Lettere (Filippo Sassetti)/Lettera III

Lettera III

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III.

Al medesimo

Molto illustre Signor mio


Dispiacemi, che quel pane petrificato arrivasse a sì dolente convito. VS. avrà bene inteso, e veduto, che l’acqua d’Elsa impietra molte cose, e la terra quivi oltre per quelle colline è piena di conche, e di nicchi di diverse sorti. Quì in questo contorno di Lisbona avviene il medesimo, e particolarmente nella pietra morta, e nella sua sostanza si trovano di questi cotali nicchi incorporati, e impietriti, e chi osserva minutamente ogni cosa, trova strane figure; e pure a questi giorni mi dette un amico un dente di cavallo mezzo pietra, e mezz’osso. Se quel pane fu una volta da mangiare, o pure fatto dal caso a quella maniera, come molte spugne si trovano lungo i fiumi, non lo sò; ma è bello veder sulla schiena essere i segni rimasti, come se fossero del tovagliolino, perchè qua, in faccendo il pane, gli spiccano le donne ad uno ad uno, e gli rinvolgono nelle tovaglie, sicchè di sopra vi rimane il rigato della tela. Avrei che dirle molte cose per risponder particolarmente a più quesiti fattimi per la sua lettera ricevuta più fà; imperò elle vorrebono essere trattate con animo un poco più scarico, che il mio non è; e prima, quanto a’ pappagalli bianchi, non ho trovato per ancora chi ne abbia visti. Dimolte altre sorte ce ne vengono insino dall’isole Molucche, che sono presso a cinquemila leghe, i quali sono piccolissimi verdi verdi, con una fascia rossa intorno al collo, che favellano molto bene, e vivono assai. Paternostri di canna d’India non ci si fanno; vengocene bene assai, ed hanno di canna solamente l’ordine delle foglie, che le distinguono, ma non fanno nodo; vengono di Bengala, e dicono, che serpono per la terra lunghissime una, o due leghe; facciamole dugento braccia, per non fare ora la cosa troppo grande. Fannocisi bene corone di legno Aloe preziosissime, che l’odore è atto a risuscitare un morto, molto più belle al parer nostro, che di coralli, d’agate, d’oro o d’altra cosa preziosa. Questo legno si trova in una delle Provincie della China, viene a seconda d’un fiume tutto consumato da’ sassi; ma dove e’ fa, nessuno fino a quì, che vi sia stato, è conosciuto; dicono là, che vengono dal Paradiso terrenale. Di Cedro ci vengono molte casse, e se ne fanno quì di tavole, che vengono dall’Isole Terzere, che sono quì discosto dugentocinquanta leghe, e non costano molto. Ho trovato una confuzione d’Aristotile, che dice, se mal non mi ricorda, che i caratteri sono diversi, dove sia la lingua diversa. Le Provincide della China fra di loro hanno la lingua così diversa, come l’Unghera dalla Italiana, e molto più diversa quella della Java, e del Giapam, che sono discosto migliaja di miglia, e tutti s’intendono per iscrittura, la quale a tutti è la medesima, non avendo caratteri, ma tanti segni, quante sono le cose, i quali segni non si veggono rassomigliarsi a cosa nessuna. Della China viene il musco, che è carne, e sangue d’un animale, che dicono essere della grandezza della golpe, a’ quali presi, ammazzati, e morti, legano la pelle con la carne giunta così a bitorzoli, e quando e’ sono fracidi, gli tagliano, e sì gli vendono, e questi bitorzoli sono le vesciche, e quando sono secchi, si vede che sono una mestura di carne, e sangue corrotta. Di là vengono le porcellane, come saà VS. della materia delle quali ne scrive uno Portoghese così: La materia della porcellana è una pietra bianca tenera, altra è vermiglia, che non è tanto fine, o per meglio dire, è una terra dura, la quale dipoi ben pesta, e macinata gettano in vivai d’acqua, che tengono molto ben forti di pietra quadrata, ed alcuni ingessati, che sono molto puliti, e dipoi bene dimenata nell’acqua, del fiore, che resta di sopra, fanno le porcellane molto fini; e tanto quanto più a basso la pigliano, sono più grosse, e di quella, che sta nel fondo, fanno lavori, di che si serve la gente povera. Fannola di quella terra della maniera, che i pentolai fanno qualunque altro vaso, e dipoi fatte, le rasciugano al Sole, e poi le dipingono come vogliono con l’indaco; dipoi dipinta, e rasciugata, la invetriano, e invetriata la cuocono. Il luogo proprio, dove ella si faccia, non lo dice, e perciò ancora io lo taccio. Ha quì un giovane Pratese Andrea Migliorati per nome, che servì già S.A. nella miniera del ferro di Pietrasanta, e dice, che la pietra, con che si fanno le bocche de’ forni da colare il ferro in detto loco sopra a Seravezza a due miglia, è molto simile a questa, per esser bianca, e molto tenera, quando ella si cava per quello effetto, e capace di pestarli, e che ella si cava d’una villa verso la Pania, che si chiama Stazzema, e dice, che quando ella si cava, ella si sarebbe come farina, e cotta, viene durissima, siccome viene la porcellana, ed altresì diviene bianca come latte, che in cavandola pare bigerognola. In somma, egli stima, che se ella non è della medesima spezie, che ella vi si accosti ben presso. Gli smoderamenti, che raccontano di quei paesi, sono grandi, come che una delle Città minori, capo pure di Provincia, non si attraversa a cavallo da Sole a Sole. La polizìa è cosa considerabile, stante massime il mantenimento di quello Stato. Leggi proprie senza disciplina, e nel fare roba la coscienza la coscienza non vi ha luogo, e le più delle cose, che si raccontano, pajono incredibili, però mi taccio di loro. Sarebbeci da fare un pieno trattato del reggimento della Calamita, della quale sono forse note fino a quì le minori virtù, dimostrando non pure il polo, ma dando il modo di trovare la longitudine, e non sono queste canzone; ma hanno a tirar le cose di bocca a costoro con le tanaglie, sicchè e’ si stenta, e bisognerebbe andare. Avviene di loro questa virtù della Calamita quello, che avveniva d’un Cardinale, che aveva un uomo letteratissimo in sua Corte, del quale, perchè e’ sapeva d’abbaco, si serviva a fargli rivedere certi suoi conti solamente. Se io potrò discorrerne una volta con V. Eccell. con mia maggior satisfazione, lo farò. V. Eccell. mi tenga in sua buona grazia, e mi comandi, che all’obbligo è congiunta la volontà di servirla.

Di Lisbona agli 8. di Giu8gno 1580.

Affezionatis. servit.

Filippo Sassetti.