La miseria di Napoli/Parte I - Gl'ipogei/Capitolo I. Londra e Napoli

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CAPITOLO PRIMO.

Londra e Napoli.


Così al cominciamento del secolo cantava il poeta dell’ideale, il poeta che piú che altro mai intendeva la vera libertà, del cuore come dell’intelletto, dei braccio come dello spirito. E più tardi, anzi pochi anni fa, la più soave musa dell’Inghilterra alzava la sua voce contro il paese nativo per la crudeltà sua o piuttosto pel suo obblìo dei bambini sulle strade di Londra.

Lo Shelley e la Browning vissero lungamente in Italia e amavano

Questo paradiso degli esuli

in modo da far ingelosire i proprii compatriotti; non sospettando mai che nella patria del loro cuore vi fossero miserie e squallore e dolori insuperati anche nei tempi peggiori dell’Inghilterra.

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E gl’Inglesi tutti, così fieri ed orgogliosi di ogni cosa britannica, gl’Inglesi, che non si commuovono alle lodi straniere e ne sprezzano il biasimo, arrossirono e non seppero replicar sillaba, quando alle loro proteste contro la schiavitù politica, in cui furono tenuti gl’Italiani d’allora, qualcheduno degli oppressori rispondeva: «E che libertà hanno le vostre plebi? la libertà di morir di fame!»

Se non che nessuno straniero immagina per un momento quali abissi di miserie e di degradazione esistano in Italia, in questo «giardino d’Europa,» ove, secondo il detto comune, si gratta la terra e si semina, e pensano l’aria ed il sole a provvedere cibo per tutti, ove, come disse il Byron, «i campi d’ora perenne, solcati soltanto dai raggi del sole, basterebbero» per il granaio del mondo:

Thou, Italy! whese ever golden fields
Plough’d by the sun beams solely, would suffice
Far the world’s granary.

Dobbiamo credere che gl’Italiani stessi ignorino in gran parte le condizioni di una larga porzione della propria famiglia.

Per quasi un secolo, la passione politica assorbì le anime e le menti più elette: creare una patria, cacciare lo straniero. E riescì loro fatto, a cagione dell’indole generosa e coraggiosa del popolo, che senza discutere o patteggiare, correva sulle barricate e versava il proprio sangue in ogni campo di battaglia; lieto, se sopravvissuto, di vedere decorato il suo capitano, di sentire lodata la compagnia, alla quale [p. 5 modifica]apparteneva, non sperando nè sognando compenso personale.

Or la patria è creata, le mèssi sono raccolte e divise. Al popolo toccarono nuove tasse, prezzi accresciuti delle cose di prima necessità della vita, qualche scuola per chi ha scarpe e abbastanza decenti per frequentarla. Nient’altro. Dacchè nulla esso per sè sperava, il disinganno non venne per sopraggiunta alle sofferenze. Ignaro de’ suoi diritti, avvezzo all’ingiustizia, accetta con rassegnazione il duro destino, o dovendo subire qualche nuova vessazione, come quando, per esempio, il mugnaio scema troppo il sacco di granturco, guadagnato con tanta fatica, o gli si vende il deschetto se ciabattino, ovvero si mettono all’asta i cenci di casa, dice soltanto con patetica ironia: «Si stava meglio quando si stava peggio!»

Ha questa più che cristiana pazienza non può durare a lungo. Le idee del diritto dei cittadini s’inoltrano nelle moltitudini a poco a poco; le scuole stesse le insegnano; e se chi «sta in alto,» o in suso come dicono i Veneziani, non pensa e non provvede, provvederanno più tardi quelli che non regolano l’azione col pensiero.

Molti si meravigliano, perchè in Inghilterra l’aristocrazia mantenga ancora tanta autorità e tanta influenza, là ove da trent’anni le idee del diritto e dell’uguaglianza hanno fatto più progresso che in altri paesi, in cui esse ebbero culla. La spiegazione è facilissima. L’aristocrazia inglese vive osservatrice vigile, scrutatrice profonda dei segni del tempo, e dell’umore giornaliero della nazione. Quando sa di dover cedere [p. 6 modifica]sopra un dato punto, essa cede prima di riceverne l’intimazione, e cede con tanta grazia e buon garbo, che spesso figura d’essere lei l’iniziatrice della desiderata riforma o della concessione.

E ciò che è vero in sommo grado per la classe più elevata, è ancora vero per la borghesia alla e bassa. L’Inglese non si lascia venire l’acqua alla gola: al primo segno di marea, allestisce la barca di salvamento. Ed i pensatori, nei libri e nei giornali, speculano teorie, e narrano fatti, ed avvertono dei pericoli. I rappresentanti del popolo, che prendono sempre dalla stampa il do della solfa, anch’essi narrano, discutono e propongono, nè verrebbe mai in alcuno la fantasia di dire: «Zitto, parlate sotto voce, non propalate che esiste tutto questo male.»

Ed in Inghilterra vediamo scioperi e lotta. Le classi al pianterreno all’edificio sociale vanno prendendo possesso dei piani superiori con una crescente sicurtà, ed i ci-devant pigionanti si vanno restringendo in appartamenti più piccoli. Ma difficilmente avverrà una battaglia per le scale; perchè tutto è già tacitamente combinato e convenuto a priori.

Qui, invece, appena si scrive o si parla delle enormità che uno vede o sente, gridasi d’intorno «acqua in bocca;» non isvegliate il leone che dorme. Ma il bendare gli occhi per non vedere il fucile appuntato non impedisce al condannato di ricevere in pieno petto le palle, nè il silenzio oggi sull’inaudita miseria esistente in Italia impedirebbe che il misero, quando un barlume di diritto gli penetri nel cervello, od uno spasimo troppo acuto gli trafigga il [p. 7 modifica]corpo, non salti addosso all’incauto gaudente, gridando: «Dammi la mia parte della comune eredità, che troppo tempo l’hai sfruttata per tuo proprio conto!»

Ripeto che credo fermamente sia ignorato, da chi potrebbe porvi rimedio, il vero stato del povero in Italia. Difatti ci si vive lungo tempo senza venirne sulle tracce.

Mi ricordo che la prima volta, in cui la mia mente rimase impressionata, che guai, diversi da quelli derivanti dallo straniero, opprimevano questo popolo, fu nella campagna del 1867, quando fermandoci fra Monte Rotondo e Roma per piantare un’ambulanza, ci trovammo a Marcigliana in uno dei poderi della campagna romana. Qui vivevano e morivano i lavoranti del suolo in stanzucce sudicie, malsane, ammucchiati peggio delle bestie nelle stalle, nutriti con cibo pessimo ed insufficiente, ed obbligati, nella totale mancanza del vino (benchè per questo vadano famosi i contorni), a bere acqua cattiva ed in certe stagioni putrida.

Eppure, come disse nel 1872 l’onorevole Bertani esponendo la necessità di un’inchiesta agraria, questa gente sta bene in confronto dei 13,000 individui ricoverati nelle grotte dell’Agro Romano.

A rinforzare le impressioni del 1867, seguirono le visite che feci lungo il Po, nella ricca e fertile Lombardia, durante le inondazioni del 1872. Quale miseria permanente, assoluta, sopportata con una pazienza che sapeva della disperata pace, pazienza di gente che nulla sperava da alcuno sulla terra! E fui testimone oculare del fatto, che i carabinieri e gl’in[p. 8 modifica]gegneri stessi dovettero portare via per forza famiglie dalle case pericolanti, le donne dicendo: Meglio morire annegati tutti insieme, che morire a uno a uno di fame, di stenti, o di tifo.»

Eppure a vedere gli uomini lavorare e faticare, ed arrischiare perfino la propria vita per trarre a salvamento la roba dei padroni, era cosa da destar meraviglia. Ed il contadino lombardo sa il suo conto meglio del contadino meridionale, e più d’uno lì, parlando di certi proprietarii, i quali non vollero pagare per il rinforzo delle sponde e così impedire una possibile rotta, disse: «Peggio per loro, questa volta; sono di loro le viti e le raccolte; le braccia rimangono a noi.» Un po’ piú di questa logica ed i ricchi proprietarii ed affittuarii lombardi, veneti e mantovani, sarebbero costretti a migliorare per interesse, se non per giustizia, lo stato dei loro dipendenti.

Ancora più triste mi riescì una visita al Manicomio femminile di San Clemente di Venezia, ove il chiaro filantropo e medico primario di quel luogo di dolore mi disse e mi provò con i registri, che mentre fra le pazze, dodici sole furono colpite per vizii, sopra più di cinquecento, due terzi erano alienate per pellagra, cioè per essere esclusivamente, e spesso insufficientemente, nutrite di polenta e d’acqua non sempre sana e pura. E chi oggimai ignora che le donne venete lavorano per lo meno altrettanto, e spesso più degli uomini? C’è difatti una duna o isoletta — Sottomarina — che ho visitata, ove gli uomini fumano, mangiano, bevono, dormono e vestono panni, e le donne, oltre a tutte le faccende di [p. 9 modifica]casa, remigano e lavorano la terra, per poi finire all’ospedale dei pazzi, o sotto il Ponte dei Sospiri.

Mi convinsi da ultimo che in nessun paese della terra il povero è più laborioso e più miserabile dell’Italiano. Sopraggiunsero poi le Lettere Meridionali, rivelatrici dello stato di Napoli.

Quelle lettere mi fecero senso grandissimo, per che non dettate da poeta che sogna l’ideale, nè da romanziere che scruta il secreto delle commozioni drammatiche, nè da critico politico, solitamente partigiano, perocchè ogni parola di quelle lettere era una terribile, e probabilmente involontaria, accusa al partito, di cui lo scrittore fu uno dei più incliti membri. Andai a Napoli, e per mezzo di lettere del Ministero dell’Interno alle Autorità ho potuto visitare all’improvviso e vedere in tutto e per tutto luoghi e stabilimenti, ove difficilmente occhio profano era dapprima penetrato.

E trovai a Napoli moltissimi individui che, nel solo riconoscermi infermiera del Sessanta, mi prodigarono lumi e aiuto.

E le mie lettere private d’introduzione erano di color piuttosto bianco e nero che rosso e rosa. E in questo modo nessun pregiudizio di parte mi occupava il pensiero, e per meglio tenermi imparziale ho voluto vedere ogni cosa da me stessa prima di leggere i molti e bei libri scritti intorno a Napoli da patriotti e uomini dotti; riserbandomi di leggerli uniti colle note che stesi ogni sera dopo le varie gite.

Eppure, arrivato il momento di lasciar Napoli, io sentiva di aver visto troppo poco, e la paura mi [p. 10 modifica]assalse che, se cominciassi a scrivere anche quel poco, mi si risponderebbe: medico, cura te stesso. Ossia, andate nel vostro paese e ne vedrete di peggio.

Ma quando al Villari è venuto fatto d’indurmi ad intraprendere questa gita, io gli aveva già manifestato questo dubbio; ed egli mi promise che avrebbe rivisitata Londra.

Sapendolo di ritorno, io lo pregai di comunicarmi le sue impressioni nette e schiette. Ed egli mi scrisse la seguente lettera:

«Firenze, 30 maggio 1876.

» Gentilissima Signora,

» Ella mi scrive che è ora tornata da Napoli, dove fu per esaminare lo stato della popolazione più povera, e vedere coi proprii occhi i tugurii e le miserie che io ho descritte nelle mie Lettere Meridionali. Nessuna notizia può essermi più grata di questa. Solo vedendo e discutendo, si può sperare di giungere una volta a qualche risultato. Ho ragione di credere che altri ancora s’apparecchiano a fare simili escursioni. Lo stato vero delle cose sarà noto fra poco a tutti, e non sarà più messo in dubbio da nessuno.

» Ella però fa ancora una domanda, scrivendo. mi: — So che nello scorso autunno, dopo avere già pubblicato le Lettere Meridionali, andò a visitare i tugurii, dove si trova la popolazione più povera di Londra. Io sono da molti anni lontana dall’Inghilterra, e quindi vorrei sapere da Lei se ha trovato a Londra miserie simili o peggiori di quelle vedute a Napoli. —

» Perchè io possa convenientemente rispondere [p. 11 modifica]alla domanda, ho bisogno di fare un poco di storia. Deve dunque scusarmi se non sarò breve.

» Quando io pubblicai le Lettere Meridionali, si sollevò una viva polemica, e ricevei giornali che mi lodavano e giornali che mi biasimavano in gran numero. Si disse, fra le altre cose, che io non conoscevo Napoli, perché da molti anni ne ero lontano, e che descrivevo cose non vedute o vedute solo da molto tempo, ignorando che tutto era mutato. Si disse che non conoscevo la grande miseria di Londra, peggiore assai di quella di Napoli, ec., ec. Io che a Londra ero stato, e negli ultimi anni avevo molte e molte volte, riveduto Napoli, presi nonostante nota di tutte le critiche, per potere a tempo opportuno, con nuovi fatti, tornare sull’argomento. Forse questo tempo verrà. Per ora mi limito solo a rispondere alla sua domanda; ma non posso resistere al bisogno di raccontare una cosa, che può sembrare estranea ad essa.

» S’era, fra le altre cose, detto che avevo molto esagerato la misera condizione, in cui si trovano i fondaci. Tutto era mutato in meglio. Non si riconoscevano più! Io avevo fatto una descrizione da romanzo!

» Per caso, solo qualche mese dopo pubblicate le Lettere Meridionali, dovetti tornare a Napoli. Mi recai a visitare i fondaci, e nel primo giorno ne vidi tre a Porto. Andavo con due amici, i cui nomi potrei indicarle se volesse essere accompagnata colà.

» Ella sa come questi fondaci siano generalmente formati d’una corte, da cui per una scala si sale a [p. 12 modifica]diversi terrazzini o balconi, che girano intorno alle quattro mura, e danno adito a molte camere, che sono per lo più senza finestre, e ricevono luce dall’unica porta che si apre sul terrazzino.

» Nella prima di queste corti io vidi in un angolo una specie di stalla, in cui si lessavano teste, piedi, budella d’animali; poi si spellavano le teste e i piedi, e l’acqua e il sangue si versavano nella corte, dove restavano in gran parte fermi, per la poca inclinazione del suolo. In un altro angolo era un deposito di petrolio, che mandava un orrendo puzzo. In un altro era una buca, e questa in comunicazione con un forno, il cui fumo passava la notte per essa, entrando nella corte. Così quando le porte di quelle camere senza finestre si chiudevano, ci restavano dentro il puzzo delle budella, del petrolio ed il fumo. Più di tutto alle donne dava noia il petrolio e se ne lamentavano amaramente. In una delle camere del primo piano vidi una giovane di circa venti anni, che delirava nel letto, colpita dal tifo. Altre donne erano intorno a guardarla, e più di tutto deploravano che fosse stato necessario tagliarle i bellissimi capelli! Se avesse visto, dicevano, che capelli aveva! Il fondaco che si trova in questo stato, mi fu assicurato esser proprietà d’una ricchissima Opera pia, cioè dello Spedale degl’Incurabili.

» Entrai in un secondo fondaco, e là trovai che da circa due settimane la cloaca aveva dato di fuori, ingombrando tutta la corte, in modo che si passava, in punta di piedi, rasente le mura. Salito al primo piano, vidi le donne appoggiate alle mura del [p. 13 modifica]terrazzino, ridere guardando dei grossissimi topi che traversavano e quasi nuotavano in ciò che la cloaca aveva versato nella corte. E mi dicevano: — Signorino, guardate i passeggieri! — Tirarono su dal pozzo una secchia, per farmi vedere che non era piena d’acqua, ma pareva invece tirata su dalla cloaca stessa, che in fatti s’era messa in comunicazione col pozzo!

» Ho una memoria assai confusa di ciò che vidi nel terzo fondaco. Era di state, il puzzo incredibile, la stanchezza di ciò che avevo veduto, ed il sentirmi ripetere dai compagni: — In questa strada vedrà dal principio al fine la medesima scena, — fecero sì che andai via per quel giorno a cercar l’aria libera.

» Ma io non debbo continuare questo racconto, tanto più che Ella deve aver visto cose peggiori; se, come sento dalla sua lettera, è andata per tutto.

» Rispondo dunque alla sua domanda. Due mesi dopo la mia visita a Napoli, cioè nello scorso ottobre, andai a Londra. Mi presentai con una lettera ad uno dei capi della Polizia, e fu fissato che il giorno dopo alle 7 pomeridiane avrei avuto con me dei policemen, per visitare la sera i quartieri più miserabili di Londra. Di giorno mi dissero che non sarebbe stato possibile trovare e vedere i poveri nelle loro abitazioni, perchè erano in giro per la città.

» All’ora fissata venne infatti al mio uscio un detective, cioè un policeman senza l’uniforme, e preso un cab andammo nell’east-end, gita che durò circa un’ora e mezza. Colà, vicino ai docks, cominciarono le nostre prime perlustrazioni. Entrai in un ufficio di Polizia, esaminai i registri, vidi operare alcuni [p. 14 modifica]arresti, e poi in compagnia di due altri detectives che si unirono al primo, cominciammo le nostre visite.

» Io ripetevo sempre: – Fatemi vedere ciò che vi è di più orribile in Londra, desidero vedere le abitazioni della gente più misera e disgraziata. —

» Fare qui, in una lettera, la descrizione di tutto ciò che vidi a Londra nel mese di ottobre, è impossibile, dovrei distendermi troppo.

» Ma siccome Ella non mi chiede altro che una mia opinione, ecco in breve ciò che io posso dirle.

» 1° Quando entrai nel cab, il detective cominciò il suo discorso così: — Signore, sono trent’anni che io servo nella Polizia di Londra. Posso sul mio onore assicurarle che Ella s’inganna, se crede di poter trovare e vedere in Londra ciò che gli stranieri potevano vederci trenta o venti anni fa. Tutto è mutato. Il Parlamento ha fatto leggi sopra leggi per migliorare le condizioni dei poveri. —

» Ciò che si poteva vedere al mondo di più orribile, erano i lodging houses di Londra, dove andavano e vanno a dormire con pochi pennies i più miseri, che non hanno tetto. Questi lodging houses, una volta abbandonati a se stessi, furono a poco a poco sottoposti a tante e così rigorose formalità, che, quantunque mantenuti da privati a loro rischio e pericolo, si possono dire pubblici stabilimenti. Il riscaldamento, la circolazione dell’aria, la misura delle stanze e dei letti, la qualità delle lenzuola, tutto è determinato dalla legge, e sottoposto ad una continua ispezione. Alcuni lodging houses sono ispezionati costantemente due o tre volte la settimana. Quelli per gli uomini sono [p. 15 modifica]diversi da quelli per le donne, e ve ne sono altri per marito e moglie, ognuno secondo le norme stabilite.

» 2° Visitati i lodging houses, andai dove sono i fumatori d’oppio, dove sono ridotti e bagordi d’ogni specie. Qui, mi dissero piú volte i detectives, un policeman non potrebbe venir solo, perchè sarebbe accoppato. Entrai in alcune case di poveri, e mi fu detto: — Peggio di questo nessuno le farà mai vedere in Londra. Certo io non posso affermare di avere visto ciò che v’ha di peggio in Londra, posso bensì affermare che ho fatto quanto era in me per vederlo. Ebbene, io le assicuro sul mio onore di essere convinto, che i poveri di Napoli stanno infinitamente, senza paragone alcuno, peggio di quelli di Londra. Che se a Londra qualche volta si muore di fame ed a Napoli no, oltre che questi casi non sono sì frequenti come si pretende, ciò dipende dal clima peggiore, non dalla maggiore miseria. Se a Napoli ci fosse il clima di Londra, un numero assai grande dei nostri poveri troverebbe subito pace nella tomba, cessando di menare una vita peggiore della morte.

» Nei ridotti di Londra spesso mi sedetti coi detectives, e bevvi della birra e dei liquori, tanto per non parere di andare colà da semplici osservatori. E non vidi mai nulla che si potesse paragonare al puzzo e al sudiciume di alcuni ridotti di Napoli. Nelle case dei più poveri il detective entrava con un rispetto incredibile, e più volte trovai insieme colla miseria estrema una fierezza e indipendenza singolare. Più volte ricusarono di riceverci in casa, ed il detective diceva: — Andiamo oltre, il domicilio è inviolabile. Noi [p. 16 modifica]abbiamo tanto diritto di entrare qui, se non ci vogliono, quanto di entrare in casa sua se non ci vuol ricevere. — A Napoli quando entrai nei fondaci, trovai insieme colla miseria un avvilimento, un abbattimento straordinario. Si entrava con un’aria di comando, quasi minaccioso, e si era obbediti. Qui, con questa gente, non si può fare a meno di usare questi modi, mi dicevano sempre.

» I miei giudizii, come tutti i giudizii umani, possono essere erronei. Una cosa sola posso dirle. Grande, immensa è la miseria di Londra: ma mi sono persuaso, che chi dice che i poveri di Londra sono in condizioni peggiori di quelli di Napoli, o non conosce gli uni o non conosce gli altri.

» Non dimentichi il discorso del detective. — Il Parlamento inglese ha fatto leggi sopra leggi pei poveri. — Quando le faremo noi? Per ora stiamo sempre al lasciate fare, lasciate passare.

» E se qualcuno mi chiedesse ora: perchè tu che sei Italiano dici queste cose ad una signora che è Inglese? Io gli ricorderei che ella è nata in Inghilterra, ma ha speso la sua vita in favore della unità e indipendenza della patria nostra.

» E se poi mi si ricordasse, che ella ha sempre militato sotto la bandiera di un partito politico che non è il mio; allora io non risponderei nulla a chi mostrasse d’ignorare che per certe quistioni tutti gli onesti appartengono ad un solo partito.

» Mi creda con sincera stima ed amicizia

» Suo dev. ed obb.
» P. Villari. »