La tutela internazionale della proprietà intellettuale: il fenomeno del copyleft/Capitolo 2.5

2.5. Le licenze Creative Commons

La tutela internazionale della proprietà intellettuale: il fenomeno del copyleft/Capitolo 2.4 La tutela internazionale della proprietà intellettuale: il fenomeno del copyleft/Capitolo 2.6 IncludiIntestazione 8 settembre 2014 75% Tesi universitarie

Capitolo 2.4 Capitolo 2.6

2.5.1. La nascita del progetto

Nel 2001, su iniziativa di alcuni giuristi californiani, venne fondata la Creative Commons Foundation (o CC Foundation). Scopo dell’organizzazione era quello di replicare in ambito artistico-letterario il paradigma, già sperimentato in ambito informatico, delle licenze libere.

Il nome dell’associazione trae spunto da un saggio del 1968 dell’economista britannico Garrett Hardin, intitolato The Tragedy of the Commons (“La tragedia dei beni comuni”), riguardo la gestione dei c.d. “beni comuni”, ossia quelli che non appartengono a nessuno e di cui tutti possono beneficiare.1

Hardin si mostra alquanto pessimista riguardo il loro destino, utilizzando la famosa metafora dei pastori che lasciano pascolare il loro bestiame in un prato “pubblico”: dal momento che esso non appartiene a nessuno, ogni allevatore sarà portato a far pascolare sempre più animali, incrementando la propria utilità ma consumando sempre più le risorse disponibili. Il risultato è la distruzione del pascolo stesso, con ovvio danno di tutti i pastori.

I promotori della CC Foundation, al contrario, intendevano dimostrare come la condivisione delle idee e dei prodotti della creatività non solo non avrebbe arrecato danno a chi le avrebbe condivise, ma avrebbe anzi permesso di moltiplicare i benefici della produzione di opere.

Fra i principali promotori dell’iniziativa, vi fu il già citato Lawrence Lessig, docente a Stanford specializzato proprio in tema di diritto d’autore e nuove tecnologie. Lessig, all’epoca, era anche impegnato come legale in una causa, la Eldred v. Ashcroft, che vedeva opposti vari editori, guidati da Eric Eldred, al Governo statunitense, rappresentato dal Procuratore Generale John Ashcroft.

Oggetto del contendere era il Sonny Bono Copyright Term Extension Act (CTEA), ossia un provvedimento adottato dal Congresso degli Stati Uniti nel 1998 che aumentava di venti anni i termini di tutela del copyright negli Stati Uniti.2 Secondo i ricorrenti, tale provvedimento violava la c.d. copyright clause contenuta nella Costituzione degli Stati Uniti d’America, che garantiva «To promote the Progress of Science and useful Arts, by securing for limited Times to Authors and Inventors the exclusive Right to their respective Writings and Discoveries». Il procedimento si concluse di fronte alla Corte Suprema, la quale il 15 gennaio 2003 confermò la costituzionalità del provvedimento per 7 voti a 2.

Da questa sconfitta, Lessig trasse ispirazione per continuare la sua battaglia contro le limitazioni alla creatività imposte dalle leggi sul copyright, seguendo in parte l’esempio della Free Software Foundation e della Open Source Initiative.

Nota Rossato: «Si comprende sin da subito come l’origine intellettuale del lavoro di Lessig sia da rintracciarsi in quelle correnti dell’analisi economica che [...] muovono contro ciò che, sin dai primi anni Novanta, viene identificato come il centralismo giuridico di cui la dottrina, anche quella più aperta a esperienze realiste come l’analisi economica del diritto, soffre».3

La fondazione si strutturò successivamente come un ente no profit con sede legale a San Francisco, a cui sono stati trasferiti – al pari della Free Software Foundation – tutti i diritti riguardo il marchio, le licenze e le opere rilasciate con licenza Creative Commons.4

La diffusione delle licenze marciò a ritmi inequivocabilmente veloci: entro la fine del 2004, si stimava che circa 4,7 milioni di opere fossero state rilasciate con licenze Creative Commons (o più semplicemente CC); nel 2008, le opere sono diventate più di 130 milioni.5

In seguito al successo dell’iniziativa, la Fondazione decise di lanciare il progetto Creative Commons International (CCI), ossia promuovere la traduzione e l’adattamento delle licenze ai singoli ordinamenti nazionali (c.d. porting). Già entro il 2004, vennero prodotte le prime 12 versioni nazionali (fra cui quella italiana).6

2.5.2. Le “tre forme” delle licenze Creative Commons

Rispetto alle vecchie licenze, si nota una evoluzione nell’approccio sotto due aspetti: la formazione e la struttura delle licenze. Innanzitutto, a disposizione dell’utente finale non viene messa più a disposizione una sola licenza, ma più licenze, derivanti dalla diversa combinazione delle 4 “clausole base”,7 tali da coprire tutte le possibilità comprese fra il copyright e il pubblico dominio.

La struttura della licenza (il c.d. legal code) è simile in quasi tutte le licenze, il cui “cuore” è nelle sezioni rispettivamente dedicate ai diritti accordati (sezione 3) e alle restrizioni imposte dall’autore al loro esercizio (sezione 4). La vera novità risiede, però, nella diversificazione delle forme con cui la licenza viene presentata al pubblico. Alla licenza vera e propria si affiancano una versione sintetica e una versione digitale.

La versione sintetica (c.d. Commons deed) nasce dall’esperienza pregressa in questo campo: dal momento che «l’utente medio non è portato a leggere e comprendere un documento di quel tipo»8 (per assenza di volontà, per mancanza di una cultura giuridica di base o per entrambi i motivi), si correva il rischio che questi adottasse una licenza con leggerezza, che si diffondessero informazioni sbagliate o false sulle loro condizioni o che permanesse una certa diffidenza nel loro utilizzo.

Proprio per questo, la CC Foundation decise di creare una versione delle proprie licenze che fosse comprensibile per chiunque, strutturata con una forma grafica chiara e schematica. Questa “sintesi” avrebbe avuto la sola funzione per l’appunto di “riassunto”, di informare a grandi linee riguardo le modalità d’uso e le libertà offerte dalla licenza, senza mai però sostituirsi al legal code.

La terza e ultima versione è quella digitale (c.d. digital code), ovvero una versione composta di soli metadati.9 Questi “dati nascosti” permettono di legare indissolubilmente la licenza all’opera prodotta, rendendola riconoscibile come tale anche dai motori di ricerca – in tal modo, semplificando notevolmente le operazioni di ricerca di opere che corrispondano a un determinato profilo di licenza.10

2.5.3. La struttura delle licenze e le “clausole base”

Come anticipato, le licenze CC hanno una struttura di base comune, composta da 8 clausole. Previo rispetto delle condizioni imposte, è concessa (sezione 3) agli utenti finali la possibilità di:

a) copiare l’opera con qualsiasi mezzo e su qualsiasi tipo di supporto;

b) distribuire l’opera attraverso qualsivoglia mezzo, con l’eventuale esclusione di quelli commerciali;

c) eseguire l’opera in qualsiasi modo;

d) modificare il formato dell’opera.

Generalmente, sono richiesti una serie di obblighi fissi (sezione 4), ossia:

a) di richiedere il permesso all’autore per poter eseguire una qualsiasi delle azioni non espressamente autorizzate fin dall’inizio;

b) di inserire un link alla licenza, ovvero di indicare chiaramente come poter risalire al testo della licenza in caso di opere non digitali;

c) di non alterare i termini della licenza;

d) di non utilizzare sistemi di digital rights management per impedire di esercitare i diritti autorizzati.

In aggiunta a questi obblighi, si aggiungono quelli derivanti dalle quattro c.d. “clausole base”, ossia:

1) Attribution (“Attribuzione”, BY): presente di default in tutte le licenze a partire dalla versione 2.0, impone l’obbligo di corretta attribuzione dell’opera;

2) Non commercial (“Non commerciale”, NC): la distribuzione di un’opera non può essere finalizzata, né totalmente né parzialmente, all’ottenimento di guadagni monetari o altri vantaggi commerciali;

3) No derivative works (“Niente opere derivate”, ND): impedisce qualsiasi tipo di modifica dell’opera, ivi comprese traduzioni o adattamenti;

4) Share Alike (“Condividi allo stesso modo”, SA): in caso di modifica dell’opera, la versione derivata può essere distribuita solo con una licenza simile a quella dell’opera originaria.

In base alla combinazione di queste quattro clausole, nascono le attuali sei versioni delle licenze Creative Commons (qui disposte in ordine dalla più restrittiva alla più permissiva):11

1) Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate (CC BY-NC-ND);12

2) Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo (CC BY-NC-SA);13

3) Attribuzione – Non commerciale (CC BY-NC);14

4) Attribuzione – Non opere derivate (CC BY-ND);15

5) Attribuzione – Condividi allo stesso modo (CC BY-SA);16

6) Attribuzione (CC BY).17

Rileva a questo punto notare due particolarità: la prima è la incompatibilità fra le clausole “Non opere derivate” e “Condividi allo stesso modo”, poiché «la prima nega a priori la possibilità di modifica, mentre la seconda implica necessariamente la possibilità di modifica»,18 rendendole di fatto mutualmente escludenti.

La seconda è che quelle licenze che adottano le clausole “Non commerciale” e “Non opere derivate” non possano essere pienamente qualificate come licenze libere, dal momento che non rispettano i dettami né della Free Software Definition, né della Open Source Definition.

Tuttavia, proprio quelle due clausole rappresentano la maggiore “rottura” dell’approccio della Creative Commons Foundation rispetto al paradigma “classico” delle licenze libere. Se è pur vero che impedire il riutilizzo di un’opera a fini commerciali o la modifica della stessa pregiudica in linea teorica la successiva diffusione dell’opera, allo stesso modo va considerato come sia diritto dell’autore decidere di non autorizzare quelle azioni. Il vantaggio delle licenze CC, rispetto alle altre licenze libere, è proprio questo: garantire all’autore piena autonomia riguardo le condizioni da porre, pure se ciò significa ottenere un risultato non propriamente in linea con la filosofia copyleft.

Ragionando per assurdo, si potrebbe ipotizzare un autore che intenda rilasciare la propria opera con licenza libera, ma che allo stesso tempo intenda impedire a chiunque di poter lucrare sulla propria opera, mosso dal principio per cui essa debba rimanere non solo libera, ma anche gratis. Questa volontà entrerebbe in conflitto con la possibilità, insita nelle licenze libere, di concedere il riutilizzo anche per fini commerciali, costringendo l’autore ad adeguarsi obtorto collo, a creare una propria licenza d’uso oppure a rinunciare a rilasciare il proprio lavoro con licenza libera.

Più pragmaticamente, è ragionevole supporre l’esistenza di autori che intendano favorire quanto più possibile la diffusione del proprio lavoro (magari a scopo pubblicitario), senza però essere costretti a cedere il diritto all’integrità dell’opera o i diritti di sfruttamento commerciale. L’individuazione di queste due clausole permette, dunque, anche a questi autori di poter usufruire dei benefici delle licenze libere, riducendo però l’impatto negativo sui propri interessi.

Resta infine il meccanismo (già visto nella GPL e nelle altre licenze libere della FSF) di terminazione automatica della licenza, in caso di violazione dei termini previsti (sezione 7).19

2.5.4. Il porting

Come accennato prima, il successo dell’iniziativa ha portato la CC Foundation, nel 2004, a decidere di lanciare un progetto di “porting20 delle licenze, ossia di “localizzazione” delle licenze.

Il processo è portato avanti da una serie di associazioni e istituzioni, affiliate alla CC Foundation, che operano da referenti per i vari progetti nazionali. «Tale impostazione “gerarchica”, che agli occhi di qualcuno può apparire poco calzante con la natura spontanea/comunitaria della cultura opencontent, consente però di verificare il corretto porting delle licenze e di realizzare iniziative d’informazione e sensibilizzazione in modo efficace e coordinato».21

La necessità che il porting sia affidato a persone competenti nasce anche dal fatto che il processo non si limita alla semplice traduzione delle licenze nelle varie lingue mondiali, ma si allarga anche all’adattamento delle singole clausole ai vari ordinamenti nazionali. Si può dire dunque che «le licenze CC francesi, italiane, giapponesi etc. sono dei documenti sostanzialmente indipendenti, ispirati e adattati al diritto d’autore dei vari Stati».22

In questo modo, la Creative Commons Foundation ha ritenuto di ovviare al problema sia dell’interpretazione della licenza (dunque, della lingua ufficiale in cui essa è scritta), sia della giurisdizione applicabile (dunque, della che regolamenta tale licenza) – fermo restando la possibilità di utilizzare una licenza unported, ossia priva di previsioni specifiche per un singolo Stato genericamente valida in tutto il mondo.

Il processo di localizzazione è iniziato nel 2004 in 12 Paesi, fra cui l’Italia. Attualmente, sono disponibili ben 52 versioni locali23 e altre 9 dovrebbero essere completate entro la fine del 2010.24 Infine, è stata annunciata la creazione di nuovi capitoli locali in altri 11 Stati.25

2.5.5. Evoluzione delle licenze

Nel dicembre 2002, venne resa pubblica la versione 1.0 delle licenze Creative Commons.26 Furono messe a disposizione ben 11 licenze, con una struttura a una, due o tre clausole.

Nel maggio 2004, venne rilasciata la versione 2.0: le licenze vennero ridotte da 11 a 6, in seguito alla decisione di imporre la clausola “Attribution” come base in tutte le licenze,27 anche per uniformarsi alle norme internazionali (per esempio, l’art. 6-bis della Convenzione di Berna) in materia di diritti morali.

Inoltre, vennero apportate delle modifiche minori, in seguito ai feedback ottenuti dagli utenti. In particolare, vennero inserite alcune precisazioni sulle opere musicali e sulla rinuncia a rivendicare i relativi diritti, sia in forma individuale che attraverso istituzioni collettive, di ritrasmissione su supporti analogici o digitali.

Nel 2005, fu lanciata la versione 2.5, che riformulava lievemente alcune clausole, senza modificarle sostanzialmente. Nel febbraio 2007, fu infine rilasciata la versione 3.0,28 che costituisce al momento l’ultima versione disponibile della famiglia di licenze CC.

Con questa nuova versione, viene definitivamente abbandonato l’impianto delle versioni precedenti,29 dove si faceva ampio riferimento a norme e istituzioni statunitensi, coerentemente con il processo di porting in atto dal 2004. Viene inoltre inserito un rimando esplicito alla Convenzione di Berna, alla Convenzione di Roma, al WIPO Copyright Treaty, al WIPO Performances and Phonograms Treaty e alla Universal Copyright Convention (sezione 8, punto f).

Riguardo i diritti morali, viene specificato il trattamento del diritto all’integrità dell’opera, che confligge in alcuni ordinamenti con la possibilità di creare opere derivate, concessa da alcune licenze CC.30 Pertanto, sia la versione generica che quelle localizzate delle licenze garantiscono il diritto di produrre opere derivate (qualora concesso dal licenziante) «to the fullest extent permitted by the applicable national law» (sezione 4, punto c).31

Sempre in quest’ottica, è stato affrontato anche il problema delle c.d. collecting societies, ossia gli istituti e le società a cui si rivolgono gli autori per tutelare i propri diritti (come la SIAE) che richiedono tassativamente agli autori di cedere i propri diritti di sfruttamento alla società stessa, poiché essa possa amministrarli in loro vece.

La soluzione trovata concede all’autore, qualora intenda farlo e limitatamente agli ordinamenti in cui sussistono obblighi di iscrizione a tali società, la possibilità di riscuotere in prima persona tali diritti (sezione 3, punto e). Sono comunque in corso trattative con le singole istituzioni per trovare una soluzione più adeguata riguardo il compenso degli autori.32

È stato infine annunciato un progetto, per il momento ancora solo in fase di studio, per superare i problemi di compatibilità fra licenze libere, in particolar modo fra la GFDL e la Attribuzione – Condividi allo stesso modo.

Lo scopo, afferma Lessig, è quello di rendere più stabili e affidabili le licenze e permettere una maggiore interoperabilità fra licenze, in modo che la cultura libera «will no longer be ghettoized within a particular free license. It will instead be able to move among all relevantly compatible licenses. And the world of “autistic freedom” that governs much of the free software world will be avoided in the free culture world».33

2.5.6. Le altre licenze Creative Commons

In aggiunta alle sei licenze base sopra indicate, la CC Foundation ha prodotto altre tipologie di licenze (alcune delle quali ritirate)34 che si rivolgono a particolari settori di utilizzo: la licenza CC Developing Nations, le licenze CC Sampling, il protocollo CCPlus e la licenza CC Zero.

La licenza CC Developing Nations era una licenza derivata dalla CC Attribuzione, basata su «un intento di promozione culturale e di filantropia verso quelle parti del mondo in cui, per ragioni economiche e tecnologiche, non sarebbe comunque possibile uno sfruttamento commerciale dell’opera».35

In sostanza, un’opera rilasciata con questa licenza garantiva i diritti di copia, modifica e distribuzione limitatamente ai Paesi in via di sviluppo, mantenendo invece la richiesta di previa autorizzazione per i Paesi più sviluppati. La licenza fu, però, ritirata nel giugno 2007 sia perché poco utilizzata, sia perché la clausola precludeva (paradossalmente) l’accesso di queste opere ai mercati occidentali.

Le licenze sampling sono un set di due licenze (inizialmente tre) dedicate esclusivamente alle opere musicali, rectius alla possibilità di campionare frammenti di un’opera musicale e riutilizzarli per comporne di nuove. La CC Sampling, poi ritirata,36 permetteva la copia e la trasformazione di parti (e non della totalità) dell’opera originaria per qualsiasi scopo, eccezion fatta per quello pubblicitario.

Il divieto di copia e trasformazione della totalità dell’opera fu poi abbandonato con il rilascio delle licenze CC Sampling Plus e CC Sampling Plus Non Commerciale. Restava dunque il divieto di utilizzo a fini pubblicitari dell’opera modificata, a cui si aggiungeva (con riguardo solo alla versione “non commerciale”) il divieto di riutilizzo a fini commerciali.

Il protocollo CC Plus (CC+), creato nel 2007, è «un protocollo che permette a un licenziante, in maniera semplice e immediata, di indicare quali ulteriori permessi sono eventualmente associati a un’opera licenziata sotto Creative Commons e in che modo usufruire di tali permessi».37

In pratica, un autore può decidere di rilasciare un’opera attraverso una licenza CC e prevedere delle condizioni aggiuntive per determinati utilizzi (per esempio, gli scopi commerciali). Il protocollo CC Plus permette di integrare queste condizioni aggiuntive, attraverso un sistema simile a quello delle altre licenze CC, in modo da sfruttare le semplificazioni offerte dal sistema.

Infine la licenza CC Zero (CC0), creata nel 2008, è una evoluzione della Creative Commons Public Domain Certification,38 in base alla quale l’autore decide di rilasciare la propria opera in pubblico dominio prima che trascorrano i 70 anni post mortem auctoris.

«Si tratta in verità di una prassi abbastanza lontana dalla cultura giuridica dell’Europa continentale [...] e più vicina a quella degli ordinamenti anglo-americani di copyright»,39 che sconta anche il difetto (al momento) di essere perlopiù incentrata sull’ordinamento statunitense, adombrando qualche dubbio sulla efficacia della licenza – peraltro, ancora a uno stato iniziale – anche in altri ambiti nazionali.

Note

  1. S. Aliprandi, Creative Commons: manuale operativo, Viterbo, 2008, pag. 21. Il testo di Hardin fu pubblicato per la prima volta su Science n. 3859 del 13 dicembre 1968 ed è disponibile al sito: http://www.sciencemag.org/cgi/content/full/162/3859/1243.
  2. All’epoca, la tutela era garantita per 50 anni post mortem auctoris o per 75 anni dalla data di creazione di un’opera su commissione (corporate autorship). Tali termini venivano così portati rispettivamente a 70 e 95 anni dal CTEA.
  3. A. Rossato, “Le ragioni del libero accesso”, in G. Ziccardi (a cura di), Nuove tecnologie e diritti di libertà nelle teorie nordamericane, Modena, 2007, pag. 52.
  4. A margine, bisogna notare come questo trasferimento non comporti anche l’instaurarsi di un qualche rapporto giuridico fra le Fondazioni e chi utilizza le loro licenze, anzi. Nota Aliprandi: «In gran parte di queste licenze compaiono chiari avvertimenti in cui si ribadisce questa estraneità; tuttavia in varie occasioni [...] emerge talvolta da parte di alcuni utenti la richiesta (in certi casi la pretesa) che tali organizzazioni prendano posizione su alcuni dubbi interpretativi. Cosa che non sono assolutamente tenute a fare, dato che [tali licenze] funzionano finché non è un giudice a dichiarare l’invalidità di qualche clausola». Cfr. S. Aliprandi, Teoria e pratica del Copyleft, op. cit., pag. 32.
  5. Dati disponibili al sito: http://creativecommons.org/about/history.
  6. A tal proposito, cfr. infra, par. 2.5.4. “Il porting.
  7. A tal proposito, cfr. infra, par. 2.5.3. “La struttura delle licenze e le «clausole base»”.
  8. S. Aliprandi, Teoria e pratica del Copyleft, op. cit., pag. 54.
  9. Per “metadato” si intende la descrizione di un insieme di dati riguardanti un singolo oggetto, come il contenuto, la disposizione, l’autore, la data di pubblicazione, eccetera.
  10. Per esempio, la Creative Commons Foundation offre sul proprio sito un motore di ricerca gratuito che permette di ricercare tutte le opere rilasciate con licenze Creative Commons ed eventualmente di raffinare la ricerca, scegliendo solo quelle licenze di cui si ha realmente bisogno.
  11. I link di seguito indicati sono riferiti alla versione 3.0 Unported (ossia “generica”) della stessa.
  12. Il testo originale della licenza è disponibile al sito: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/legalcode.
  13. Il testo originale della licenza è disponibile al sito: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/legalcode.
  14. Il testo originale della licenza è disponibile al sito: http://creativecommons.org/licenses/by-nc/3.0/legalcode.
  15. Il testo originale della licenza è disponibile al sito: http://creativecommons.org/licenses/by-nd/3.0/legalcode.
  16. Il testo originale della licenza è disponibile al sito: http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/legalcode.
  17. Il testo originale della licenza è disponibile al sito: http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/legalcode.
  18. S. Aliprandi, Creative Commons: manuale operativo, op.cit., pag. 38.
  19. In realtà, questo meccanismo è esplicitamente limitato alle sole sezioni 3 e 4, dal momento che le altre sezioni «will survive any termination of this License».
  20. Per “porting” si intende, in ambito informatico, un adattamento o una modifica di un programma, volto a consentirne l’uso in ambiti diversi da quello originale. Mutatis mutandis, lo scopo era ottenere un effetto simile anche per le licenze.
  21. S. Aliprandi, Creative Commons: manuale operativo, op.cit., pag. 25.
  22. S. Aliprandi, Creative Commons: manuale operativo, op.cit., pag. 26.
  23. In stretto ordine alfabetico: Argentina, Australia, Austria, Belgio, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cina, Repubblica di Cina (Taiwan), Colombia, Corea del Sud, Croazia, Danimarca, Ecuador, Filippine, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Guatemala, Hong Kong, India, Israele, Italia, Lussemburgo, ex-Repubblica Iugoslava di Macedonia, Malaysia, Malta, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Paesi Bassi, Perù, Polonia, Portogallo, Puerto Rico, Regno Unito (Inghilterra e Galles), Regno Unito (Scozia), Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Singapore, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Thailandia, Ungheria.
  24. In stretto ordine alfabetico: Armenia, Azerbaigian, Egitto, Georgia, Giordania, Irlanda, Nigeria, Ucraina, Vietnam.
  25. In stretto ordine alfabetico: Bangladesh, Costa Rica, Estonia, Islanda, Indonesia, Siria, Slovacchia, Tanzania, Tunisia, Turchia, Venezuela.
  26. G.O. Brown, “Creative Commons Unveils Machine-Readable Copyright Licenses”, Creative Commons Foundation, 16 dicembre 2002. Disponibile al sito: http://creativecommons.org/press-releases/entry/3476.
  27. La decisione fu presa poiché, stando alle statistiche sulla versione 1.0, il 97-98% circa degli utenti scelse di utilizzare questa clausola da sola o in combinazione con altre. Cfr. G.O. Brown, “Announcing (and explaining) our new 2.0 licenses”, Creative Commons Foundation, 25 maggio 2004. Disponibile al sito: http://creativecommons.org/weblog/entry/4216.
  28. M. Garlick, “Version 3.0 Launched”, Creative Commons Foundation, 23 febbraio 2007. Disponibile al sito: http://creativecommons.org/weblog/entry/7249.
  29. Rileva notare come questo impianto sia stato, di fatto, trasferito nelle versioni localizzate delle licenze CC per gli Stati Uniti.
  30. In merito, nota Mia Garlick, Consigliera della CC Foundation: «Obviously, the first generic version 1.0 license suite released in December 2002 did not mention moral rights because it was based on US copyright law[, which] only grants very limited moral rights to works of fine art. However, [...] now that the licenses have been ported to over 30 jurisdictions, we felt that it was time to harmonize the approach to this issue at both the Legal Code level and the Commons Deed level». Cfr. M. Garlick, Creative Commons Version 3.0 Licenses – A Brief Explanation, Creative Commons Foundation (ultima modifica: 24 giugno 2009). Disponibile al sito: http://wiki.creativecommons.org/Version_3.
  31. Riguardo il problema della giurisdizione applicabile, cfr. in particolare S. Aliprandi, Teoria e pratica del Copyleft, op. cit., pagg. 29-31.
  32. S. Aliprandi, Creative Commons: manuale operativo, op. cit., pag. 46.
  33. L. Lessig, “CC in Review: Lawrence Lessig on Compatibility”, Creative Commons Foundation, 30 novembre 2005. Disponibile al sito: http://creativecommons.org/weblog/entry/5709.
  34. Per “licenza ritirata” si intende una licenza che non viene più pubblicizzata dall’istituzione che l’ha prodotta e la cui ulteriore adozione è anzi fortemente scoraggiata dalla stessa. Ciò tuttavia non implica che la licenza, laddove adottata, perda di efficacia giuridica.
  35. S. Aliprandi, Creative Commons: manuale operativo, op. cit., pag. 86.
  36. La licenza CC Sampling “base” fu ritirata anch’essa nel giugno 2007, contestualmente alla licenza CC Developing Nations, più o meno per gli stessi motivi di quest’ultima.
  37. A. Glorioso, “Creative Commons annuncia due nuovi progetti: CC Plus e CC Zero”, Creative Commons, 20 dicembre 2007. Disponibile al sito: http://www.creativecommons.it/node/608.
  38. Il testo originale della Dichiarazione è disponibile al sito: http://creativecommons.org/licenses/publicdomain/.
  39. S. Aliprandi, Creative Commons: manuale operativo, op. cit., pag. 42.