Appendice

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Parte II Nota storica
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APPENDICE.

Dalla prima stampa veneziana del 1735,
per Alvise Valvasense.

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PARTE PRIMA

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Cechina.1 Aspettate, fratel, ch’io l’aprirò.
(Vuò fargli tal paura
Sicchè alla casa mia più non s’accosti).
Orazio. Presto, se non la vuoi veder più bella.
Quanti fanno così con sua sorella!
Vorrei facesse presto,
Che se qualcun mi vede in questa guisa,
Creperà certamente dalle risa,

Io sembro un di quelli
     Che a mezzo l’estate
     Si vedono snelli
     Giocare al pallon.
Ma tremo dal freddo;
     Via presto, Cechina,
     Che stanco già son.
     Io sembro ecc.

Ma una gondola giunge.

Sarà forse mia Moglie. Oh questa è bella,
Che fuor di casa dovrà stare anch’ella.
Lindora.   No la se incomoda,
  Caro lustrissimo ecc.

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Orazio.2 Mia Sorella Cechina, a cui palese
Ho fatto il caso mio,
M’ha promesso soccorso.
Lindora. Arecordève
Che in casa de culìa no vôi vegnir,
Se da fame dovesse anca morir.
Orazio. No, no, ma voglio solo
Ch’ella mi dia robba o denari, tanto
Ch’io mi possa vestire.
(entra

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Ma non la vedo ancora comparire.

Voglio batter di nuovo: eh là di casa!
Cechina.   Chi star? Chi batter?
  Che cossa voler?
  Via presto parlar,
  Seno mi menar.
Lindora. (Come, un Schiavon?)
Orazio. (Oimè, che brutto imbroglio!)
Cechina. Star ti che batter porta?
Orazio. Sì signor, io battei.
Cechina. Chi domandar?
(Egli non mi conosce.
Voglio seguir l’inganno
Per sottrarmi così da un maggior danno).
Lindora. Meggio sarà che andemo.
Orazio. Io timore non ho (ma però tremo).
Dimandavo Cechina.
Cechina. Che voler da Cechina?
Ella star mia muggier.
Orazio. (Oimè che sento!
Mia sorella consorte ad un Schiavone!)
Cechina. Forsi aver amizizia 3?
Mi ella strangolar,
E ti, razza de puorco, sbudellar.
Lindora. Oe, oe, come parleu?
Cechina. Taser ti, donna matta,
O mi te dar su muso mia zavatta.
Orazio. Cechina è vostra moglie?
E voi chi siete?
Cechina. Mi star Stiepo Bruich, da Pastrovichio 4.
Orazio. E che mestiero è il vostro?
Cechina. Che mistier? Che mistier? Stara mercanta.
Mi star mercanta de castradina 5,

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  Aver candella ma Cattarina6,

  Formaggia salada,
  Botarga fumada,
  De tutto portar.
Orazio. Sappiate, signor mio,
Che questa vostra Moglie...
Cechina. Taser, no me parlar de Muggier mia.
Lindora. Oh la saria ben bella!
Orazio. Vostra Moglie, dicevo, è mia Sorella.
Cechina. Star to Sorella? donca dar mia dota.
Orazio. (Oh questa vi vorria!)
Lindora. Cossa parleu
De vostra dota, caro sior mustachi? 7
Cechina. No ti me far più chiasso,
Se no voler che te mandar Patrasso.
Orazio. Voglio che mia Sorella
Qualche cosa mi dia per carità;
Non siate sì crudel...
Cechina. Se cortelada
Voler, mi te la dar.
Lindora. O poveretta mi, la xe intrigada 8.
Orazio. Oimè, signor Mercante.
Lindora. Via, caro sior Schiaon.

Orazio. Non siate sì crudel.
Lindora. No siè cussì
Cechina. Se ti prometter

Cechina no parlar,
Mi vita te donar.
Orazio. Sì sì, prometto e giuro.
Lindora. Sì sì, stè pur seguro.
Orazio. Ch’io non lo guarderò.
Lindora. Che nol la varderà.

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Cechina. Dobro Jutro Gospodine.

Orazio. Io non l’intendo.
Lindora. Mi nol capisso.
Cechina. El bon zorno mi te dar.
Orazio. Che grazioso salutar!
Cechina. Se ti star bon amigo,
Se ti star bona femena,
Co mi cantar, ballar.
Orazio. Cantar?
Lindora. Ballar?

̆Orazio. Ho altro nella testa
Lindora. Che mi fa sospirar.
Orazio. Io tremo dal freddo.

Lindora. Dalla rabbia no ghe vedo.
Cechina. Se ti no ballar
Mi te sbusar.
Se ti no cantar
Mi te mazzar.
Orazio. Farò quello che volete.

̆Lindora. Ma in Schiavon no so parlar.
Orazio.
Cechina. Dir con mi, no dubitar.
(a tre Se ti star homen' accorta,
Mi star furba parte mia,
Se vegnir più alla mia porta,
Con baston mi mandar via.
Orazio. (Cosa fa la paura!)

Lindora. (Certo per il spavento).

(a tre Mi mondo goder
E gnente pensar.
Mi sempre voler
Cantar e ballar.


Fine della Prima Parte.

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PARTE SECONDA.

Lindora con cimbano e cestello con canzonette.

Lindora. Alfin son arivada

A cantar canzonette per la strada.
Doppo che mio Mario xe andà in rovina,
L’è deventà una bestia.
Quelle quattro strazzette el m’à levà,
Che me gierà restà. Che son scampada,
E me son messa a far sto bel mestier;
Mi no l’ò mai più visto.
Nè ghe vôi più pensar;
Vaga co la sa andar,
Anca cussì se vive, e se sbabazza,
Che de zente da ben piena è la piazza.

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Note

  1. Si veda a pag. 135.
  2. Vedasi a pag. 137.
  3. Nel testo: amizuzia.
  4. Ultima comunità meridionale della Dalmazia veneta.
  5. Vendevano gli Schiavoni a Venezia la famosa carne di castrato dell’Albania e della Dalmazia: v. Boerio.
  6. Celebre la candela filata di Venezia (Dizionario di commercio dei Signori fratelli Savary ecc. accresciuto ecc., Venezia, Pasquali, 1770, t. 1, pp. 267-269), ma qui alludesi alle candele di Cattaro.
  7. Allude ai lunghi baffi degli Schiavoni.
  8. La matassa è intricata, e quindi: son nell’imbroglio