Le nostre fanciulle/Parte Prima/La preparazione

La preparazione

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LA PREPARAZIONE

Nella mia giovinezza, già parecchie signorine, finita la Scuola Superiore, la quale era frequentata a Milano dalle fanciulle della borghesia ricca (che allora si diceva borghesia alta, perchè, avendo da parecchie generazioni raggiunta la ricchezza, aveva anche acquistate tutte quelle doti e quelle abitudini di vita, non solo esteriori, ma intrinseche, che sono proprie dell’aristocrazia, e viveva ormai in comune con essa), parecchie signorine, dicevo, facevano poi coraggiosamente un anno di pratica nelle Scuole pubbliche e si presentavano agli esami per avere la patente di Maestra.

— Impara l’arte e mettila da parte — dicevano allora molti babbi. — Si sa come si nasce, ma non si sa come si muore. — E pareva cosa stupefacente di modernità quel presentarsi di signorine appartenenti a famiglie ricche ad [p. 14 modifica]esami magistrali. In realtà, quelle patenti servirono a poco.

Nuovi regolamenti portarono la necessità di altri esami per concorrere a posti governativi e municipali e si trovò difficile sottoporvisi; quando sono passati molti anni, purtroppo si dimentica tutto ciò che pedanti programmi scolastici insegnano. Alcune signorine però, con quel diploma, poterono più facilmente avere posti di istitutrici private; una, per mezzo di alti appoggi, ottenne un posto di ispettrice governativa.

Intanto i tempi diventarono più difficili; ciò che le signorine fecero allora con un sentimento di previdenza che faceva sorridere, divenne necessità. Tutto un febbrile sviluppo di industrie, di speculazioni, di guadagni improvvisi e ingenti, fece prospera una modesta e operosa borghesia o dei popolani intelligenti e audaci. La vecchia borghesia, riguardosa e onesta fino allo scrupolo, incapace di ardimenti, si trovò inabile a lottare con gli animosi e spesso poco scrupolosi metodi moderni; le sue rendite rimasero stazionarie mentre tutto rincarava, e i timidi tentativi di maggior [p. 15 modifica]guadagno fallirono.

È legge di natura elle il più forte per poter vivere distrugga il debole, e non v’è un successo nostro che non voglia dire sacrificio di altri. Chi gode di aver vinto lascia sempre dietro a sè altri che piangono la loro sconfitta. Quante amare, cocenti lagrime videro e vedono i nostri tempi! Quali drammi nel segreto di famiglie che il mondo non sospetta angustiate dalla difficoltà del vivere! Quante miserie larvate ancora da un’apparenza di ricchezza, che lentamente scompare! Bisogna preparare i nostri figliuoli alla possibilità di un rovescio di fortuna; forti, coraggiosi, ben temprati alla lotta; e bisogna combattere in essi la timidità, come una delle più pericolose cause di insuccesso e di infelicità.

Chi oggi è circondato dagli agi, deve pensare che storicamente popoli e individui segnano una parabola, e che nulla è più incerto della ricchezza; non si deve abbandonarsi alla dolcezza del navigare su una barca manovrata dagli altri, ma si deve imparare ad esser pronti a prendere all’occorrenza remi e timone. Quante famiglie io vidi, sbalestrate come [p. 16 modifica]foglia al vento da improvviso mutamento di fortuna! Quante donne io vidi, rimaste vedove, impacciate, desolate della loro inettitudine! Quante fanciulle invidiare i loro uomini, che potevano dalle loro mani, dal loro cervello cavar lavoro e guadagno, e prendere deliberazioni dolorose ma salutari, — come quella dell’emigrare — per strapparsi a tutti i legami di convenzioni, di pregiudizi, di riguardi familiari che così spesso ostacolano il libero slancio di gente che deve rinunciare a una vita oziosa per mettersi a lavorare.

Vi sono vecchie famiglie, viventi ora in campagna, che languiscono in un’oziosità che le annienta. O tu, coraggiosa figliola che porti un gran nome, e che dal tuo antico storico castello del Piemonte mi scrivi lettere così desolate, tu sapresti dire meglio di quel che io possa che cosa sia la vita di una madre con cinque figliole ridotte alla solitudine, in una crescente miseria, incapaci di uscirne, vendendo a uno a uno gli antichi quadri e gli antichi mobili, così da rimanere nello squallore di una grande casa quasi vuota.

Cinque figliole che hanno tutte [p. 17 modifica]un’intelligenza e due mani e un’anima vibrante, e che i pregiudizi materni tengono incatenate nell’ozio più completo. «Quando si ha un nome come quello che voi portate, non si può disonorarlo col lavoro!» dice quella madre nell’anno di grazia 1914, nella nostra Italia, nel forte, laborioso e civilissimo Piemonte! Pensate poi in altre regioni meno evolute!

Eppure quale magnifico esempio danno tante altre fanciulle!

Ebbi l’inverno scorso la visita di una deliziosa signorina che si era fatta precedere dal biglietto di una mia cugina, la quale mi presentava la marchesina B.

Deliziosa! è la parola, per dire la sua bellezza fine, la sua eleganza fatta di semplicità di linee e di distinzione, ma soprattutto per esprimere il fascino dalla sua serena e coraggiosa sincerità.

— Noi non siamo più ricchi: i miei fratelli lavorano o studiano per prepararsi a lavorare; la nostra casina a Roma, ove siamo venuti a stabilirci per l’impiego di mio fratello maggiore, è piccina come una scatola! Mammà può attendervi senza fatica, con l’aiuto di una [p. 18 modifica]domestica che viene solo dalla mattina alla sera. Non è giusto che io faccia la signorina, quando i miei fratelli lavorano. Vede: ho salute, sono smaniosa di trar profitto dalla mia attività. Mi vuol consigliare? —

Oggi questa cara signorina — sempre marchesa dalla punta dei suoi capelli alla punta delle sue scarpine — dà lezioni d’italiano a signorine americane e inglesi, che passano l’inverno nei grandi alberghi di Roma.

L’arte industriale ha oggi aperto nuove vie di lavoro e parecchie signorine in Italia, avendo coltivato seriamente il loro gusto artistico, ne traggono guadagno. A Roma, a Torino, a Milano signorine dell’aristocrazia si dedicarono alla pittura su ceramica, copiando le antiche maioliche che si conservano nei Musei. Ciascuna si fece una specialità di un dato stile, perfezionandosi in modo da destar l’ammirazione degli intenditori ed hanno sempre commissioni anche di interi servizi da tavola.

Un’altra signorina si fece una specialità delle miniature su pergamena, creando piccole scatole e cornici ricercatissime. Un’altra illustra libri e almanacchi, anche per case [p. 19 modifica]estere, e i suoi bimbi sono diventati celebri ormai in tutto il mondo come quelli di Kate Greenway. Molte altre sono vere pittrici, espongono e vendono.

Altre ricamano o fanno trine che vendono alla Cooperativa delle Industrie Femminili Italiane, o alle esposizioni di lavori femminili che ovunque si tengono ogni anno. Parecchie riuscirono a fondare veri laboratori, insegnando a fanciulle povere a ricamare a mano o a macchina, e traggono per esse e per loro stesse un guadagno decoroso.

Quante piccole industrie si potrebbero così fondare in paesi di campagna, di oggetti i più svariati! Conosco una signorina che con l’aiuto di un modesto ma intelligente falegname sta impiantando una piccola fabbrica di mobili antichi e moderni, e già ne trae guadagno.

Una volta le fanciulle sfiorivano sognando un marito; oggi che il maritarsi è diventato più difficile, le fanciulle devono sognare il modo di trar dalla loro vita tutto quel bene e quell’utile che è possibile nel caso che non potessero avere il loro nido.

Nessun fratello d’oggi, con le cresciute [p. 20 modifica]esigenze, potrebbe tirarsi dietro il peso di una sorella, e pensiamo se è possibile che una creatura sana, che sa pensare e volere, possa sottostare oggi a una vita inutile. Tante povere donne ignoranti sanno guadagnarsi il pane e non lo deve fare una donna che ha studiato e che è educata?

— Io sono una stupida — mi disse una volta una signorina. — Creda, non ho disposizione a nulla.

Ella stava in quel momento aggiustandosi un paio di guanti di pelle con una precisione meravigliosa e io le osservai come avesse un’abilità che poche donne possiedono. Ricordo anzi, d’aver indicato allora questa modesta via di lavoro: aggiustar guanti, o, meglio ancora, rammendar calze; e ancora oggi sono sicura che se signorine si offrissero alle famiglie per rammendar bene le calze, troverebbero costantemente lavoro. Quasi nessuna cameriera oggi lo sa fare (non parliamo poi delle domestiche che fanno tutto, le quali non sanno neppure dare un punto) e con le cresciute esigenze, anche degli uomini, per il loro vestiario, il non rimediare a tempo a punti [p. 21 modifica]sfuggiti, vuol dire una vera distruzione.

Udii una donna del popolo dire, pochi giorni fa: — Oggi non conviene più perder tempo ad aggiustarle! Costano tanto poco! meglio portarle fin che vanno, e poi buttarle via! — Ma noi sappiamo che non è vero: ogni settimana otto o dieci paia di calze ben riordinate, in una famigliuola, rappresentano una sommetta risparmiata, anche se si dovesse spendere due lire a farle rammendare.

Vi sono signorine che in campagna si dedicano con intelligenza e passione all’agricoltura. E io vorrei vederne molte. Nella Lombardia e nel Veneto sono parecchie quelle che si occupano con profitto dei bachi da seta, altre allevano polli, api o sviluppano la coltivazione delle piante da frutta e si dedicano alla confezione di conserve che mettono in commercio, ritraendone un bel reddito.

* * *

Avrete certamente osservato come io non accenni alle innumerevoli professioni nelle quali oggi si sono messe tante giovinette; professioni [p. 22 modifica]che le obbligano a una vita sedentaria in ambienti ove devono stare a contatto con uomini, troppe volte volgari. Gli è che tutte quelle ragazze mi destano un senso di profonda pietà. Esse hanno rinunciato a ciò che forma tanta parte della felicità femminile — l’amore della casa — il governo del proprio nido. Hanno rinunciato a quella indipendenza spirituale che dà il saper vivere solitarie, quando si sa riempire la propria solitudine di ricordi cari, di nobili aspirazioni e di pensieri elevati.

Vi sono oggi migliaia di donne che non possono più vivere che in pubblico; abituate come sono negli uffici, nei laboratori, nelle fabbriche, esse si annoiano, non sanno più che fare delle loro ore, quando sono in casa. Esse non sanno vivere se non sono guardate, e non spendono che per ornarsi. Nelle campagne, le contadine che vanno negli opifici; nelle città molte giovani lavoratrici, molte commesse e contabili, non capiscono come il danaro possa servire a rendere più comoda e più bella la propria casa, a procurare ai propri vecchi un dolce riposo e qualche godimento. È un dilagare spaventevole di vanità e di egoismo. [p. 23 modifica]

Sì, vi sono delle carriere che portano le fanciulle fuor della casa e che pure io incoraggio: per esempio, la carriera di insegnante e la carriera d’infermiera, perchè esse sono veramente femminili e rivelano un sentimento generoso di altruismo, e perchè penso che possono dare profonde soddisfazioni a cuori che troppo dolorosamente sentono la mancanza di amore. Ma la scala del lavoro adatto alle donne è lunga e varia: ve n’è per le ragazze d’ingegno e ve n’è per quelle di limitata intelligenza, per le ardite e per le modeste; per quelle che vogliono una completa indipendenza e per quelle che non saprebbero vivere staccate da ogni legame di sangue e di affetto. Che ognuna studi le proprie attitudini, le coltivi seriamente, le sviluppi, rendendosi capace di produrre utilmente. Non ponetevi con illusioni a un lavoro, senza prima esservi informate se e come renderlo proficuo.

È triste per me di vedere, per esempio, come sia diffusa nelle signorine l’illusione che col lavoro della penna si possa vivere.

La penna dà oggi profitto in Italia a pochissime scrittrici, e più per la loro opera teatrale, [p. 24 modifica]che per i loro romanzi o i loro versi. I grandi giornali hanno, è vero, uno scelto personale di redattori fissi che pagano bene, ma il loro lavoro febbrile ed esauriente non potrebbe essere sopportato da nessuna donna. Se vi dicessi che cosa guadagna in Italia per ogni suo romanzo una delle più feconde scrittrici, ne avreste i brividi.

* * *

Quante volte, rattristata dalla processione di distinte signorine, la maggior parte laureate, che vengono da me a chiedermi consiglio, a pregarmi di trovar loro appoggio di editori, o lezioni, o lavoro purchessia, io ho pensato all’inerzia di tante donne ricche, che si credono benefiche e mai non pensano a tutta questa crescente folla di giovani che, volonterose e dignitose, chiedono lavoro! La loro pietà è tutta per quelli che hanno abiti laceri; e non sanno indovinare quali strazi si nascondano sotto i paltoncini bene spazzolati, quante mani si stringono convulsamente, fredde e supplichevoli nei manicotti, quando, in tono glaciale, esse [p. 25 modifica]rispondono alle timide richieste di lavoro.

Eppure domani le loro figliole potrebbero trovarsi in tale situazione!

Oggi io penso appunto a tutte queste fanciulle che, conquistato un diploma, nutrite di seri studi di pedagogia e di psicologia, invano i cercano lavoro nel quale realizzare i loro ideali.

Io dico loro: fate ciò che io avrei voluto fare, se altri lavori c doveri familiari non mi avessero trattenuta; — fate ciò che i nuovi tempi reclamano in Italia. Unitevi fra voi, due o tre amiche colte, scaldate da una stessa fiamma di bene e desiderose di conquistarvi una posizione indipendente; fondate piccoli collegi all’uso inglese e svizzero, in campagna; attuandovi tutto quel programma di educazione nuova che i tempi richiedono.

Pensate quale magnifico lavoro sia questo! Aiutare a formar la nuova generazione di donne operose, serene, istruendole di ciò che veramente occorre alla vita e fa le coscienze, preparandole sane e serene perchè siano un giorno madri intelligenti e amorose di figli propri o dei figli degli altri.

Mai vi fu un momento più opportuno per [p. 26 modifica]la creazione di tali convitti di famiglia, e quante ville potrebbero essere ben presto trasformate in piccoli collegi!

Badate, però, che chi sceglie questo lavoro deve esserne degno. Non è una speculazione che io suggerisco, è una missione in cui si può, si deve trovare anche il proprio tornaconto. Bisogna quindi intraprenderla con una serissima preparazione, dopo aver passato qualche mese nei migliori Pensionnats dell’estero, a studiarne l’organizzazione pratica e i fini educativi.

Che ogni fanciulla, sia essa ricca o di condizione modesta, mediti su queste mie pagine, scritte da una madre che ha veduto in questi anni molte vicende di famiglie, ha assistito a rovesci e a rialzi di fortuna, ha combattuto essa stessa coi suoi cari una lotta coraggiosa e instancabile.

Oggi, per affrontare le difficoltà della vita, occorre un’energia e un’attività quale non si poteva neppur supporre appena una diecina di anni fa. Non tutte le donne hanno una vita riposante e senza preoccupazioni, la maggioranza non può dedicare il suo tempo a [p. 27 modifica]meditare sui problemi spirituali; non tutte ballilo tracciato il loro quieto e bel lavoro di semplice governo della casa, senza bisogno di economie e di guadagno proprio; anche se mogli e madri devono cooperare a mantenere la loro famiglia: molte giovani vedove con bambini si trovano sole e sprovviste, a dover guadagnar la vita per sè e per loro; molte che non possono oggi essere mogli e madri, hanno bisogno anche moralmente di dedicarsi a un lavoro attivo e assorbente, che procuri loro alte soddisfazioni.

Per aiutarvi a studiare le vostre attitudini e a sviluppare in voi stesse questo sentimento del dovere di una preparazione, a essere creature buone a qualche cosa, io vorrei che ognuna di voi si ponesse innanzi questo questionario:

— Se improvvisamente foste obbligate a guadagnare da vivere, che cosa fareste?

— Vi siete preparate a questa eventualità?

— Che cosa vi sentireste capaci di fare?

— Avete pensato come praticamente trarre profitto dal vostro lavoro?