La secchia rapita (1930)/Dichiarazioni di Gaspare Salviani alla Secchia rapita/Canto undecimo

Canto undecimo

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CANTO UNDECIMO

S. 1, v. 4: La favola d’Atteone convertito in cervo da Diana è notissima a tutti.

S. 4, v. 8: I duellisti sfuggono quanto possono il tirarsi addosso le mentite per non divenire attori.

S. 6, v. 5: Diceva prima «poco dianzi». Ma l’autore l’ha mutato per isfuggire le dispute. Perciò che «dianzi» vuol dire «poco prima», e alcuni tengono che sia un reiterar lo stesso. Con tutto ciò l’autore tiene che si possa reiterar l’istesso per significare un tempo assai prossimo, e dire «poco poco prima» [p. 256 modifica] e per conseguenza «poco dianzi». Il Petrarca disse «pur dianzi», che fu quasi il medesimo.

S. 8, v. 8: Con certe buone coltellate levò l’insolenza a un cocchiero di Roma, che è una dell’eroiche azioni che si possano contare in quella corte, dove l’insolenza de’ cocchieri, de’ birri, de’ barilari e de’ carrattieri non può esser rappresentata con alcun superlativo.

S. 14, v. 7: I visi che i pittori cavano dal naturale dilettano sempre piú che gl’imaginati.

S. 17, v. 1: Alcuni s’hanno creduto che il poeta fingendo di burlare dica da dovero.

S. 20, v. 1: Inventa tutti i mezzi che possano animare un cuor vile.

S. 22, v. 5: Questo buon medico usa il rimedio che si suole usare con gli cavalli barberi che corrono al palio; i quali, per animarli maggiormente acciò che non abbiano da correre con timiditá, si sogliono abbeverar di buon vino. Gli spiriti riscaldati dal calor del vino non istimano i pericoli o non gli conoscono.

S. 26, v. 1: Qui il conte poeteggia assai meglio che non fece nell’altro canto, quando non avea bevuto: perciò che qui poeteggia commosso da furor di vino, e lá compone di suo natural talento. Ennio, Orazio e Torquato Tasso non sapeano comporre, se prima non avevano ben bevuto: e ’l Tasso in particulare soleva dire che la malvagia sola era quella che lo faceva comporre perfettamente.

S. 32, v. 1: A’ veri paladini della poltroneria non bastano i rimorsi dell’onore, né la vergogna, né i rinfacciamenti degli amici, né l’ingiurie de’nemici, né l’esortazioni de’confidenti, né gli stimoli della dama, né il calore del vino; che finalmente vogliono anch’essere accompagnati da cinquanta difensori.

S. 34, v. 8: Questa è la salmeria del conte portatagli dietro in campo da un suo padrino parziale.

S. 41, v. 1: Nol poteva spedire a persona piú informata né piú diligente di me.

S. 41, v. 5: Intende del cavalier Cassiano del Pozzo, del principe Federico Cesi e del signor don Virginio Cesarini, famosi ingegni della loro etá, come altri ancora ne fanno fede.

S. 41, v. 8: Il poeta ha mutato marchese, perché il primo per comparire in scena aveva promessi certi guanti d’ambra, che poi per esser cosa odorosa andarono in fumo. E realmente il luogo meritava d’essere occupato da un altro ingegno mirabile, [p. 257 modifica] come quello del marchese Sforza Pallavicino. E l’altro, che stimava piú due paia di guanti che l’immortalitá, meritava d’esser levato da tappeto.

S. 44, v. 7: Gli animi vili, purché salvino la pancia, non si curano di perder l’onore.

S. 46, v. 3: S’andò a mettere in casa d’un cardinale suo paesano senza essere invitato, e convenne, volesse o no, ch’egli l’alloggiasse; perciò che non bastarono né parole né fatti a farlo uscire di quella casa.

S. 46, v. 7: Il manuscritto dice: «A quel becco del Turco un marchesato». É veramente fu vero ch’egli da un principe greco si fece investire d’un marchesato nelle provincie del Turco, e pagò il titolo, chi dice una mano di scudi, e chi dice una dozzina di salami.

S. 31, v. 4: Alcuni interpretano costei per una certa spagnuola detta dogna Maria di Ghir, che stette un tempo in Roma puttaneggiando, e mandò fallito questo eroe romanesco.

S. 57, v. 1: La flemma nel petto de’ poltroni resiste alla collera in maniera che prima che la collera si riscaldi ci bisognano dieci guanciate. E veramente succedé un giorno che trovandosi il conte alla finestra, e passando due spagnoli, uno con la spada e l’altro prete, ed essendo la strada piena di sole, egli chiamando un suo uomo di casa, disse: — Mira come questi marrani godono d’andare al sole. — Gli spagnoli l’intesero: e quel dalla spada sopra la voce «marrano» gli diede una mentita e lo sfidò a venire a basso a duello: ma egli ridendosi di lui rispose che aveva burlato e che a Roma non si faceva quistione; e non si mosse dalla finestra, veggendo che l’uscio era chiuso.

S. 60, v. 2: L’intacca di que’ vizi ne’quali per l’ordinario suole incorrere la plebe di Roma.

S. 61, v. 3: Si vituperò da se stesso: perché veramente fu vero ch’egli accusò la moglie d’adulterio, e la fece metter prigione insieme con l’adultero, ch’era persona assai vile.