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CXV CXVII

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CXVI. — Ma in questa parte dice lo conto, che quando lo re dela Pitetta Brettagna e Isotta sua figliuola intesero queste parole, incontanente si cominciarono forte a rallegrare. E lo re sí si partio dela camera e andò nela sala del palagio e incontanente incomincioe a domandare del cavaliere. Ma egli no lo trovava in nessuna parte. E istando in cotale maniera, e lo re sí montò a cavatlo e andò cercando di T. Ma quand’egli andava per la cittade, ed egli sí ebe udito uno grande pianto [e] uno grande lamento, lo quale faciano tutte le dame e le damigelle, le quali aviano perduti li loro segnori e li loro parenti. Ed allora sí fue tanto doloroso che neuno altro piú di lui ed allora sí incominciò a piangere fortemente. Ma istando in cotale maniera, e T. sí andoe in sule munera per vedere l’oste, la quale iera intorno ala cittade. E quando fue in sule munera, ed egli sí incominciò a riguardare per lo campo e vide tutte le schiere ordinate per tutte parti e de’ cavalieri e de’ pedoni, ed appresso sí vide la schiera reale del conte d’Agippi, la quale sí era davanti ala porta. E tutte le battaglie sí erano ordinate quasi per combattere la cittade. E per tutte le mura sí erano molte dame e damigelle e molti pedoni e cavalieri, i quali sí erano venuti per difendere la cittade, e le dame sí v’ierano andate per vedere l’oste delo conte d’Agippi. Ma quando T. vide tutte queste cose e [p. 156 modifica] vide lo grande pianto lo quale faciano tutte le dame e le damigelle, incominciossi fortemente a dolere di questa aventura. E istando per uno poco, e T. incominciò forte a pensare e dicea infra se istesso: «Certo io sono lo peggiore e lo piú falso cavaliere che ma’ fosse al mondo, quand’io sono rinchiuso in una cittade e per paura non mi posso partire. Ma pare ched io abia apparato dali cavalieri di Cornovaglia quando io sostegno ch’io non vo a combattere coli cavalieri. Ma certo bene fue maggiore prodezza assai quando io andai a combattere con Galeotto, lo segnore dele Lontane Isole, lo quale iera lo piú alto principe del mondo e prode e ardito cavaliere, lo quale per sua prodezza sí avea conquistati molti reami. Onde maggiore prodezza fue quella quando io combattei con lui che non sarebbe di combattere con tutti quegli cavalieri. E imperciò io sí voglio andare a prendere l’arme e andrò alo campo a combattere per amore di Isotta dele bianci mani, la quale m’ha fatto tornare a guarigione».