Le Laude (1915)/III. Contenzione infra l'anima e corpo

III. Contenzione infra l'anima e corpo

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III. Contenzione infra l'anima e corpo
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III

Contenzione infra l’anima e corpo

     Audite una ’ntenzone — ch’è 'nfra l’anima e ’l corpo;
battaglia dura troppo — fin a lo consumare.
     L’anima dice al corpo: — Facciamo penitenza,
ché possiamo fugire — quella grave sentenza
     e guadagnar la gloria — ch’è de tanta piacenza;
portimo onne gravenza — con delettoso amare. —
     Lo corpo dice: — Turbome — d’esto che t’odo dire;
nutrito so ’n delicii, — nollo porría patire;
lo celebr’aio debele, — porría tost’empazire:
fugi cotal pensiere, — mai non me ne parlare.
     — Sozo, malvascio corpo, — lussurioso, engordo!
ad omne mia salute — sempre te trovo sordo;
sostieni lo flagello — d’esto nodoso cordo,
emprende sto discordo — ché t’è ci opo danzare!
     — Succurrite, vicini,— ché l’anima m’ha morto!
alliso, ensanguenato, — disciplinato a torto!
o impia, crudele, — ed ad que m’hai redotto?
starò sempr’en corrotto, — non me porrò allegrare.
     — Questa morte sí breve — non mi siría ’n talento.
Somme deliberata — de farte far spermento;
dagl cinque sensi tollere — omne delettamento,
e nullo piacemento — t’agio voglia de dare.
     — Si da li sensi tollime — li mei delettamenti,
siragio enfiato e tristo, — pieno d’encrescementi;
torrotte la letizia — nelli tuoi pensamenti;
megli’è che mo te penti — che de farlo provare.

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     — La camiscia spogliate — e vesti sto cilizo;
la penetenza vètate — che non abbi delizo;
per guidardone dónote — questo nobel pannizo,
ché de coio scrofizo — te pensai d’amantare.
     — Da lo ’nferno recastela — questa veste penosa;
tesseala ’l diavolo — de pili de spinosa;
omne pelo pareme — una vespa orgogliosa;
nulla ce trovo posa, — tanto dura me pare.
     — Ecco lo letto; pòsate, — iace en esto gratizo!
lo capezal aguardace — ch’è un poco de paglizo:
lo mantellino cuoprite, — adusate col miccio;
questo te sia deliccio — a quel che te voglio fare!
     — Guardate a letto morbedo — d’esta penna splumato!
pietre rotonde vegioce — che venner dal fossato;
da qual parte volgome, — rompome el costato;
tutto son conquassato, — non ce posso posare.
     — Corpo, surge; lèvate! — ché suona matutino;
leva su, sonocchiate — en officio divino;
legge nuove emponote — perfine a lo maitino;
emprende esto camino — che sempre t’è opo fare.
     — Como surgo, levomi, — che non aggio dormito?
Degestione guastase, — non aggio ancor padito;
scorsa m’è la regoma — per lo freddo c’ho sentito;
el tempo non è fugito, — lassame ancor posare!
     — Ed o’ staisti a ’mprendere — tu questa medicina?
per la tua negligenza — dotte una disciplina;
si piú favelli, tollote — a pranzo la corina;
ché questa tua malina — penso de medecare.
     — Or ecco pranzo ornato — de delettoso pane
nero, azemo e duro — che noi rosecára ’l cane!
Non lo posso enghiuttire, — sí reo sapor me sane!
Altro cibo me dáne, — se me voli sostentare.
     — Per lo parlar c’hai fatto, — tu lassarai el vino;
né a pranzo né a cena — non mangerai cocino;
se piú favelli, aspèttate — un grave disciplino;
questo prometto almino — non te porrá mucciare.

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     — Recordo d’una femena — ch’era bianca, vermiglia,
vestita, ornata, morbeda, — ch’era una maraviglia;
le sue belle fateze — lo pensier m’asutiglia;
molto sí me simiglia — de potergli parlare.
     — Or attende ’l premio — de questo c’hai pensato;
lo mantello artollote — per tutto sto vernato;
le calzamenta lassale — per lo folle cuitato;
ed un disciplinato — fin a lo scorticare.
     — L’acqua che bevo noceme, — caggio ’n etropesía;
lo vino, prego, rendeme — per la tua cortesía!
Se tu sano conserveme, — girò ritto per via;
se caggio ’n’enfermaria, — opo me t’è guardare.
     — Poi che l’acqua nocete — a la tua enfermentade
e lo vino noceme — a la mia castitade,
lassa lo vino e l’acqua — per la nostra sanetade;
sostien necessitate — per nostra vita servare.
     — Prego che non m’occide! — nulla cosa demanno;
en veritá promettote — de non gir mormoranno;
lo entenzare veiome — che me retorna en danno;
che non caggia nel banno — vogliomene guardare.
     — Se te vorrai guardare — da omne offendemento,
sirotte tratta a dare — lo tuo sostentamento;
e vorròme guardare — dal tuo encrescemento;
sirá delettamento — nostra vita salvare.
     Or vedete ’l prelio — c’ha l’omo nel suo stato!
tante son l’altre prelia, — nulla cosa ho toccato;
che non faccian fastidio, — aggiol’abbreviato;
finisco sto trattato — en questo loco lassare.