Lettere (Andreini)/Lettera CIX

CIX. Della militia dell’amare.

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CIX. Della militia dell’amare.
Lettera CVIII Lettera CX
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Della militia dell’amare.


D
OPO haver amate, e servite molte donne, dopò haver sotto lo stendardo d’Amore e combattuto, e travagliato, e sopportate tante, non men gravi che noiose cariche, finalmente stanco pensai dalle amorose imprese poter ritrarmi, e riportando dal mio gran Capitano Amore, il ben servito, godermi in pace il rimanente de’ miei giorni,

[p. 104r modifica]e con dolce memoria ricordarmi delle passate miserie, essendoche (come si dice) è grandissimo contento à chi è fuor delle pene il raccontarle; ma m’è avvenuto tutto al contrario. Pensai d’una tranquilla vita gioire à guisa di quel soldato già vecchio; ilquale dopò haver con generoso cuore nelle pericolose battaglie à piede, & à cavallo sostenute mille fatiche, e passati mille risichi nelle zuffe, ne gli assedi, negli assalti, nelle fughe, nelle imboscate, nelle stragi, e ’n somma in tutti quei modi ne i quali soldato di valore suol passar pericolo di morte, sofferendo fame, sete, caldo, freddo, e mill’altri disaggi, carico d’anni, e d’honore quietamente si riposa, raccontando sovente le guerre andate, e i pericoli scorsi, mostrando le cicatrici delle ferite, dallequali, se sparse già sangue, ne raccoglie allhora gloria; ma nemica Fortuna non vuol così. Benche i’ habbia non men penato, e non men post’à pericolo la vita servendo Amore, di quello che si faccia il buon sodato servendo Marte, con tutto ciò non m’è conceduto riposo. Io hò servito chi mi sprezzava, io di giorno, e di notte trà emuli nemici più volte son passato, quando aprendomi la strada col ferro, e quando tentandola con gli inganni, io hò sostenuto l’amarissimo dispiacere di saper, ch’altro amante di me più fortunato habbia raccolto il frutto delle mie fatiche, io hò sopportata la fiera, e dispietata morte d’un’amara, e lunga lontananza, io gran tempo hò amato senza speranza, non che senza ricompensa, io hò tolerato l’aspro affanno di veder donna da me riverita, fatta [p. 104v modifica]interamente d’altrui fortuna più che d’altrui merito guiderdone, io son dalla gelosia stato tormentato in modo, che non è possibile il dirlo, io con pacienza hò sofferto gli sdegni, l’ire, e le mutationi ingiustissime d’un’anima incostante, per cui m’hò sentito ardere, & agghiacciar il cuore in un punto, io dopò haver con un perfetto amore, con una lunga servitù, con mille sospiri, con mille preghi, e con mille lagrime ottenuta la donna desiderata, per sua instabilità l’hò perduta, e nel perderla hò provata una viva morte, e un tormentoso inferno, e finalmente hò sofferto quanto d’amaro è in amore, e ’n ogni modo (me dolente) non m’è dato di respirare, non che di goder libertà: ò mie vane speranze: ò miei folli pensieri: o me più sfortunato che mai, eccomi di nuovo caduto ne gli usati tormenti; ma che dich’io ne gli usati? poiche questi son tanto maggiori de i primi quant’è più cocente la fiamma del fumo. Io pensai (lasso) che quando Amore havesse voluto maggiormente contra me incrudelire, e ritrovar più fieri, e più aspri martiri, per affligermi, non havesse potuto farlo; ma hora m’avveggo quanto ingannato mi sia. Ah, che smisurato è l’ardore di que’ begli occhi, che novellamente m’infiamma. Ahi che quella mano, per mio mal troppo bella m’ha con dolor non più sentito trafitto il cuore, predati i sensi, e ’ncatenata la ragione, e per far la mia doglia più grave, dove Amor le altre volte mi fece come lui cieco, hora m’hà lasciato il veder libero, e senz’alcun impedimento, sol perche meglio i’ vegga le mie pene nel vostro merito, e nella mia [p. 105r modifica]bassezza, laqual conoscenza mi toglie lo sperar, che la servitù mia possa in alcun tempo conseguir un solo de’ nostri alti pensieri, e per maggior mio male questa conoscenza della nostra disparità, non può frenarmi sì, ch’io non v’ami. Veggo posta in amarvi la mia infelicità, corro ad occhi aperti à far naufragio, nè schivar posso il pericolo, ilche può senz’altro assicurarvi, che voi sola siete Signora della mia libertà; ma, se lo spirito nostro è stato creato, perche si levi in alto, qual maraviglia sarà, e qual riprensione potrem noi darli, s’egli aspira, all’altezza de’ vostri altissimi meriti? dunque amand’io donna dotata di tanta eccellenza, sarò privo di giudicio à dolermi, anzi, se ben considero il dolor, ch’io sopporto dee bastare per degna ricompensa della mia amorosa servitù. O soavi, ò gradite pene d’amore non venite meno, poiche tanto mi dilettate, che d’altro non temo, che di rimaner di voi privo, & eleggerei prima di morire, che d’udir, ch’altro amante fosse più appassionato di me, volend’io, che ’l Mondo conosca, che s’io non son buon per servirvi, son buon’almeno per languir per voi.