La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXI

Libro secondo
Capitolo LXI

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Avendo di già condotto la figura della gran Medusa, sí come io dissi, avevo fatto la sua ossatura di ferro: di poi fattala di terra, come di notomia, e magretta un mezzo dito, io la cossi benissimo; di poi vi messi sopra la cera e fini’la innel modo che io volevo che la stessi. Il Duca, che piú volte l’era venuta a vedere, aveva tanta gelosia che la non mi venissi di bronzo, che egli arebbe voluto che io avessi chiamato qualche maestro che me la gittassi. E perché Sua Eccellenzia parlava continuamente e con grandissimo favore delle mie saccenterie, il suo maiordomo, che continuamente cercava di qualche lacciuolo per farmi rompere il collo, e perché gli aveva l’autorità di comandare a’ bargelli e a tutti gli uffizi della povera isventurata città di Firenze, che un pratese, nimico nostro, figliuol d’un bottaio, ignorantissimo, per essere stato pedante fradicio di Cosimo de’ Medici innanzi che fussi duca, fussi venuto in tanta grande autorità, sí come ho detto, stando vigilante quanto egli poteva per farmi male, veduto che per verso nessuno lui non mi poteva appiccare ferro addosso, pensò un modo di far qualcosa. E andato a trovare la madre di quel mio fattorino, che aveva nome Cencio, e lei la Gambetta, dettono uno ordine, quel briccon pedante e quella furfante puttana, di farmi uno spavento, acciò che per quello, io mi fussi andato con Dio. La Gambetta, tirando all’arte sua, uscí, di commessione di quel pazzo ribaldo pedante maiordomo: e perché gli avevano ancora indettato il bargello, il quale era un certo bolognese, che per far di queste cose il Duca lo cacciò poi via; venendo un sabato sera, alle tre ore di notte mi venne a trovare la ditta Gambetta con il suo figliuolo, e mi disse che ella l’aveva tenuto parecchi dí rinchiuso per la salute mia. Alla quale io risposi che per mio conto lei non lo tenessi rinchiuso: e ridendomi della sua puttanesca arte, mi volsi al figliuolo in sua presenza e gli dissi: - Tu lo sai, Cencio, se io ho peccato teco - il qual piagnendo disse che no. Allora la madre, scotendo il capo, disse al figliuolo: - Ahi ribaldello, forse che io non so come si fa? - poi si volse a me, dicendomi che io lo tenessi nascosto in casa, perché il bargello ne cercava, e che l’arebbe preso ad ogni modo fuor di casa mia; ma che in casa mia non l’arebbon tocco. A questo io le dissi che in casa mia io aveva la sorella vedova con sei sante figlioline, e che io non volevo, in casa mia, persona. Allora lei disse che ’l maiordomo aveva dato le commessione al bargello e che io sarei preso a ogni modo; ma poiché io non volevo pigliare il figliuolo in casa, se io le davo cento scudi potevo non dubitar piú di nulla, perché essendo il maiordomo tanto grandissimo suo amico, io potevo star sicuro che lei gli arebbe fatto fare tutto quel che allei piaceva, purché io le dessi li cento scudi. Io ero venuto in tanto furore, col quale io le dissi: - Levamiti d’innanzi, vituperosa puttana, che se non fussi per onor di mondo e per la innocenzia di quello infelice figliuolo che tu hai quivi, io ti arei di già iscannata con questo pugnaletto, che dua o tre volte ci ho messo su le mane -. E con queste parole, con molte villane urtate, lei e ’l figliuolo pinsi fuor di casa.