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CCV. — Ora dice lo conto, che quando li iiij cavalieri intesero queste parole, fuorono tanti allegri che neuno altro piú di loro; e a tanto sí andarono nela sala e quivi sí trovarono lo re Artú e messer Estore. E quando lo re Artú vide li suoi compagnoni, fue molto allegro e fece loro molto grande [p. 262 modifica] gioia. E istando in cotale maniera, ed eglino sí domandarono lo re, per quale cavaliere egli fue diliverato e in che maniera. E lo re sí divisoe loro tutto, sí com’egli fue diliverato per uno cavaliere, lo quale iera lo piú pro cavaliere che unqua fosse al mondo; ed appresso sí gli divisoe tutta l’a ventura, sí come noi detto avemo: «E imperciò voglio che voi sappiate ch’io abo troppo grande volontade di sappere suo nome, per amore dela sua cavalleria». Ma quando li cavalieri intesero queste parole, fuorono molto allegri a dismisura e dissero: «Per mia fé, re, quello cavaliere si è molto da lodare, che tanto hae fatto per vostr’amore. Ma tanto mi dite, se Dio vi salvi, se a voi piace, che arme portava lo cavaliere?» E lo re si disse sí com’egli portava un’arme, la quale iera cosi fatta, ch’iera lo campo [azurro e lo bone d’oro] e sono li corni vermigli: «onde io abo molto grande volontade di sapere suo nome». E quando Gariet intese queste parole, fue molto allegro. E istando per uno poco, disse: «Per mia fé, monsignore, voi siete diliverato per lo migliore cavaliere e per lo piú cortese, che io vedesse giá mai per neuno tempo. Ma tutta fiata voglio che sappiate che lo cavaliere, il quale noi tutti e tre abattecci in una mattina con una lancia, si fue quegli esso; né io unqua non vidi uno cavaliere piú ardito di lui». Molto parlavano ambodue li cavalieri di questa aventura.