamente. Di più il Re dà danari a uno Bramino, che gli cavalchi la sua favorita. Questi Bramini è una gente, che non mangiano cose vive, e che abbiano sangue. Credono in un loro Dio, e mangiano riso, latte, e un’erba che si chiama Bettre, che dicono essere di grande sustanzia, e gli vedete di continuo andar masticando questa foglia. Quà tutti hanno li denti neri come ebano, il che causa questo Bettre; ma sotto quel nero è gran bontà di denti, perchè sono tanto duri, che con quella foglia mangiano una sementa, che è dentro, come noce moscada, e tanto dura, che io ho provato con un sasso, e ho durato fatica a schiacciarla, ed essi co’ denti la masticano. Quà non hanno mai dolore di denti, e tutta questa generazione ne mangia. Il Re quando favorisce uno, gli dà una foglia di Bettre; noi pensiamo, che non si possa vivere senza pane, e quà non ne mangiano mai, e vivono di riso; e vi dico, che sono certi Neri quì in casa, che piuttosto vogliono del riso, che del pane; e niuno quà sa, che cosa sia pane di grano. In questo paese non c’è frutta nessuna delle nostre. Havvene una sorta, che gli chiamano fichsi, che hanno viso come di un fico nostrale. Hanno un baccello di 5. fave, ed è ritondo, e ce n’è di più sorte gialli, e verdi, e durano tutto l’anno; si leva una pelle, e si mangiano. Se Iddio mi dà grazia che ci rivegghiamo, voglio portare di queste frutte o in cera, o in conserva. Ecci una frutta che si chiama ananasse, la quale è fatta come una pina, ma maggiore, e si monda. Questa a noi altri Fiorentini ci pare la migliore, che ci sia. Un’altra ce n’è, che è come una mela appiola3grande, che si chiama gabbo, e fa una castagna in sul fiore come quelle, che io mandai a Tommaso, che dovete averle vedute. Eccene un’altra grande come un popone, che è piena di quelle castagne; in somma c’è di molte forte frutte, e molto stravaganti. D’uccellami non c’è, che cornacchie e .... Si dice, che sono per tutto il mondo Fiorentini, Padri di San Francesco, e passere; ma di queste non ce ne sono. Sonci di molte galline, ma sono scipite, pagoni, e galline salvatiche, e una sorta di pernice, che non somigliano le nostre, che hanno due sproni per gamba pungentissimi, che passerebbono una mano, e con tutto ciò queste sono carni sciocche, e di poca sustanzia. Ecci buona aria, ma molto caldo, perchè si porta in dosso in tutto dal capo alli piedi dalle 18. once alle 2. libbre, e si va scalzi colle gambe, e le camice sono così sottili, che non si trova la via al buio a mettersele. In somma si fa vita vigliacca; Dio voglia, che io avanzi tanto da poter tornare costà. Vi ringrazio della amorevolezza, e cortesia usatami delli 100. scudi, delli quali io ne sarò buono riconoscitore, e non vi pagherò d’ingratitudine. Per questa volta c’è tanto che fare, che non c’è tempo a scrivere, e anche io non sono ancora bene informato del paese, ed io non vo’ scrivere bugie, anzi fo conto sieno istorie, ma non quelle del Giovio. Intanto tenetemi in vostra grazia, e attendete a fare de’ figliuoli, acciò risorghiate la casa. Vi prego a baciare le mani al Sig. Baccio vostro; così vi prego a baciare le mani, e tenermi in grazia del Sig. Giovanni da Sommaia, e se per loro posso qualche cosa, mi comandino, che io desidero molto di servirgli. Ancora mi raccomanderete al vostro fratello, alli Signori Strozzi, al Sig. Rucellai, e in somma a tutti quelli, che voi pensate, che desiderino il mio bene, e in particolare al Sig. Lelio Torello tanto tanto, che penso, che a quest’ora sarà con moglie, ditegli, che non sia sì da poco, che non sappia fare un figliuolo, che impari da voi, e voi come amico gl’insegnerete. Insino a ora ho visto l’albero della Cannella, e così il pepe. A quest’altro procaccio io vi ristorerò, perchè arò tempo un anno. Quì arrivammo tardi, e subito si comincia a far faccende, e si lavora dì, e notte, e c’è più di 200. persone in questa casa, che travagliano; nè altro, e il Signore Iddio sempre ci aiuti.

Nell’Indie di Coccino il dì 24. di Dicembre 1583..

Filippo Sassetti.



Note

  1. Termine forse mutuato dalla lingua portoghese, sta ad indicare una città piccola e priva di importanza. N.d.C.
  2. La Crazia era una moneta di conio fiorentino, emessa per la prima volta al tempo di Ferdinando I de' Medici. Il termine ha origine probabilmente dal tedesco Kreutzer o Kreuzer, moneta d’argento circolante nei paesi di area germanica. N. d. C.
  3. Ovvero una mela apìa detta anche pomme d’api, genere di mela di piccole dimensioni e molto succosa. N. d. C.