[Proemio]

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Signori,

Non è questa la prima volta che io ho l’onore di starmene innanzi a voi, e già nello scorso anno, per una consuetudine non breve, voi mi avete abituato a fare assegnamento sulla vostra benevolenza.

Permettete che io ora me ne ricordi, a mio proprio conforto, nell’atto che io stesso deploro che troppi altri e gravi uffici mi abbiano distolto da questo che io vorrei dire di mia predilezione, e obbligato a sì lungamente sospendere, non rompere, il nostro intellettuale consorzio.

Una mutazione è pur avvenuta nel mio insegnamento, per quanto è del soggetto a cui si riferisce; ma non altrettanto, credo, pel suo indirizzo e pel suo generale carattere, nonchè per le immediate attinenze di tale soggetto esso medesimo.

Nello scorso anno io mi studiava di mostrarvi in atto, e nella loro applicazione all’Economia sociale, quei metodi di osservazione che fanno la forza di altre scienze a’ dì nostri, e sono il principale argomento di ogni loro progresso; quest’anno, mutato nome, noi c’incontriamo pur sempre nel medesimo campo; ed è uno stromento essenziale di que’ metodi che io mi trovo avere fra mano, e mi tocca darvene la spiegazione, professando nella Filosofia della Statistica. Assentite che io venga senz’altro al mio tèma, svolgendovene in questo primo incontro il generale concetto, mostrandovene il carattere scientifico ed il valor pratico.

Passerò rapido, se non del tutto brevissimo; lascierò per altre occasioni più minuti particolari e svolgimenti, e quanto pure riguarda le linee massime del mio proprio programma; andrò diritto senza più alle idee che io considero come fondamentali. Mi basta per questa volta [p. 4 modifica]che voi possiate derivare dal mio discorso un’idea chiara e adequata di ciò che sia, od esser debba, la Statistica, considerata in sè e ne’ suoi metodi, nel suo ufficio e nella sua posizione dirimpetto all’altre scienze, più specialmente alle sociali, e nella sua competenza di applicazione.