Lettere (Andreini)/Lettera I

I. Di quanto pregio sia l’honore.

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I. Di quanto pregio sia l’honore.
Ritratto Lettera II
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LETTERE

D’ISABELLA

ANDREINI

PADOVANA,

Comica Gelosa, & Academica Intenta, nominata

L’ACCESA.


Di quanto pregio sia l’honore.


ER quelle parti, che meno in me vi dispiacciono, pregovi ad haver un poco piu di riguardo all’honor mio per l’avvenire, di quello, che v’habbiate havuto per lo passato. Lo spasseggiar, che fate del continuo sotto le mie fenestre, mi fa haver mala vita dal Marito, e cattivo nome dalla vìcinanza. Siate dunque più geloso della mia riputatione, che non siete stato, e ricordatevi, che ’l dishonore è peggior della morte, perche la morte con un colpo uccide un solo, e ’l dishonore con un colpo uccide le famiglie intere, e tanto più facilmente, quantopiù son grandi. Voi sapete, che sì come l’honore è un segno della virtù, così ’l dishonore è un segno del vitio. Quando per mia disgratia dunque io volessi

[p. 1v modifica]dishonoratamente per le lingue, e per gli orecchi delle genti sarebbe segno di vitio, che in me fosse, ilche non essendo poi in effetto mi darebbe occasione di viver sempre infelice, e sarebbe un peso così greve, e così aspro, che in questo mar tempestoso della vita innanzi tempo mi trarrebbe al fondo. Il proprio seggio dell’huomo è la terra, de gli uccelli l’aria, de’ pesci l’acqua, e della donna l’honestà, non cercate vi prego di levarmi dal mio proprio seggio. Io hò tanto giuditio, ch’io conosco l’honore valer molto più della vita, perche ’l viver è commune a tutte le cose animate: ma ’l viver honoratamente è sol proprio dell’huomo, e dell’huomo prudente: e perche questa voce d’huomo è generale, & abbraccia l’huomo, e la donna, essend’io compresa sotto questo nome, cercherò di governarmi prudentemente, & honoratamente. Non vi sia discaro di rilegger questa mia, e se m’amate, e se desiderate (come dite) di servirmi, fatevi legge del mio volere, e non frequentate più questa strada dell’altre, e vi bacio le mani.

Desiderando io, che ’l silentio coprisse il mancamento del mio ingegno hò tardato tanto à rispondervi; oltre di ciò hò creduto sempre, e credo, che ’l modesto silentio di donna aguagli la facondia, e l’eloquenza de’ più purgati intelletti. Pare à me, che ’l silentio sia ornamento di qual si voglia persona; e quand’uno non sà tacere, si può agevolmente credere, ch’ei non sappia ne anche parlare. Non dico già io questo, perch’i voglia, che dal mio silentio facciate argomento infallibile, che sapendo tacere, io sappia [p. 2r modifica]ancor parlare, che quanto à me, sì come sò di saper tacere, così ancor sò, ch’io non sò nulla dico bene, che non mi pare d’haver errato affatto, se conoscendo di poter facilmente tacere, e difficilmente parlare, hò eletto il silentio. La vostra dottissima lettera, richiedeva, e ’l mio gran desiderio mi spronava, ch’io rispondessi, con tutto ciò sarei stata poco accorta s’havessi voluto, o bene, o male inconsideratamente formar risposta, non si dee parlar prima, e pensar poi, hora ch’hò pensato vi risponderò, ma che dich’io? quando ancora molto bene pensassi e ripensassi, non potrei mai à tanti capi, e tutti elegantissimi sodisfare. Nella vostra lettera si contengono cose tali, che ognuna d’esse basterebbe per tener isvegliata l’ignoranza mia un anno senza far alcun profitto. brevemente dunque m’ingegnerò di risponder alla somma, e non à particolari, come la Natura m’insegnerà, laquale non per altro m’imagino io ci hà dato duo occhi, due orecchie, & una lingua, che per farci conoscere, che dobbiamo vedere, & udir assai, e parlar poco. La somma di quanto mi scrivete, è, che non desiderate cosa più che parlarmi, à che rispondo, che, se Dedalo non vi presta l’ali egli è impossibile, che v’accostiate a me senz’esser da miei parenti sentito. Se voi col giuditio vostro sapete trovar modo opportuno, e commodo, io per vostra soddisfattione ne rimarrò contentissima. Frà tanto Iddio vi dia quel contento, ch’io desidero, e che non posso darvi.