Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1847 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti La neve di Natale Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

La paura Ricordo (canto di Rodolfo)
Questo testo fa parte della raccolta VIII. Da 'Storia e fantasia'
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VI

LA NEVE DI NATALE



     Ed ecco, un’altra neve
fiocca su noi, mia musa.
La giovinezza lieve
cosí da noi sen va.
               5Ed è non dubbia accusa
della nefanda fuga
colla crescente ruga
la scema ilaritá.


     Che lascerem nel mondo?
10pochi illeggiadri carmi.
Che raccogliemmo? un pondo
di tedio e di dolor.
               L’orbe sonante d’armi
cader minaccia estinto,
15e piangerá del vinto
non meno il vincitor.

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     Dunque raccogli ancora
l’ultime rose; e il crine
verginalmente infiora,
20come nei prischi dí.
               E, al suon delle ruine,
sotto la scure o il brando,
musa, moriam, cantando.
Dolce è morir cosi.


     25Cantiam non la caduca,
ma la immortal natura,
sin che perpetuo luca
in questa notte il sol;
               in questa notte oscura,
30dalle cui ferree tombe
di corvi o di colombe
levar dovremo il vol.


     Ahi! per le ree ritorte
stridono i nervi oppressi.
35Dammi, o virginea Morte,
la dolce libertá.
               E tu, mia musa, intessi
la funeral tua vesta.
Dimmi: a che far si resta
40nella nembosa etá?


     Quando avrem sensi e lena
per contemplar quel Nume,
di cui le stelle appena
son pallid’ombra e vel,
               45musa, alle nostre piume
qual sará spazio ignoto?
qual sará tempo al moto
de’ nostri canti in ciel?

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     Lá nelle ardenti stelle
50ritroverem perfette
le immagini piú belle,
che qua ci balenâr.
               Le fragili barchette,
che qua tremâro ai venti,
55lá voleran vincenti
per lo infinito mar.


     Grazie, o Signor. Poeta,
qual mi volesti, io nacqui.
Errò la debil creta,
60ma non mancai di fé.
               Ah! se nei nodi io giacqui
del molle error che nuoce,
pensa, o Signor, che in croce
salisti anche per me.


     65Al tuo fulmineo soglio,
sebben mi senta indegno,
sola una stilla io voglio
del sangue tuo recar;
               e con quel sacro pegno,
70prosteso a’ piedi tuoi,
discacciami, se puoi,
dal mio celeste altar.


     Addio, cisterne e guadi
del nebuloso Egitto!
75Bello è dormir d’Engadi
nella vallea gentil.
               Datemi stanza: ho dritto
di riposarmi anch’io
sopra il terren di Dio,
80nel sigillato ovil.

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     I limpidi lavacri
zampillano tra i gigli:
rombano i cedri sacri
all’aura del mattin.
               85Lá, nei terrestri esigli,
cantai fugaci inganni;
qui, dopo i mesi e gli anni,
trovo il mio verbo alfin.


     O figlie immaculate
90di Solima, vi sento;
voi tra le man recate
l'arpa del santo re.
               Date quell’arpa. Il vento
di Dio nel crin mi scorre;
95sul mistico Taborre
sento ch’Ei parla in me.