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Sezione seconda - Capitolo quinto - Corollari d'intorno all'origini della locuzion poetica

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Sezione seconda - Capitolo quinto - Corollari d'intorno all'origini della locuzion poetica
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[CAPITOLO QUINTO]

corollari d’intorno all’origini della locuzion poetica, degli episodi, del torno, del numero, del canto e del verso.

456In cotal guisa si formò la lingua poetica per le nazioni, composta di caratteri divini ed eroici, dappoi spiegati con parlari volgari, e finalmente scritti con volgari caratteri. E nacque tutta da povertá di lingua e necessitá di spiegarsi; lo che si dimostra con essi primi lumi della poetica locuzione, che sono l’ipotiposi, l’immagini, le somiglianze, le comparazioni, le metafore, le circoscrizioni, le frasi spieganti le cose per le loro naturali propietá, le descrizioni raccolte dagli effetti o piú minuti o piú risentiti, e finalmente per gli aggiunti enfatici ed anche oziosi.

457Gli episodi sono nati da essa grossezza delle menti eroiche, che non sapevano sceverare il propio delle cose che facesse al loro proposito, come vediamo usargli naturalmente gl’idioti e sopra tutti le donne.

458I torni nacquero dalla difficultá di dar i verbi al sermone, che, come abbiam veduto, furono gli ultimi a ritruovarsi; onde i greci, che furono piú ingegnosi, essi tornarono il parlare men de’ latini, e i latini meno di quel che fanno i tedeschi.

459Il numero prosaico fu inteso tardi dai scrittori — nella greca lingua da Gorgia leontino e nella latina da Cicerone, — perocché innanzi, al riferire di Cicerone medesimo, avevano renduto numerose l’orazioni con certe misure poetiche; lo che servirá molto quindi a poco, ove ragioneremo dell’origini del canto e de’ versi.

460Da tutto ciò sembra essersi dimostrato la locuzion poetica esser nata per necessitá di natura umana prima della prosaica; come per necessitá di natura umana nacquero, esse favole, [p. 196 modifica] universali fantastici, prima degli universali ragionati o sieno filosofici, i quali nacquero per mezzo di essi parlari prosaici. Perocché, essendo i poeti, innanzi, andati a formare la favella poetica con la composizione dell’idee particolari (come si è appieno qui dimostrato), da essa vennero poi i popoli a formare i parlari da prosa col contrarre in ciascheduna voce, come in un genere, le parti ch’aveva composte la favella poetica; e di quella frase poetica, per essemplo: «Mi bolle il sangue nel cuore» (ch’è parlare per propietá naturale, eterno ed universale a tutto il gener umano), del sangue, del ribollimento e del cuore fecero una sola voce, com’un genere, che da’ greci fu detto στόμαχος, da’ latini «ira», dagl’italiani «collera». Con egual passo, de’ geroglifici e delle lettere eroiche si fecero poche lettere volgari, come generi da conformarvi innumerabili voci articolate diverse, per lo che vi abbisognò fior d’ingegno. Co’ quali generi volgari, e di voci e di lettere, s’andarono a fare piú spedite le menti de’ popoli ed a formarsi astrattive; onde poi vi poterono provenir i filosofi, i quali formaron i generi intelligibili. Lo che qui ragionato è una particella della storia dell’idee. Tanto l’origini delle lettere, per truovarsi, si dovevano ad un fiato trattare con l’origini delle lingue!

461Del canto e del verso si sono proposte quelle degnitá: che, dimostrata l’origine degli uomini mutoli, dovettero dapprima, come fanno i mutoli, mandar fuori le vocali cantando; dipoi, come fanno gli scilinguati, dovettero pur cantando mandar fuori l’articolate di consonanti. Di tal primo canto de’ popoli fanno gran pruova i dittonghi ch’essi ci lasciarono nelle lingue, che dovettero dapprima esser assai piú in numero; siccome i greci e i francesi, che passarono anzi tempo dall’etá poetica alla volgare, ce n’han lasciato moltissimi, come nelle Degniltá si è osservato. E la cagion si è che le vocali sono facili a formarsi ma le consonanti difficili, e perché si è dimostrato che tai primi uomini stupidi, per muoversi a profferire le voci, dovevano sentire passioni violentissime, le quali naturalmente si spiegano con altissima voce. E la natura porta ch’ove uomo alzi assai la voce, egli dia ne’ dittonghi e nel [p. 197 modifica] canto, come nelle Degnitá si è accennato; onde poco sopra dimostrammo i primi uomini greci, nel tempo de’ loro dèi, aver formato il primo verso eroico spondaico col dittongo παί e pieno due volte piú di vocali che consonanti.

462Ancora tal primo canto de’ popoli nacque naturalmente dalla difficultá delle prime prononzie, la qual si dimostra come dalle cagioni cosí dagli effetti. Da quelle, perché tali uomini avevano formato di fibbre assai dure l’istrumento d’articolare le voci, e di voci essi ebbero pochissime; come al contrario i fanciulli, di fibbre mollissime, nati in questa somma copia di voci, si osservano con somma difficultá prononziare le consonanti (come nelle Degnitá s’è pur detto), e i chinesi, che non hanno piú che trecento voci articolate, che, variamente modificando, e nel suono e nel tempo, corrispondono, con la lingua volgare a’ loro cenventimila geroglifici, parlan essi cantando. Per gli effetti, si dimostra dagli accorciamenti delle voci, i quali s’osservano innumerabili nella poesia italiana (e nell’Origini della lingua latina n’abbiamo dimostro un gran numero, che dovettero nascere accorciate e poi essersi col tempo distese); ed al contrario da’ ridondamenti, perocché gli scilinguati da alcuna sillaba, alla quale sono piú disposti di profferire cantando, prendon essi compenso di profferir quelle che loro riescono di difficil prononzia (come pure nelle Degnitá sta proposto); onde appo noi nella mia etá fu un eccellente musico di tenore con tal vizio di lingua: ch’ove non poteva profferir le parole, dava in un soavissimo canto e cosí le prononziava. Cosí certamente gli arabi cominciano quasi tutte le voci da «al»; ed affermano gli unni fussero stati cosí detti ché le cominciassero tutte da «un». Finalmente si dimostra che le lingue incominciaron dal canto per ciò che testé abbiam detto: ch’innanzi di Gorgia e di Cicerone i greci e i latini prosatori usarono certi numeri quasi poetici, come a’ tempi barbari ritornati fecero i Padri della Chiesa latina (truoverassi il medesimo della greca), talché le loro prose sembrano cantilene.

463Il primo verso (come abbiamo poco fa dimostrato di fatto che nacque) dovette nascere convenevole alla lingua ed all’etá [p. 198 modifica] degli eroi, qual fu il verso eroico, il piú grande di tutti gli altri e propio dell’eroica poesia; e nacque da passioni violentissime di spavento e di giubilo, come la poesia eroica non tratta che passioni perturbatissime. Però non nacque spondaico per lo gran timor del Pitone, come la volgar tradizione racconta; la qual perturbazione affretta l’idee e le voci piú tosto che le ritarda, onde appo i latini «solicitus» e «festinans» significano «timoroso». Ma per la tardezza delle menti e difficultá delle lingue degli autori delle nazioni nacque prima, come abbiam dimostro, spondaico, di che si mantiene in possesso, ché nell’ultima sede non lascia mai lo spondeo; dappoi, faccendosi piú spedite e le menti e le lingue, v’ammise il dattilo; appresso, spedendosi entrambe vieppiú, nacque il giambico, il cui piede è detto «presto» da Orazio: come di tali origini si sono proposte due degnitá. Finalmente, fattesi quelle speditissime, venne la prosa, la quale, come testé si è veduto, parla quasi per generi intelligibili; ed alla prosa il verso giambico s’appressa tanto, che spesso inravedutamente cadeva a’ prosatori scrivendo. Cosí il canto s’andò ne’ versi affrettando co’ medesimi passi co’ quali si spedirono nelle nazioni e le lingue e l’idee, come anco nelle Degnitá si è avvisato.

464Tal filosofia ci è confermata dalla storia. La quale la piú antica cosa che narra sono gli oracoli e le sibille, come nelle Degnitá si è proposto; onde, per significare una cosa esser antichissima, vi era il detto: «quella essere piú vecchia della sibilla»; e le sibille furono sparse per tutte le prime nazioni, delle quali ci sono pervenute pur dodici. Ed è volgar tradizione che le sibille cantarono in verso eroico, e gli oracoli per tutte le nazioni pur in verso eroico davano le risposte; onde tal verso da’ greci fu detto «pizio» dal loro famoso oracolo d’Apollo pizio (il qual dovette cosí appellarsi dall’ucciso serpente detto Pitone, onde noi sopra abbiam detto esser nato il primo verso spondaico), e da’ latini fu detto «verso saturnio», come ne accerta Festo; che dovette in Italia nascere nell’etá di Saturno, che risponde all’etá dell’oro de’ greci, nella quale Apollo, come gli altri dèi, praticava in terra con gli uomini. Ed Ennio, [p. 199 modifica] appo il medesimo Festo, dice che con tal verso i fauni rendevano i fati ovvero gli oracoli nell’Italia (che certamente tra’ greci, com’or si è detto, si rendevano in versi esametri); ma poi «versi saturni» restaron detti i giambici senari, forse perché cosí poi naturalmente si parlava in tai versi saturni giambici, come innanzi si era naturalmente parlato in versi saturni eroici.

485Quantunque oggi dotti di lingua santa sien divisi in oppenioni diverse d’intorno alla poesia degli ebrei, s’ella è composta di metri o veramente di ritmi, però Gioseffo, Filone, Origene, Eusebio stanno a favore de’ metri, e (ciò che fa sommamente al nostro proposito) san Girolamo vuole che ’l libro di Giobbe il qual è piú antico di quei di Mosè, fusse stato tessuto in verso eroico dal principio del terzo capo fin al principio del capo quarantesimosecondo.

466Gli arabi, ignoranti di lettera, come riferisce l’autor anonimo dell’Incertezza delle scienze, conservarono la loro lingua con tener a memoria i loro poemi, finattanto ch’innondarono le provincie orientali del greco imperio.

467Gli egizi scrivevano le memorie de’ lor difonti nelle siringi, o colonne, in verso, dette da «sir», che vuol dire «canzona»; onde vien detta «Sirena», deitá senza dubbio celebre per lo canto, nel qual Ovidio dice esser egualmente stata celebre che ’n bellezza la ninfa detta Siringa: per la qual origine si deve lo stesso dire ch’avessero dapprima parlato in versi i siri e gli assiri.

468Certamente i fondatori della greca umanitá furon i poeti teologi, e furon essi eroi, e cantarono in verso eroico.

469Vedemmo i primi autori della lingua latina essere stati i salii, che furon poeti sagri, da’ quali si hanno i frammenti de’ versi saliari, c’hanno un’aria di versi eroici, che sono le piú antiche memorie della latina favella. Gli antichi trionfanti romani lasciarono le memorie de’ loro trionfi pur in aria di verso eroico, come Lucio Emilio Regillo quella:

Duello magno dirimendo, regibus subiugandis,

[p. 200 modifica] Acilio Glabrione quell’altra:

Fudit, fugat, prosternit maximas legiones,

ed altri altre. I frammenti della legge delle XII Tavole, se bene vi si rifletta, nella piú parte de’ suoi capi va[nno] a terminar in versi adoni, che sono ultimi ritagli di versi eroici; lo che Cicerone dovette imitare nelle sue Leggi, le quali cosí incominciano:

Deos caste adeunto.
Pietatem adhibento.

Onde, al riferire del medesimo, dovette venire quel costume romano: ch’i tanciulli, per dirla con le di lui parole, «tanquam necessarium carmen», andavano cantando essa legge; non altrimenti che Ebano narra che facevano i fanciulli cretesi. Perché certamente Cicerone, famoso ritruovatore del numero prosaico appresso i latini, come Gorgia leontino lo era stato tra’ greci (lo che sopra si è riflettuto), doveva schifare nella prosa, e prosa di si grave argomento, nonché versi cosí sonori, anche i giambici (i quali tanto la prosa somigliano), da’ quali si guardò scrivendo anco lettere famigliari. Onde di tal spezie di verso bisogna che sieno vere quelle volgari tradizioni: delle quali la prima è appresso Platone, la qual dice che le leggi degli egizi furono poemi della dea Iside; la seconda è appresso Plutarco, la qual narra che Ligurgo diede agli spartani in verso le leggi, a’ quali con una particolar legge aveva proibito saper di lettera; la terza è appo Massimo tirio, la qual racconta Giove aver dato a Minosse le leggi in verso; la quarta ed ultima è riferita da Suida, che Dragone dettò in verso le leggi agli ateniesi, il quale pur volgarmente ci vien narrato averle scritte col sangue.

470Ora, ritornando dalle leggi alle storie, riferisce Tacito ne’ Costumi de’ Germani antichi che da quelli si conservavano conceputi in versi i principi della loro storia; e quivi Lipsio, nelle Annotazioni, riferisce il medesimo degli americani. Le quali [p. 201 modifica] autoritá di due nazioni, delle quali la prima non fu conosciuta da altri popoli che tardi assai da’ romani, la seconda fu scoverta due secoli fa da’ nostri europei, ne danno un forte argomento di congetturare lo stesso di tutte l’altre barbare nazioni, cosí antiche come moderne; e, senza uopo di conghietture, de’ persiani tralle antiche, e de’ chinesi tralle nuovamente scoperte, si ha dagli autori che le prime loro storie scrissero in versi. E qui si facci questa importante riflessione: che, se i popoli si fondarono con le leggi, e le leggi appo tutti furono in versi dettate, e le prime cose de’ popoli pur in versi, si conservarono; necessaria cosa è che tutti i primi popoli furono di poeti.

471Ora — ripigliando il proposto argomento d’intorno all’origini del verso — al riferire di Festo, ancora le guerre cartaginesi furono da Nevio innanzi di Ennio scritte in verso eroico; e Livio Andronico, il primo scrittor latino, scrisse la Romanide, ch’era un poema eroico il quale conteneva gli annali degli antichi romani. Ne’ tempi barbari ritornati essi storici latini furon poeti eroici, come Guntero, Guglielmo pugliese ed altri. Abbiam veduto i primi scrittori nelle novelle lingue d’Europa essere stati verseggiatori; e nella Silesia, provincia quasi tutta di contadini, nascon poeti. E generalmente, perocché cotal lingua troppo intiere conserva le sue origini eroiche, questa è la cagione, di cui ignaro, Adamo Rochembergio afferma che le voci composte de’ greci si possono felicemente rendere in lingua tedesca, spezialmente in poesia; e ’l Berneggero ne scrisse un catalogo, che poi si studiò d’arricchire Giorgio Cristoforo Peischero in Indice de graecae et germanicae linguae analogia. Nella qual parte, di comporre le intiere voci tra loro, la lingua latina antica ne lasciò pur ben molte, delle quali, come di lor ragione, seguitarono a servirsi i poeti: perché dovett’essere propietá comune di tutte le prime lingue, le quali, come si è dimostrato, prima si fornirono di nomi, dappoi di verbi, e sí, per inopia di verbi, avesser unito essi nomi. Che devon esser i principi di ciò che scrisse li Morhofio in Disquisitionibus de germanica lingua et poësi. E questa sia una pruova dell’avviso [p. 202 modifica] che diemmo nelle Degnitá, che, «se i dotti della lingua tedesca attendano a truovarne l’origini per questi principi, vi faranno delle discoverte maravigliose».

472Per le quali cose tutte qui ragionate sembra ad evidenza essersi confutato quel comun error de’ gramatici, i quali dicono la favella della prosa esser nata prima, e dopo quella del verso; e dentro l’origini della poesia, quali qui si sono scoverte, si son truovate l’origini delle lingue e l’origini delle lettere.