Le Ricordanze (Rapisardi 1872)/Parte seconda/A Francesco dall'Ongaro

Parte seconda - A Francesco dall'Ongaro

../Alla Natura ../A Madonina IncludiIntestazione 22 maggio 2023 75% Da definire

Parte seconda - Alla Natura Parte seconda - A Madonina
[p. 141 modifica]

A FRANCESCO DALL’ONGARO


nel dedicargli una tragedia.



EPISTOLA.





Se dai lirici voli, a cui seconda
     Spirò l’itala Musa, or mi raccolgo,
     E allaccio al piede il Sofoclèo coturno.
     Tu da’ vènia al poeta. Instabil alma
     Die natura al mio petto; e s’or m’aggiro
     Spensierato pe’ campi a coglier fiori.

[p. 142 modifica]

     Or pensoso d’amor canto a le stelle,
     M’è pur caro talor spinger fra’ nembi
     La musa, o tra l’impure ansie del mondo
     Incorrotta portar l’alma e la cetra.
     Dirai: Perchè de la plaudente scena
     Paventasti il cimento? Arguto senno
     D’accigliato Aristarco esalta indarno
     Opra che pria non allettò gli orecchi
     (Sien lunghi pur!) di Frine e di Narciso.
     Ben hai ragion: Melpomene non balla
     Su polverosi tavolini al lume
     Di lucignoli incerti, e non si pregia
     Star tra vecchi scaffali a pigliar mosche
     Nel regal manto che le tesse Aragne.
     Ma vuoi tu, d’eleganti attici sali
     Maestro e caro de le muse alunno.
     Vuoi che la sacra libertà de’ carmi
     E le leggi, ond’ha vita unica il Bello,

[p. 143 modifica]

     Vil strumento sien fatte a l’irrequiete
     Voglie e al capriccio de l’istabil Moda?
     vuoi, che quanto mi mandò da l’alto
     L’invisibile Genio, e la severa
     Arte ridusse a non fallibil norma.
     Come vecchia libbréa scorci e rimondi
     Perchè sbattagli a le gibbose terga
     D’un vecchio Davo, o d’un urlante Oreste?
     Non dissimulo il ver: vanto non cerca
     Di ritte chiome e di donneschi aborti
     La mia povera Musa, e la fallace
     Scena paventa, ove con acre frizzo
     Di sconce salse e di stranieri aromi
     Stuzzicar dee lo stomacato senso
     D’egri mariti e di svagate dame.
Ben qui morto non è (volgan la punta
     Le malediche lingue ad altri obietti)
     Il gusto almo de l’arte: e se a le stelle

[p. 144 modifica]

     Balza Macrino a furia di gazzette,
     Macrin, che tramutò l’itala scena
     In orrendo covil d’egizia maga,
     Direm, che sol di pane e di circensi
     Uopo han l’itale genti? o che distrutti
     Sono i tripodi sacri e l’auree bende,
     Onde culto solenne ebbero un giorno
     L’arti vaganti dal natio Gefiso?
     Lascia, che dal polmon fradicio e stucco
     Tragga il tempo un sospiri vedrai per l’aria
     Tante aurate scoppiar bolle e vesciche,
     Ch’astri parvero al vulgo; e a lui, che indarno
     Del carro de la fania unse le ruote.
     Restar di tanti plausi e tanti allori,
     Appena appena un ciondolin sul petto.
A sciocca plebe, che s’allegra al lazzo
     D’osceno Stenterello, e piange agli urli
     De l’omicida frenesia d’Orlando,

[p. 145 modifica]

     Melpomene s’invola; e benchè molti
     Sdegnosi petti e non corrotti ingegni
     Al severo suo culto ardan devoti,
     Qual ne trarrem giammai pregio e decoro.
     Se qual zingara abietta erra pe ’l mondo
     L’arte di Roscio, e divien Roscio istesso
     Mercatante di laudi e di quattrini?
Però non slaccerà l’arduo coturno
     La mia tragica Musa, e tu, cortese,
     Del favor tuo l’affida. I casi udrai
     Di Manfredi infelice; e se di sacra
     Ira, più che di pianto, illustre obietto
     Ti fia l’alta sua fine, ed all’inulta
     Ombra tesor darò d’itali sdegni
     Contro l’invitta tirannia di Roma,
     Vano non fia che mi si schiuda un giorno
     L’ambito onor de la redenta scena.
     Tu, quando a l’ara de le Grazie, intatto

[p. 146 modifica]

     Sacerdote, l’appressi, o sia che aspergi
     Di doriche fragranze il patrio stile,
     O ver che a le dormenti api di Flora
     Con astuzia gentil sottraggi i fiori,
     O che le perle de la tua laguna
     A le propizie Dee volgi in monile,
     Deh! se mai ti fui caro, al sacro rito
     Me non ultimo accogli, e men dolente
     Vita mi prega! Che se neri e torti
     Fia che ne mandi il ciel sempre i destini,
     Miglior senno allor fia frangere a’ sassi
     L’arguta lira e il tragico pugnale,
     E con la larva di Talìa sul volto
     Ridere almen degli altri e di me stesso!