Le femmine puntigliose/Nota storica

Nota storica

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NOTA STORICA

La presente commedia, scritta probabilmente a Venezia, dopo il carnovale, «fu recitata la prima volta in Mantova li 18 Aprile 1750, con grand’applauso e molte repliche: poscia in Milano ed in Venezia, dove fu replicata per otto sere di seguito». Così avverte nel t. VI delle Commedie l’edizione Bettinelli, ossia Girolamo Medebach. Salì sulle scene del teatro di Sant’Angelo la sera del 10 ottobre 1750 (v. lett.a di C. G. all’Arconati, con questa data).

Un’altra volta ci riconduce il Goldoni, come nel Cavaliere e la Dama, in mezzo alla società nobile del tempo, mal nota alla commedia dell’arte, notissima ai Francesi, rappresentata con goffa satira in Italia dal marchese Maffei di Verona nelle Cerimonie (teatro S. Luca, 1728) e dal marchese Giovanni Gorini Corio di Milano nelle sue commedie-farse (intorno al 1730). Un’altra volta il Goldoni ricopia il maligno pettegolezzo dei Conti e delle Contesse, ne scopre in alcune scene semplici e potenti (specialmente 6, 13 e 14, A. I) la falsità, la leggerezza, la viltà; e dove più versa l’ironia, meglio solleva la propria arte.

Nessuno si salva: che l’onesto Ottavio, ripetuto in parte dal personaggio di don Alonso nel Cav. e la Dama, da solo non basta, con la sua piccola anima di servente, a riscattare una intera classe. Mai tanta audacia ammirarono i Veneziani sul palcoscenico! se pure non ricordava qualcuno di aver udito nel 1743, a S. Samuele, un dramma per musica dello stesso autore, intitolato la Contessina. Di questo libero atteggiamento verso i nobili, va data lode, seanche tarda, al buon Dottore, che pur vantava ammiratori e protettori fedeli in seno all’aristocrazia, a Venezia e fuori: ma nessuno vorrà attribuirgli sentimenti ostili, che non erano nel suo animo. Convien pensare alle leggi della commedia, all’abitudine letteraria, all’esempio straniero. Nè si accusi contraddizione fra le commedie e le dediche sincere del pari: chi studia il Settecento è avvezzo a tali apparenti discordie, ch’erano nei tempi. Del resto lo stesso Goldoni diventò poi più prudente, come vedremo.

Di fronte alla nobiltà degenere, la borghesia invidiosa e vanitosa. Il contrasto era stato più forte in Francia, negli ultimi anni del regno di Luigi XIV e al tempo della Reggenza, e perciò più realisticamente che in Molière (le Bourgeois gentilhomme, 1670), lo vediamo rappresentato nelle commedie di Dancourt (Le Chevalier à la mode, 1687; les Bourgeoises à la mode, 1692), di Hauteroche (les Bourgeoises de qualitè, 1690) e di D’Allainval (l’Ecole des bourgeois, 1728): anche qui i puntigli delle donne, perchè nella società femminile è sopra tutto sensibile la disparità e viva la gara; anche qui quei Marchesi, ai quali solo è uguale per bassezza il conte Onofrio, caricatura nuova di parassita, arlecchino dell’ordine gentilizio. G. B. Fagiuoli, il faceto cortigiano dei Medici, non aveva osato di più, quando derise il nobile spiantato (la Nobiltà vuol ricchezza, ovv. il Conte di Bucotondo, ed. 1734) in quella stessa Toscana, dove Goldoni aveva posto la scena delle Femmine puntigliose (v. ed. Bettinelli), trasportata poi a Palermo (v. ed. Paperini). Così si allargava la lotta di Doralice e Isabella nella Famiglia dell’antiquario, fino a diventare quadro sociale. [p. 200 modifica]

Se il commediografo veneziano abbia raccolto a Pisa o a Firenze, a Mantova o a Verona, oppure a Venezia, la materia per la propria commedia (v. Mémoires, P. II, ch. 7Memorie di Carlo Goldoni), è troppo difficile poter determinare. Io sospetterei piuttosto fuori, che sulle lagune, in una città di provincia, piuttosto che in una capitale. Non so immaginare una «mercantessa» di terraferma, per quanto ricca, che ambisca di penetrare in un casino di nobildonne veneziane, per confondersi col patriziato: altro modo più facile eravi a Venezia di mescolarsi alle classi più alte nei ritrovi pubblici, sotto l’abito di maschera. La società veneziana nel Settecento ha suoi usi speciali. Ma nelle città di terraferma, a Verona per esempio, abbiamo esempi storici di simili puntigli e lotte. E più probabile che Carlo Goldoni togliesse qua e là i vari elementi: gli basta ferire la società del tempo, e non quella soltanto. - Attinse pure alla satira letteraria e alla critica del costume, così comuni in quel secolo e sparse un po’ da per tutto. Non si dimentichi che i lamenti contro il lusso si leggono in ogni libro, anche nelle commedie del Lazzarini (la Senese), del Fagiuoli, del Becelli (la Pazzia delle pompe, ed. 1748); che le proteste contro il duello sorgono ormai generali (v. Nota storica del Cav. e la Dama); che il cicisbeo fu perseguitato in Italia fin dal suo nascere; che il marito bonario non è già un tipo caratteristico della decadenza veneziana, bensì fin dalla seconda metà del Seicento è oggetto di satira oltralpe, e fra noi, prima di Goldoni, serve al riso comico nei tentativi del Fagiuoli (il Marito alla moda), del Nelli (la Moglie in calzoni, ed. 1727), del Gorini; che le lodi del commercio, sdegnato per falso pregiudizio dai nobili, si odono per bocca di Landolfo (altro predecessore di don Fiorindo) nella Pazzia del Becelli; che tutte queste e altre cose, come la pietà per i servi maltrattati e il grido di rivolta degli oppressi (sc. 8, A. III), la severità un poco rustega verso la donna e la diffidenza contro il matrimonio, salgono dal cuore del Settecento e si trovano, rozzamente espresse, nelle Lettere critiche (1a. ed. 1743) del Costantini e nel romanzo del Seriman (I viaggi di Wanton, Ia. ed. 1749), che il Goldoni a Venezia non poteva ignorare.

Affermata l’importanza sociale di questa commedia, che non isfuggì a Ernesto Masi (Scelta di comm. di C. G., Firenze, 1897, t. I, 231 segg.), resta a dire dell’arte. Abbiamo già notato alcune bellissime scene: anzi quasi tutto il primo atto si delinea e si muove come un capolavoro, e sembra contenere gli altri due. Delle maschere merita applauso il vecchio Pantalone, che conserva i noti lineamenti goldoniani, ma non fu mai tanto vivo e perfetto: esempio raro, se si pensi che di lui l’autore volle fare l’interprete della coscienza morale, così noioso nelle opere d’arte. Non piace l’Arlecchino trasformato nel moretto, di moda a quei tempi. Ottime le quattro donne, e fin d’ora ci permettono di osservare la virtù meravigliosa di Carlo Goldoni di porre in atto le diverse gradazioni di un carattere somigliante: virtù che più tardi gli concederà di creare i Rusteghi. Nell’azione non mancano difetti, e specialmente nella vendetta di Rosaura. La cinica apparizione del conte Onofrio nelle ultime scene, soppressa nell’edizione Pasquali e nelle seguenti, aggiungeva una nota di riso alla fredda conclusione.

Del resto la fortuna delle Femmine puntigliose, commedia pura di carattere e di costume, senza pianto, non fu grande nè in Italia, nè fuori; e se nel Settecento furono tradotte in portoghese (Spinelli, Bibl.ia gold. cit., 251) e [p. 201 modifica]recitate qualche volta (p. es. a Modena nel 1759: v. Mod. a. C. G. cit., p. 237), nel secolo dopo parvero dimenticate, e solo da poco i nostri critici con giusto fervore vi si affannarono intorno (vedi, oltre Masi cit., G. Brognoligo, in Rinascimento, II, 1896 e Nel teatro di G., Napoli, 1907; L. Falchi, Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907; G. B. Pellizzaro, in Rivista Teatrale Ital., VII, 1908, fasc.i 7-9; e qualche altro ancora).

G. O.


Questa commedia fu stampata la prima volta nell’anno 1753 quasi contemporaneamente nelle due edizioni Bettinelli (t. VI) di Venezia e Paperini (t. III) di Firenze. Fu ristampata a Bologna (Pisarri, VI, ’53 e Corciolani, VI, ’54), a Pesaro (Gavelli, III, ’53), a Torino (Fantino-Olzati, IV, ’56 e Guibert-Orgeas, VI, ’73), a Venezia (Pasquali, VI, ’64: Savioli, XII, ’72: Zatta, cl. 2, VII, ’91), a Livorno, a Lucca e altrove nel Settecento. La recente ed., con note di Ern. Masi (Scelta di comm. ecc., Firenze, Le Monnier, t. I) segue con fedeltà il testo del Pasquali. Anche la presente ristampa fu compiuta principalmente sulla ed. Pasquali, ma reca in nota le forme varianti e in Appendice le scene delle edd. Bettinelli e Paperini che furono modificate. Ridurre a perfetta unità la grafia del dialetto veneziano non parve opportuno, per non togliere inutilmente un dei caratteri pur singolare del Goldoni e del tempo. Le note a piè di pagina segnate con lettera alfabetica appartengono al commediografo, quelle con cifra al compilatore.