La porta della gioia/Dite la verità

Dite la verità

../La donna vertiginosa ../Come guarì Luciana Vannelli IncludiIntestazione 30 luglio 2023 100% Da definire

La donna vertiginosa Come guarì Luciana Vannelli

[p. 131 modifica]


DITE LA VERITÀ

[p. 133 modifica]




I.

— Il viaggio di ieri deve averti enormemente stancata, — disse il signor Massimiliano Delisi alla sua giovine sposa Fausta la mattina che seguì il loro ritorno dal viaggio di nozze.

Erano giunti la notte innanzi direttamente da Roma alla Villa dei Salici, una loro vasta casa di provincia un po’ vecchia e un po’ triste; e la signora Fausta, china a sorbire la sua cioccolata nella gran sala da pranzo grigia e fredda, s’avvolse con gesto molle nella sua vestaglia azzurra e assentì in silenzio senza guardare il marito.

Egli le stava ritto accanto e la osservava con attenzione fumando un interminabile avana.

— Davvero, sai, — insistette il signor Massimiliano, — quelle dieci o dodici ore di treno sono state per te disastrose. Questa mattina hai la faccia gialla come un limone.

Subito una lieve fiamma di rossore salì alle guance della signora Fausta la quale ritornò dopo un attimo più pallida di prima, come le [p. 134 modifica]disse con la stessa sincerità di suo marito il vecchio specchio verdognolo che si alzava sino alla vôlta infisso nella parete di fronte.

Ella si morse le labbra e scosse le spalle con un piccolo gesto nervoso che le era divenuto consueto nelle due settimane della sua vita coniugale, nella convivenza continua con quell’uomo il quale si vantava di dire sempre la verità.

— La menzogna è il più il gran male che infesti la vita umana e la vita civile, — asseriva il signor Massimiliano Delisi. — Se tutti gli uomini e tutte le donne fossero sinceri con sè stessi e con gli altri, quante inquietudini di meno e quante gioie di più si troverebbero in questo povero mondo!

Ed egli metteva in pratica per proprio conto questi suoi dogmi quanto più ampiamente gli fosse possibile; e forse per questa ragione riusciva molesto a quanti lo conoscevano e talora intollerabile anche a sua moglie, sebbene ella avesse posseduto sino alla vigilia del matrimonio una mitezza di carattere quasi simile a quella d’una colomba.

D’una colomba la signora Fausta aveva anche il lungo collo pieghevole e la timidezza silenziosa, la quale qualche volta irritava suo marito che chiacchierava troppo e volentieri, anche quando prudenza e gentilezza gli avrebbero consigliato di tacere. [p. 135 modifica]

Quale necessità, ad esempio, lo induceva quella mattina a rattristare la sua giovine sposa affermandole che la sua faccia era gialla come un limone?

La signora Fausta se lo chiedeva con una piccola smorfia d’amarezza, seduta dinanzi alla specchiera d’argento della sua camera da letto, e riconosceva che Massimiliano dopo tutto aveva ragione: le sue gote erano pallide, gli occhi apparivano stanchi e senza luminosità, le labbra appena tinte di rosa.

Ma perchè dirglielo così spietatamente? Perchè esprimerle queste impressioni in una forma così sgarbata?

— La verità, la verità innanzi tutto, — le avrebbe risposto suo marito. — Sempre, con tutti e ovunque, dite la verità.

All’infuori di questo terribile difetto, ch’era per lui la suprema delle virtù, Massimiliano Delisi era un uomo pieno di ottime qualità. Bel giovine, non ostante una lieve tendenza alla pinguedine, abbastanza intelligente e colto sebbene d’una coltura disordinata e farraginosa, buono, generoso e ospitale, quantunque disposto a tormentare gli amici e i conoscenti con la sua non sempre innocua mania.

Durante l’epoca del fidanzamento egli aveva con questa non poco meravigliato la sua promessa sposa, orfana d’entrambi i genitori e [p. 136 modifica]cresciuta con una vecchia prozia zitella, avara e ricchissima; ma poichè quello era il tempo dei dolci sospiri e Massimiliano attraversava una crisi di acuto sentimentalismo, tutto tenerezze, ardori e languori, le sue parole di verità si vestivano d’azzurro e di roseo, non erano che lusinghe, speranze, desideri prossimi alla realtà e non potevano che blandire e accarezzare soavemente la più raffinata sensibilità femminile.

Anche le osservazioni pungenti sulla persona un po’ ridicola della zia Camilla di cui egli si era compiaciuto ai primi giorni della loro conoscenza s’erano a poco a poco attenuate in una benevola indulgenza, quasi in una affettuosa scherzosità che mitigava verso di lui l’astiosa rivalità della vecchia e attraeva verso di lui sempre più l’animo della giovine.

Soltanto durante il viaggio di nozze le prime spiacevoli verità gli erano per l’antica consuetudine sfuggite; e a grado a grado, non ostante il grande amore che l’univa a sua moglie, Massimiliano era giunto ad esprimersi con lei sempre e unicamente con la più scrupolosa franchezza.

Una sera che Fausta lodava in un teatro la bellezza e l’eleganza di un’attrice, egli la rimbeccò con aria di superiorità:

— Voialtre donne non capite nulla di queste cose. Spogliala e vedrai che disastro. Io me ne intendo. [p. 137 modifica]

Fausta rimase male, immaginò per tutta la sera le possibili e probabili avventure passate di suo marito, le possibili e probabili avventure dell’avvenire e comprese per la prima volta come fossero aspri i morsi della gelosia.

Un’altra volta mentre essa si provava in un negozio un paio di scarpette da sera, Massimiliano le fece notare ridendo:

— Ma, cara mia, non t’accorgi che il contenuto è assai maggiore del contenente? Non potrai camminare. Lo sai pure, suppongo, che i tuoi piedi non sono i piedini di Cenerentola.

Fausta non sapeva d’avere i piedi troppo grandi per la sua statura ch’era piuttosto alta, e quell’osservazione, benchè fatta in un tono semplice e gaio, la ferì e la umiliò a segno ch’ella rinunziò senz’altro alle graziose scarpette da Cenerentola.

Ora ella viveva da un paio di mesi alla Villa dei Salici e le spietate verità di suo marito continuavano a perseguitarla con quotidiana insistenza, senza ch’ella si potesse abituare a considerarle con quella serenità ottimista ch’egli pretendeva.

— Ma sii franca anche tu con me com’io lo sono con te, — le diceva Massimiliano con calore quando la vedeva oscurarsi in viso a qualche sua osservazione eccessivamente veritiera. [p. 138 modifica]

— Non posso, non posso, — gemeva Fausta sospirando. — Vedi, io sarei assolutamente incapace di dirti: «smetti di fumare che mi dai noia», oppure: «quella tua cravatta ha un colore stridente». Piuttosto esco io stessa dalla camera dove tu fumi, o ti preparo pel domani una cravatta di mio gusto.

— E fai male, — ribatteva Massimiliano, fedele alle sue teorie. — Effetto di un’educazione sbagliata, l’educazione che ti ha data una vecchia zitella paurosa, bigotta e opportunista.

— Lasciala stare, povera zia Camilla.

— Io l’apprezzo soltanto per la vistosa eredità futura.

— Come sei volgare!

— È la verità.

— Allora la tua è una verità volgare.

— Può darsi. Io non mi pretendo un essere sublime, tutt’altro. Mi pretendo soltanto un uomo sincero.

— Ma preferisci la tua franchezza alla franchezza altrui.

— T’inganni. Quando qualcuno mi dice una verità che riconosco vera anche se sgradevole, l’accetto, l’ammiro e ne faccio tesoro.

— Come dev’essere difficile riconoscere la verità vera dalla verità alquanto vera, abbastanza vera, piuttosto vera!

Sottilizzavano così discutendo a lungo, [p. 139 modifica]cercando frasi da contrapporre a frasi, parole da combattere parole, senza avvedersi che, intanto, dalle teorie astrattamente avverse passavano senza volerlo ad un’avversità più profonda ed insanabile: quella delle anime e quella dei corpi.

Fausta, più delicata e sensibile, si sentiva talvolta, dopo uno di questi diverbii futili ed asprigni, quasi più ostile a suo marito che se lo avesse sorpreso in colpa, o lo vedeva avvicinarsi avido a lei con una specie di confusa insofferenza, come se le fosse divenuto d’un tratto estraneo e indifferente.

— Si direbbe che ti faccio ribrezzo, — le osservava allora Massimiliano per quel suo funesto bisogno di esprimere sempre in chiare e sonanti parole la più fuggevole delle sue impressioni.

E sua moglie era costretta a riconoscere che in quell’osservazione c’era forse già lontanamente qualche cosa di vero, ma mentiva a lui e a sè medesima rispondendo con finta semplicità:

— Come puoi pensare una simile enormità, Massimiliano? Lo sai che ti amo come il primo giorno.

Intanto la signora Fausta s’annoiava prodigiosamente in quella grande casa circondata da un immenso giardino folto d’ombre come un [p. 140 modifica]bosco leggendario e chiuso in fondo da uno stagno pieno di ninfee, nel quale si specchiava con malinconia una corona di salici piangenti.

La giovine signora ne aveva compiuto il giro una volta sola, il domani del suo arrivo, appoggiata al braccio del marito, e le era piombata sul cuore d’improvviso una così nera tristezza che aveva promesso a sè stessa di non ritornarvi mai più.

Ella non possedeva uno spirito romantico, ma una piccola anima semplice e chiara, facile agli sgomenti, e dove le prime impressioni resistevano con insospettata tenacia.

— Perchè non hai chiamata questa casa la Villa dei Salici piangenti? — ella diceva qualche volta con un sorrisetto un po’ ironico a suo marito; — sarebbe stato più giusto, avrebbe espresso con maggiore franchezza la verità.

— Quale verità? La materiale o la morale?

— Non vi sono distinzioni, credo. Lo stagno laggiù, in fondo al giardino, non è circondato da una malinconica fila di salici piangenti?

— No, no, — concluse un giorno dopo una lunga pausa Massimiliano, aiquanto spazientito. — Io so perfettamente che cosa nascondono queste tue parole. Se tu fossi sincera come lo sono io e come io ti vorrei, mi diresti semplicemente così: «Marito mio, questa tua casa è molto grande, non è brutta ed è discretamente [p. 141 modifica]comoda, ma noi ci viviamo ormai soli soli da quasi sette mesi; e quantunque ci amiamo, non dirò follemente, ma abbastanza per sopportare reciprocamente i nostri difetti e riconoscere le nostre qualità, io incomincio però ad accorgermi che questo isolamento non è confacente ai miei venticinque anni e che la noia incomincia a pesarmi addosso come la classica cappa di piombo. Perciò, marito mio, provvedi, e non farmi sciupare la mia graziosa giovinezza all’ombra grigia dei tuoi salici piangenti». Perchè non hai il coraggio e la lealtà di dirmi queste cose?

La signora Fausta, seduta sulla veranda in una poltrona di vimini, ricamava una tovaglia da tè a capo chino, ma le sue dita sottili, mentre Massimiliano così ragionava, tremavano leggermente sulla tela candida, come le foglie di un albero scosse dal vento.

E quando egli tacque ella sollevò un momento i suoi grandi occhi azzurri, lo guardò, li riabbassò sul ricamo senza rispondere.

Massimiliano gettò il suo sigaro e venne a sederle accanto. Le tolse il lavoro, le prese entrambe le mani tra le sue e le disse con pacata risolutezza:— Discorriamo.

S’accendeva nel cielo un vermiglio tramonto di prima estate, e laggiù, nell’ombra già folta del giardino appariva e spariva lo scintillìo luminoso di qualche luccioletta vagante. [p. 142 modifica]

Fausta evitava lo sguardo di suo marito e seguiva l’errare di quei puntini di fiamma pallida tra il velo grigiastro della sera che scendeva.

— Vuoi che ce ne andiamo via di qui? Vuoi che facciamo un bel viaggio? — le chiese Massimiliano scuotendole ad ogni domanda le mani come per vincere quel suo torpore.

Ella alzò lentamente le spalle, mormorò con un sorriso forzato:

— Ma no, caro; perchè muoverci, perchè stancarci a correre in ferrovia e a girare per gli alberghi ora che incomincia l’estate? Qui si sta benissimo.

Il ricordo del viaggio di nozze e degli alterchi continui di suo marito col personale degli alberghi e con quello dei treni ai quali egli pretendeva d’esprimere senza riguardi la propria disapprovazione pel cattivo servizio, le stava ancora fisso nel ricordo e la faceva rabbrividire. No, no; piuttosto il tedio monotono della Villa dei Salici, dove almeno le spiacevoli verità si rivolgevano a persone ormai avvezze all’acerba franchezza di suo marito, le quali le accoglievano in un rispettoso e rassegnato silenzio, rifacendosi dopo dell’umiliazione subita con la più falsa ed insolente noncuranza.

Oramai i pochi amici che salivano ancora a quella casa sopportavano bonariamente la mania in fondo innocente di Massimiliano Delisi, e lo [p. 143 modifica]lasciavano dire le sue arroganti verità rimbeccandolo con eguale impertinenza, oppure canzonandolo con un beffardo ed amabile compatimento.

Il sindaco, il vicario, il sottoprefetto e le altre autorità venuti a rendere omaggio alla giovine signora Delisi, alla sposa del più cospicuo proprietario della cittadina, se n’erano andati per non più tornare, offesi, scandalizzati ed atterriti dalla brutale franchezza del padrone di casa, il quale servendo loro un principesco rinfresco vi aveva aggiunto per ognuno di loro un apprezzamento di così bruciante realtà, che ciascuno se n’era sentito nell’intimo indignato, pur non potendo per la verità delle parole, rivoltarvisi palesemente.

— Qui si sta benissimo, — ripetè Massimiliano scandendo le sillabe con una smorfia di dispetto. — Vedi come continui a falsificare le cose? Tu pensi tutto il contrario, lo so perfettamente.

— Il dirlo non serve a nulla, — sussurrò Fausta quasi a sè stessa, e s’alzò, andò ad appoggiarsi alla balaustrata della veranda, forse per osservare meglio lo scintillìo luminoso delle lucciole che vagavano ora a miriadi nell’ombra del giardino, forse per interrompere quella conversazione vana e ormai troppe volte ripetuta.

Ma suo marito ve la raggiunse dopo un [p. 144 modifica]momento e riaccese con aria di trionfo un altro avana.

— Ho trovato il rimedio, — egli disse mandando all’aria le prime boccate di fumo. — Inviterò alcuni ospiti piacevoli alla Villa del Salici, la quale è tutt’altro che una villeggiatura disprezzabile.

— Quali ospiti? — chiese Fausta non troppo persuasa dell’efficacia del rimedio.

— Aspetta, — disse Massimiliano riflettendo. — Ci vorrebbe qualche amico simpatico per me, il quale avesse una moglie, una sorella, anche una figliuola che fosse simpatica a te.

— È un caso complicato, — dichiarò sorridendo Fausta che incominciava ad interessarsene.

— Non tanto, — mormorò suo marito continuando a meditare. — Ci dev’essere, anzi c’è. Tu ricordi Artali, Furio Artali, quel giovine bruno, magro, alto che ha viaggiato mezzo mondo, e che sta sempre per pubblicare le sue impressioni di viaggio, delle quali viceversa non deve aver scritto neppure una pagina.

— Mi pare, — disse Fausta esitando. — È quello che ci mandò per regalo di nozze una pelle di leopardo avvertendo d’averlo cacciato egli stesso nelle foreste dell’Africa?

— Precisamente, — rise Massimiliano, — ed al quale io risposi che lo ringraziavo, ma che [p. 145 modifica]la pelle del leopardo era stata più facilmente acquistata al mercato di Lipsia.

— Non s’offese?

— Affatto. È forse l’unico tra i miei amici che abbia sempre accettato allegramente le mie verità.

— Si vede che ha vissuto nelle regioni selvaggie. Ma non sapevo che possedesse una moglie.

— Non ha moglie difatti. Ha però una graziosissima sorella rimasta vedova molto giovine la quale abita con lui.

— Tu la conosci?

— Appena, per averla veduta a teatro o alle corse col fratello. Dicono che sia una donna di spirito, colta e intelligente quanto lui.

— Una donna pericolosa, insomma.

— Non saprei. Bisognerà giudicarla.

— E credi che accetterebbero l’invito?

— Scrivo ad Artali questa sera stessa, e se non accetterà penseremo a qualcun altro. Ma sarebbe peccato perchè è certo il più divertente fra i miei amici.

Massimiliano scrisse quella sera stessa, e dopo due giorni giunse una risposta telegrafica che diceva: «Accettiamo con entusiasmo». [p. 146 modifica]


II.

Gli ospiti attesi arrivarono una settimana dopo con bauli, valigie e cappelliere e scesero una sera dalla loro automobile dinanzi alla Villa dei Salici, dove Fausta e Massimiliano Delisi li aspettavano con una certa trepidazione.

Furio Artali, che guidava egli stesso la macchina, balzò pel primo fra le braccia dell’amico, mentre sua sorella Silvia, tutta avvolta in un impenetrabile velo verde— smeraldo, stringeva a Fausta tutte e due le mani, esclamando con una voce dal timbro acutamente metallico:

— Come sono felice di conoscerla, cara signora. Furio m’ha parlato tanto di lei! Noi saremo certamente amiche, non è vero?

Che Furio le avesse parlato tanto di lei era una cosa assolutamente inverosimile, perchè l’aveva veduta non più d’una volta e molto fuggevolmente, ma Fausta pensò con un sorriso di gaia ironia che per fortuna gli ospiti scelti da suo marito coltivavano l’arte sottile e signorile delle amabili menzogne.

— Sapete perchè vi ho invitati qui? — diceva intanto Massimiliano accompagnando i nuovi arrivati alle loro camere;— Perchè mia moglie ed io ci annoiavamo tanto che ci occorreva assolutamente una compagnia divertente. [p. 147 modifica]

— Adesso costoro s’offendono e tornano indietro, — riflettè palpitando d’ansia la signora Delisi nell’attimo di silenzio che seguì quelle parole.

Ma Furio e Silvia Artali risero sonoramente, il primo battendo la palma aperta sulle spalle dell’amico, l’altra infilando con graziosa familiarità il suo braccio nel braccio di Fausta.

— Se è così, avremo anche diritto alla vostra eterna gratitudine, — dichiarò il fratello. E la sorella aggiunse cingendo la vita della sua ospite:

— E noi due incomincieremo col darci del tu.

Fausta frattanto, a cagione del fitto velo, non sapeva ancora che faccia avesse quella sua novella amica a cui dava con qualche esitazione del tu, ma quando la vide scendere mezz’ora dopo in sala da pranzo, la guardò con una meraviglia ammirata e turbata al tempo stesso.

La giovine vedova doveva prediligere il color verde perchè la sua lunga persona sottile era avvolta in una spirale di lucida seta molle di color smeraldo, da cui traevano uno straordinario risalto la sua carnagione molto bianca e i suoi capelli d’un biondo acceso a riflessi d’oro, evidentemente tinti con un mirabile artifico.

Ella ne rimase così colpita che dimenticò di notare la corretta e disinvolta eleganza di Furio Artali, il quale rassomigliava nell’alta e smilza persona alla sorella, pur avendo più [p. 148 modifica]maschiamente conservato il primitivo colore bruno dei capelli.

— Accanto a questa donna così ben dipinta io devo sembrare un’ombra evanescente, — si diceva durante il pranzo la signora Delisi, gettando qualche sguardo inquieto al grande specchio antico incassato nella parete di fronte, dove il biondo-cenere dei suoi capelli pettinati con semplicità e il grigio-perla della sua veste appena scollata dileguavano e si perdevano assorbiti dalla violenza dominante di quell’oro e di quel verde.

Quando a mezzanotte passata gli ospiti si ritirarono, ella ripetè sorridendo queste osservazioni a suo marito, e scherzando gli chiese:

— Tu che ami tanto la verità e la sincerità mi permetteresti di tingermi i capelli a quel modo?

Senonchè, mentre s’aspettava da Massimiliano una risata sdegnosa e una frase pungente all’indirizzo della signora Silvia lo vide invece assumere un’aria grave e stringersi nelle spalle:

— Innanzi tutto io non credo che quei capelli sieno tinti, — egli dichiarò. — Quello è il famoso biondo-tizianesco che è sempre esistito senza bisogno di ricorrere alle tinture.

Sua moglie trasecolava.

— Ma se ha le ciglia e le sopracciglia nere! È vero che pure quelle sono dipinte ed anche le labbra, le orecchie e le unghie. [p. 149 modifica]

— Oh via, — proruppe indispettito Massimiliano, — dipinta o non dipinta è una bellissima creatura, non c’è che dire.

— Dissimula almeno dinanzi a me i tuoi trasporti d’ammirazione.

— Perchè devo dissimulare? È la verità.

Questa verità egli la dovette esprimere il domani e i giorni seguenti alla signora Silvia Artali, la quale sembrò compiacersene come qualunque bella donna si compiace dell’omaggio reso alla propria bellezza.

Allora anche Furio Artali incominciò a corteggiare discretamente la giovine moglie del suo amico, forse per compensarla della noncuranza in cui la lasciava spesso il marito, forse per semplice dovere di cortesia e di galanteria verso la sua graziosa ospite.

— Ma come mai potete vivere con un uomo così sgarbato, voi che siete una piccola sensitiva, così fine, così squisitamente donna? — egli le chiedeva un giorno sedendole accanto all’ombra dei salici piangenti, presso quello stagno fosco ch’ella rivedeva solo per la seconda volta, tanto l’aveva rattristata al suo arrivo.

Ora ella lo contemplava senza malinconia sentendosi accanto un amico, qualcuno che la blandiva con parole di lusinga e di tenerezza. Le piaceva anzi quel luogo taciturno e un po’ tetro, quella solitudine cupa d’ombre nere e [p. 150 modifica]d’acque stagnanti, ove la voce umana destava lunghe risonanze d’echi.

— Voi non potete immaginare, mia cara amica, come io comprenda le vostre intime ribellioni, anzi l’urto penoso di tutta la vostra sensibilità dinanzi a certe brutali ostentazioni di franchezza che Massimiliano si permette con voi. Io stesso ne soffro come se vedessi sgualcire con ruvida mano un fiore delicato, rompere una fragile cosa composta di grazia e di bellezza. Ne soffro e contemplo il pallore madreperlaceo del vostro viso con un senso di così raccolta ammirazione e di così profonda devozione che ne sareste commossa se lo sentiste.

Fausta scuoteva dolcemente il capo con un sorriso ambiguo che disorientava Furio Artali.

— Non mi credete, amica mia, non mi credete?

— Ma sì, vi credo. È così dolce credere a qualche piacevole menzogna quando si odono sempre spiacevoli verità.

— Come siete scettica, Fausta! L’amore è dunque per voi una piacevole menzogna?

— O una verità brutale.

L’esperienza le aveva insegnato queste cose, ch’ella diceva soavemente reclinando un po’ il capo sulla spalla, e in cui non poneva nè risentimento, nè asprezza. Ed ascoltava con un piacere fresco e curioso d’adolescente alla sua prima [p. 151 modifica]conquista le adulazioni lusingatrici di quel bel giovane che l’amava o che fingeva d’amarla, restando tuttavia in guardia contro di lui e contro se stessa, pronta a liberarsene al primo gesto d’audacia, al primo sentore di pericolo.

Continuarono così giorni e giorni in questa innocua schermaglia sentimentale dalla quale traevano almeno il vantaggio di non annoiarsi soverchiamente nella esistenza piuttosto monotona che loro offriva il soggiorno alla Villa del Salici.

La interrompeva talvolta qualche passeggiata in automobile nei dintorni assai poco pittoreschi della cittadina ed allora Fausta sedeva accanto a Furio che guidava la macchina, senza curarsi di Massimiliano il quale, dietro le loro spalle, si stringeva esageratamente al fianco di Silvia.

Fu appunto al ritorno da una di queste gite che Furio Artali trovò un telegramma urgente da cui veniva chiamato prontamente in città per un affare d’importanza. La partenza fu decisa pel mattino seguente fra le irose esclamazioni di Massimiliano e il rammarico veramente sincero manifestato degli aitri.

Avevano passati venti giorni di vita in comune, e Fausta, Furio e Silvia, da persone corrette, cortesi e disposte a qualche amabile dissimulazione, s’erano reciprocamente alleggerito il tedio d’una villeggiatura senza risorse e d’una casa senza allegria. Quanto a Massimiliano, [p. 152 modifica]dedicatosi anima e corpo alla bella vedova, aveva di nuovo inconsciamente vestito la sua sincerità d’azzurro e di roseo, rendendola bene accetta alla giovane donna ch’egli corteggiava, spesso dimenticando con l’amico e con la moglie le sue scabrose verità.

Ma quando, partiti gli ospiti, egli si ritrovò solo con Fausta, la sua missione d’uomo spietatamente sincero sempre, ovunque e con tutti, risorse d’improvviso nella sua anima conturbata dalla tristezza dell’addio e lo indusse a rivelare a sua moglie la propria debolezza.

— Confesso che se quella donna rimaneva ancora un poco mi faceva perdere il lume della ragione.

— Ah! — esclamò sua moglie torcendo le labbra in un sogghigno.

— Del resto lo meritava, — egli prosegui. — Non ho mai conosciuto una creatura inquietante come quella. Uno spirito sottile, mordace, pieno d’imprevisto e una bellezza strana, signorile e selvaggia al tempo stesso, qualche cosa insomma che dava alla testa come un liquore inebbriante. Oh! una donna assolutamente pericolosa e capace di destare delle passioni travolgenti. Una donna...

— Massimliano! — proruppe interrompendolo sua moglie, con una voce vibrante di sdegno. — Che tu pensi queste cose è ammissibile, [p. 153 modifica]ma che tu le venga a raccontare proprio a me, mi sembra un eccesso di sfrontatezza.

— Invece non è altro che un eccesso di sincerità, — dichiaro il marito tranquillamente. — Un altro le avrebbe fatto la corte di nascosto e di nascosto sarebbe arrivato ai suoi scopi. Io invece, perchè ho la leale franchezza di dire la verità...

— Ma nessuno te la chiede questa franchezza, — lo avvertì Fausta violentemente. — Io preferisco una delicata menzogna alle tue verità brutali ed offensive.

— Voi altre donne siete dei poveri esseri senza coraggio e senza coerenza. Non amate che l’illusione e l’inganno, — sentenziò Massimiliano sprezzante, e crollò lungamente il capo accendendo un sigaro con una esagerata espressione di compatimento.

— Del resto — soggiunse sua moglie dopo una pausa, durante la quale una profonda ruga scavata fra le sue sopracciglia dimostrava che una intensa lotta di sentimenti contrari si combatteva sotto il suo prolungato silenzio, — del resto non so con quale animo tu sopporteresti da me una verità consimile.

— Che cosa vuoi dire? — egli domandò soffiando il fumo dalle nari e restando a testa sollevata in attesa della risposta.

Quale dèmone perverso suggerì questa [p. 154 modifica]risposta alla sorda irritazione di Fausta? La sua consueta mitezza, la sua dolce timidezza, esacerbate e fustigate dalla imprudente provocazione del marito, insorgevano all’improvviso armate di zanne e d’artigli, pronte a mordere ed a ferire ambiguamente, nell’ombra, pronte a ripagare con lo stesso male il male dianzi sofferto.

— Voglio dire, — ella proseguì con una voce volutamente lenta e beffarda, — che mentre tu t’occupavi con tanto ardore di Silvia Artali, suo fratello Furio s’occupava con altrettanto ardore di tua moglie.

Ella vide passare negli occhi di Massimiliano il lampo d’ira malvagia che oscura la ragione e suggerisce le parole inconsulte:

— Quel mascalzone ti faceva la corte? — egli disse masticando il sigaro nell’angolo della bocca contratta.

— È naturale, — ella rispose con una calma sottilmente insolente, — tu avevi dimenticato persino la sua esistenza e la mia. Furio Artali è uomo troppo intelligente e mondano per non approfittare a suo vantaggio della tua comoda cecità.

— Ciò significa che anche tu approfittavi di questa comoda cecità per lasciarti corteggiare.

— Oh, Dio mio, — sogghignò Fausta stringendosi nelle spalle; — verità per verità. Dal momento che tu m’hai confessato la tua [p. 155 modifica]debolezza io posso confessarti la mia. La corte di Furio Artali non mi dispiaceva: tutt’altro...

A queste parole seguì una pausa di agitato silenzio in cui i due si guardarono fissi negli occhi, la donna con un’espressione di fredda e ironica sfida, l’uomo con un balenare di collera furibonda pronta a prorompere. E proruppe dopo un momento con un fiotto d’ingiurie sanguinose e stolte:

— Ah! sfrontata, svergognata! Donnucola spudorata! Ti lasciavi corteggiare in casa mia, sotto gli occhi stessi di tuo marito, e me lo dici sorridendo tranquillamente, col più ributtante cinismo!

— Tu stesso m’hai dato l’esempio di questo cinismo, mio caro, — ella gli osservò pacatamente. — Verità per verità!

— Ma io sono un uomo, mia cara. Io posso fare e dire quanto mi piace.

— E puoi essere quanto ti piace incoerente e misero sino a farmi pena.

— Ah, ti faccio pena? Ciò vuol dire che fra te e quell’altro c’è stato qualche cosa di più grave d’un misterioso corteggiamento. Chi sa fin dove quel mascalzone è arrivato, chi sa fino a che punto tu l’hai lasciato giungere, sciagurata!

Massimiliani Delisi aveva buttato dalla finestra il sigaro con la violenza furiosa con cui [p. 156 modifica]vi avrebbe scaraventato il suo rivale e in piedi in faccia a sua moglie con le mani in tasca, piegava ad ogni nuovo sospetto su di lei la sua faccia congestionata d’uomo sconvolto dalla più collerica gelosia.

Alle ultime parole Fausta non ribattè. S’alzò quasi a fatica appoggiandosi allo schienale della poltrona, s’avviò lenta, pallidissima e silenziosa alla sua camera.

Suo marito la guardò uscire, poi s’abbandonò inerte su quella stessa poltrona, con gli occhi chiusi e la fronte tra le mani. E a poco a poco sbolliva la sua ira e vi succedeva una calma torbida e pesante in cui cominciava a risorgere la coscienza della sua assurdità e della sua ingiustizia.

Attese un quarto d’ora senza osare di andare in cerca di Fausta. Ma quando già sgomento e pentito s’alzava per correre a rintracciarla, per chiederle umilmente perdono delle ingiurie e delle accuse, ella gli apparve d’un tratto dinanzi, vestita del suo ampio mantello da viaggio, col piccolo cappello circondato da un fitto velo e la sua valigietta di cuoio di Russia.

— Vado da mia zia, — ella lo avvertì brevemente. — Parto ora col diretto della sera.

E si volse per uscire. Ma suo marito le balzò incontro, l’afferrò duramente ad un braccio, le parlò fosco sul viso: [p. 157 modifica]

— In nome di Dio, chi t’ha dato il permesso d’andartene così?

— Tu stesso col tuo inqualificabile contegno, — gli rispose Fausta freddamente, con gli occhi balenanti sotto l’ombra del velo nero. — Ho subito per otto mesi la tua brutale franchezza e la prima volta ch’io mi permetto di dirti una piccola, innocente verità tu me ne fai una colpa gravissima e mi copri di vituperi come l’ultima delle disgraziate. Ora basta, mio caro. Ne ho a sufficienza della tua sincerità. Vado a rifarmi da mia zia Camilla, che è almeno una persona educata. Addio.

Egli la vide così diversa dalla dolce e remissiva Fausta d’un tempo, la vide così risoluta nella sua improvvisa ed aspra decisione, e la sentì non ostante tutto così giusta, alta e nobile nel suo orgoglio di donna onesta ferita a morte, che non potè muovere altro gesto, nè tentare altra parola per trattenerla.

L’udì scendere le scale col suo passo leggero, udì echeggiare nell’andito della vasta casa il rimbombo sonoro della porta che si rinchiudeva alle sue spalle.