Lepida et tristia/I misteri del giovane cuore

I misteri del giovane cuore

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L'uomo grande e la donna piccola Il sogno del Natale

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I MISTERI DEL GIOVANE CUORE



S
ei febbraio. Giorno nebbioso d’inverno. L’influenza

si muta in polmonite. Le vittime della vii malattia sono molte. Il giornale del mattino, oltre a queste notizie, portava una lunga fila di annunci mortuari.

— Perchè non parte il tram? (ero sul tram del Sempione).

— Perchè è impedita la linea.

Nel tram non v’era alcuno, tranne che una giovanetta operaia imbacuccata, infagottata in uno scialletto di lana bianca che gli imprigionava la testa, ed era fermato entro una molto goffa collarina di pelo. Non la si vedeva bene nel volto, nè io mi curai di guardarla: ma quando un fruscio di seta, come foglie secche smosse, e un’ondata di viole entrò nel carrozzone (era una elegantissima mondana, coperta di tutte le più assurde e audaci stravaganze della moda, la quale era salita e si era seduta [p. 240 modifica]nell’attitudine di un idolo), allora l’operaia levò gli occhi placidi da una lettera che stava leggendo e li fece correre poi avidamente dalla testa ai piedi di quell’ammirabile creatura muliebre che pareva simbolo della Vanità, eterna, onnipotente. Anche le pupille di costei si mossero, appena, entro il bianco degli occhi, cui due lunghe striscie di bistro davano risalto: sfiorarono l’operaia appena; poi si ricomposero nella attitudine di prima.

Gli sguardi di due giovani donne che si incrociano, contengono un tesoro di osservazioni di cui farò grazia a chi legge. E certo che, a prima vista, è impossibile fare un inventario più sottile per precisione. Le qualità naturali, palesi ed occulte, le qualità artificiose della moda e dell’eleganza sono stimate sino all’ultimo millesimo del loro valore. A questa prima operazione, se ne aggiunge una seconda, di solito: raffronto con le proprie qualità, argomento di gioia o di sconforto; e tutto questo avviene nell’attino in cui le quattro pupille si incrociano.

Finalmente il tram si mosse.

Il tram correva in mezzo a una nebbia lattea, densa, maligna, da cui in alto emergevano i cornicioni barocchi dei palazzi di via Dante: la statua di Garibaldi che pareva seccato di essere posto a ridosso di quel suo greve cavallo; la statua del Parini, più seccato ancora di essere stato condannato all’immobilità fra il palazzo della Borsa e una Banca di Assicurazione, egli che cantò me non nato a percuotere e i colli beati. Fissatela bene, e quella statua vi dirà: — Sono seccato, seccato! Voglio andar via, via! — In basso, sul suolo viscido, sbucavano due convogli funebri: il prevosto, assai pingue, pareva tremare sotto la cotta bianca, e sospirare la cioccolata e il letto caldo dove non entra influenza. [p. 241 modifica]

Convogli funebri? Influenza? Polmonite? Crisi parlamentare? Idealità del Parini? Monumento di Garibaldi? Ma chi ragiona di queste vane cose?

L’amabile operaia doveva ignorarne persino l’esistenza; e il sole, che predilige le cose giovani, e già trapelava fuor della nebbia, la recingeva di un bellissimo nimbo: bene ho detto amabile perchè amabilissimo ne era il volto tagliato di uno squisito ovale, e sano e libero sotto il tenue e signorile pallore, doveva scorrere il sangue: e rideva cogli occhi, e rideva con le labbra talvolta, vinta e conquisa da un senso di felicità tanto grande che nulla teme e nulla si cura del mondo. La lettera aperta permise che io leggessi in fondo: «Tuo per la vita».

Ed ella trasse dal seno una seconda lettera.

Ne contemplò prima il recapito, poi il largo sigillo di ceralacca verde, poi l’aperse lentamente come per prolungare la voluttà dell’attesa.

Lesse, rilesse e sorrideva tuttavia, sorrideva con un impercettibile moto delle labbra vigorose, e benchè si vedesse da me osservata, non desisteva dal leggere e dal sorridere.

Il tram era giunto allo incrocio di quella nuova, ampia e bellissima via, che è fiancheggiata tutta da ville e villette, recinti e giardini ben pettinati. V’è la pagoda, v’è il castello, v’è la casa fiorentina del quattrocento: e tutti quei capricci architettonici, fioriti d’incanto al tepore de’ subiti guadagni, risplendevano al sole, e la gran via era, come suole, deserta.

L’operaia raccolse le due lettere, si levò e parve [p. 242 modifica]ben isnella e alta sotto quelle goffe vesti: fece fermare il tram, passò davanti all’idolo: gli occhi velati di bistro e gli occhi ridenti della giovinetta si scontrarono ancora, e scese.

Scese e voltò per il viale dei villini.

Dopo alcun tempo (ma io credo che un quarto d’ora non fosse trascorso) mi accadde di dovere io pure attraversare quella via; e con grande sorpresa vedo ancora la giovane operaia che leggeva, camminando a pena, le sue lettere.

Passandole accanto, non potei a meno di sussurrarle questa sublime e antica sentenza: Amor omnia vincit. Nè ella se ne mostrò offesa, anzi parve riconoscermi e capire bene quel latino, perchè mi sorrise con gradita amabilità.

— La difficoltà è nella scelta — diss’io gravemente. I suoi occhi lampeggiarono sopra di me. E vi passò

da prima questo pensiero: «Cosa c’entra lei?» Ma un secondo pensiero più forte subentrò al primo e questo fu espresso con un sospiro: — Aimè, è proprio così, signore! Oh, come ha fatto lei a indovinarlo? — Io le dissi che avevo grandi studi e grande esperienza del cuore umano, e perciò non solo sapevo indovinare i pensieri, ma davo anche dei buoni consigli. Queste parole e i miei modi garbati finirono per rassicurarla, e perchè il suo animo avea bisogno di confidarsi e di espandersi, così mi parlò liberamente.

— Questa prima lettera è di un bravo giovane, savio, che mi vuole un bene.... un bene..., e mi scrive delle lettere che bisognerebbe stamparle. Pensi che ha passato tutte le scuole! [p. 243 modifica]

— E lei gli vuol bene?

— Oh sì, tanto! Se vedesse come è bellino, come è gentile: se gli comandassi di buttarsi nel fuoco, si butterebbe. Ha appena vent’anni e già guadagna cento franchi al mese. Il suo unico divertimento è andare un po’ in bicicletta la domenica, perchè tutti gli altri giorni è occupato.

— Benissimo! — dissi io. — E un partito eccellente.

— Lo so bene anch’io: oh, se volessi, mi sposerebbe, anche subito.

— Di bene in meglio — diss’io. La giovinetta invece sospirò.

— Perchè sospira — domandai io — non vuol ella prendere marito?

— Lo vorrei, sicuro che lo vorrei, anzi!... ma....

— Ma, cosa?

— Due mie amiche — diss’ella — hanno preso marito: l’una un anno fa, come di questi tempi, l’altra da quattro anni e anche loro m’hanno detto che prijjia erano innamorate....

— Ebbene?

— Che vuole che le dica? La seconda ha già tre figliuoli e una miseria che quando si va in casa sua la si vede camminare, la miseria: ha ottenuto, è vero, il baliatico dalla Congregazione di Carità, ma ci vuol altro.... ci vuole. La prima poi ha un marito più geloso....

— Di Otello — suggerii io.

— Proprio così — riprese ridendo — più geloso d’Otello. Oh, a me un marito geloso non piacerebbe niente.

— Giustissimo, signorina! Desdemona ha fatto una fine infelice: è stata strozzata.

L’amabile operaia rabbrividì.

— Oh, io, non vorrei per nulla essere strozzata!

I villini, presso cui passavamo, ostentavano la loro [p. 244 modifica]ricchezza. Da un cancello usciva un coupè: dentro si vedevano delle cosine candide: bambine senza dubbio.

— Ecco, veda — disse lei — così mi piacerebbe prendere marito: un bell’appartamento col calorifero, con la carrozza, col giardino, oh, così va bene.

— Ma il suo fidanzato — dissi io — se è così savio, come lei dice, e così bravo, finirà col farsi una buona posizione....

— Oh certo! Il suo principale con l’anno nuovo lo metterà a cento cinquanta al mese.... Ma e poi quell’altro?

— Ma già, — diss’io, — c’è quell’altro; me l’era dimenticato. Chi è quest’altro?

Arrossì a pena poi disse:

— Un tenente....

Io feci un atto che non parve incontrare la sua approvazione perchè aggiunse presto con entusiasmo:

.... un tenente scic! di quelli con le bande gialle!

È nobile: veda qui lo stemma. E fiorentino, e bisogna sentirlo come parla bene in francese. Fa sempre passare tutto il suo squadrone sotto le mie finestre e mi guarda di sopra il suo cavallo che pare mi voglia mangiare. Alle corse di S. Siro l’ho sempre visto in stage coi primi signori....

— E lei vuole anche a lui un pochino di bene, scommetto, — diss’io.

— Come si fa? me ne vuole tanto lui!...

— Ma insomma a chi vuol più bene, al primo o al secondo?

— Sarebbe al primo.... ma....

— Ma, cosa?

— Il secondo, veda, ha giurato che o mi rapisce, o uccide qualcheduno, o si uccide se non gli corrispondo: la lettera dice chiaro.

— Altro è dire, altro è fare! — diss’io. [p. 245 modifica]

— Capisco, ma sa lei che ha già avuto tre duelli?

— Allora la cosa si fa molto seria....

— Altrochè! Serissima.... E lei che consiglio mi darebbe?

— Io? Io nei suoi panni sa che farei? Lascierei il primo....

— E poi?

— E poi lascierei anche il secondo....

Mi fissò in volto le sue ingenue pupille....

— .... e ne sceglierei un terzo, — conclusi.

Se ne ebbe a male, e disse: — Sempre così loro uomini: scherzano su tutto; anche su le cose più serie, come è questa.

L’aria le pungeva il grazioso visino. Con la mano gentile si compose lo scialletto entro il collarino. — E brutto questo — disse: — donano invece molto quei bei collarini di renard, grossi, con la testa e le zampe. Ha visto come stava bene quella signora che era con noi in tram?

— Elegantissima, — diss’io.

— Tutto ultima moda: adesso usano gli anelli in tutte le dita: e la sottana, dice un giornale di mode, deve essere fatta come un fiordaliso, che sarebbe come?

Io le spiegai che cosa fosse il fiordaliso, ed ella trovò il paragone molto bello e mi ringraziò.

— Dunque, signorina, tornando a noi, lei che intende fare?

Sorrise accortamente: — Adesso vado da una mia amica, in fondo di corso Vercelli. Lei legge tanti bei romanzi e sa mettere nelle lettere tante belle espressioni romantiche....

— E risponde al primo....

— No, rispondo a tutti e due, due belle lettere....

— Ma allora le cose rimangono come prima....

— Sicuro! Cosa vuole che stia lì a impazzirmi la testa? [p. 246 modifica]

— Verissimo, signorina: e poi?

— E poi.... da cosa nasce cosa, come si dice: io starò a vedere chi mi vuol più bene, chi mi dà più prove d’amore, non le pare?

Non si potrebbe ragionar meglio — diss’io.

— Vero?

E ci lasciammo. Ed io la vidi allontanarsi agile come una cutrettola, e mi convinsi che quella giovinetta era molto più savia di me che ho più età, più esperienza e so anche il latino,