L'isola misteriosa/Parte prima/Capitolo XVII

Parte prima - Capitolo XVII

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
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CAPITOLO XVII.


Visita al lago — La corrente indicatrice — I disegni di Cyrus Smith — Il grasso di dugongo — Uso delle piriti schistose — Il solfato di ferro — Come si fa la glicerina — Il sapone — Il salnitro — Acido solforico — Acido azotico — Nuova cascata.

Il domani, 7 maggio, Cyrus Smith e Gedeone Spilett, lasciando che Nab preparasse la colazione, s’arrampicarono sull’altipiano di Lunga Vista, nel mentre Harbort e Pencroff risalivano il fiume per rinnovare la provvista di legna. L’ingegnere ed il reporter arrivarono presto a quel piccolo greto posto alla punta sud del lago e su cui l’anfibio era rimasto arenato. Già gli uccelli s’erano calati a frotte sulla massa carnosa, e bisognò cacciarli a sassate, essendochě Cyrus Smith desiderava conservare il grasso di dugongo e servirsene per i bisogni della colonia. Quanto alla carne, l’animale non poteva mancare di fornire un cibo eccellente, poichè in certe regioni della Malesia è specialmente riserbata alla mensa dei principi indigeni. Ma questo era affare che riguardava Nab. [p. 48 modifica]

Cyrus Smith aveva allora altro per il capo. L’incidente della vigilia non s’era cancellato dal suo spirito e lo teneva inquieto molto. Egli avrebbe voluto penetrare il mistero di quel combattimento sottomarino e sapere qual congenere dei mastodonti o qual mostro avesse fatto al dugongo una ferita così singolare.

Egli era adunque là sulla sponda del lago, fermo a guardare attentamente, ma non appariva nulla sopra le acque tranquille che scintillavano ai raggi del sole. Su quel piccolo greto che reggeva il corpo del dugongo, le acque erano poco profonde; ma a partire da quel punto il fondo del lago s’abbassava a poco a poco, ed era probabile che al centro la profondità fosse considerevole; il lago poteva essere assomigliato ad una larga vasca colmata dalle acque del rivo Rosso.

— Ebbene, Cyrus, domandò il reporter, mi pare che queste acque non offrano nulla di sospetto.

— No, caro Spilett, rispose l’ingegnere, e non so davvero come spiegare l’incidente di jeri.

— Confesso, aggiunse Gedeone Spilett, che la ferita fatta a questo anfibio è strana, e non saprei spie gare come Top sia stato così vigorosamente spinto fuor d’acqua. In verità parrebbe che un corpo poderoso l’avesse così lanciato e che questo medesimo braccio armato di pugnale avesse poi dato la morte al dugongo.

— Sì, disse l’ingegnere, che era divenuto pensieroso, vi ha certo qualche cosa che non posso comprendere, ma comprendete voi meglio in qual modo io stesso sono stato salvato e come potei essere tolto alle onde e trasportato nelle dune? No, non è vero? Immagino che vi sia qualche mistero che scopriremo senza dubbio un giorno. Guardiamo adunque, ma non insistiamo sopra questi bizzarri avvenimenti, Teniamo per noi le osservazioni nostre. [p. 49 modifica]

Si sa che l’ingegnere non aveva ancora potuto scoprire da qual parte si spandesse il soverchio del lago; ma siccome egli non aveva visto nessun indizio di straripamento, bisognava necessariamente che esistesse in qualche parte uno sbocco. Ora appunto Cyrus Smith fu meravigliato di vedere una forte corrente in quel luogo. Gettò alcuni pezzetti di legno, e vide che si dirigevano verso l’angolo sud; seguì tale corrente camminando sull’argine ed arrivò alla punta meridionale del lago. Colà avveniva una specie di depressione delle acque come se fossero bruscamente perdute in qualche fessura del suolo. Cyrus Smith ascoltò mettendo l’orecchio al livello del lago, ed intese distintamente il rumore d’una cascata sotterranea.

— È là, diss’egli risollevandosi. È là che avviene lo scaricamento delle acque, là senza dubbio che, per un condotto scavato nella massa granitica, esse se ne vanno a raggiungere il mare attraverso qualche cavo che sapremo utilizzare a nostro profitto.

L’ingegnere recise un lungo ramo, lo spogliò delle sue foglie e tuffandolo nell’angolo delle due rive riconobbe che esisteva un largo buco aperto ad un piede soltanto sotto la superficie delle acque. Questo buco era l’orifizio dello sbocco cercato invano fin’allora, e la forza della corrente era tanta che il ramo fu tolto di mano all’ingegnere, e disparve.

— Non v’ha più dubbio oramai, ripetè Cyrus Smith, colà è l’orificio dello sbocco, ed io lo scoprirò.

— E come? domandò Gedeone Spilett.

— Abbassando di tre piedi il livello delle acque del lago.

— E come abbassarne il livello?

— Aprendo loro un’uscita più larga di questa.

— E dove?

— Nella parte della spiaggia che più s’avvicina alla costa. [p. 50 modifica]

— Ma è una spiaggia di granito! fece osservare il reporter.

— Ebbene, io farò saltare in aria il granito, e le acque, sboccando, s’abbasseranno tanto da scoprire l’orificio.

— E formeranno una cascata cadendo sul greto.

— Una cascata di cui trarremo partito! rispose Cyrus; venite, venite!

L’ingegnere trasse il compagno, la cui confidenza in Cyrus Smith era tanta che più non dubitava della riuscita dell’impresa. Pure, come aprire la spiaggia di granito? come spaccare quelle roccie senza polvere e con strumenti imperfetti! Non era forse questo un lavoro superiore alle loro forze?

Quando Cyrus Smith ed il reporter rientrarono nei Camini vi trovarono Harbert e Pencroff occupati a scaricare la legna.

— I boscajoli hanno quasi finito, signor Cyrus, disse il marinajo ridendo, e quando avrete bisogno di muratori....

— Di muratori no, ma di chimici.

— Sì, aggiunse reporter, noi faremo saltare in aria l’isola.

— Saltare in aria l’isola? esclamò Pencroff.

— Almeno in parte, soggiunse Gedeone Spilett.

— Ascoltate, amici, disse l’ingegnere.

Ed egli fece loro conoscere il risultato delle proprie osservazioni. Secondo lui, una cavità più o meno considerevole doveva esistere nel granito che sopportava l’altipiano di Lunga Vista, e pretendeva d’arrivare fino ad essa. Per far ciò bisognava innanzi tutto liberare l’apertura per cui si precipitavano le acque; per conseguenza abbassare il loro livello, aprendo un più largo sbocco. D’onde la necessità di fabbricare una sostanza esplosiva; ed è ciò che Cyrus Smith voleva tentare col mezzo dei minerali che la natura metteva a sua disposizione. È inutile dire con quale [p. 51 modifica]entusiasmo tutti, e Pencroff in ispecial modo, accolsero tale disegno. Adoperare i grandi mezzi, sventrare il granito, formare una cascata; tutte cose che andavano a genio al marinajo, il quale era disposto ad esser chimico al par di muratore, poichè l’ingegnere aveva bisogno di chimici. “Era pronto a di venire ciò che volesse, anche professore di danza e di belle maniere!” disse a Nab, se ciò diveniva necessario.

Nab e Pencroff furono dapprima incaricati di estrarre il grasso del dugongo e di serbarne la carne, che doveva essere destinata all’alimentazione. Essi partirono subito senza nemmanco domandare maggiori spiegazioni. La confidenza che avevano nell’ingegnere era assoluta. Alcuni istanti dopo Cyrus Smith, Harbert e Gedeone Spilett, tirandosi dietro il graticcio e risalendo il fiume, si diressero verso lo strato di carbon fossile in cui abbondavano quelle piriti schistose che s’incontrano infatti ne’ più recenti terreni di transizione e di cui Cyrus Smith aveva già portato un campione. Tutta la giornata fu spesa a portare una certa quantità di quelle piriti ai Camini. Alla sera ve n’erano molte tonnellate.

Il domani, 8 maggio, l’ingegnere incominciò le sue manipolazioni. Quelle piriti schistose erano principalmente composte di carbone, di silice, di allumina e di solfuro di ferro. Siccome quest’ultimo sovrabbondava, si trattava d’isolarlo e di trasformarlo in solfato il più presto possibile. Ottenuto il solfato, se ne estrarrebbe l’acido solforico. Era infatti lo scopo da raggiungere. L’acido solforico è uno degli agenti più adoperati e l’importanza industriale d’una nazione può misurarsi dal consumo che ne fa. Quest’acido doveva più tardi essere estremamente utile ai coloni per la fabbricazione delle candele, per la concia delle pelli, ecc.; ma per ora l’ingegnere lo destinava ad altro ufficio. [p. 52 modifica]

Cyrus Smith scelse dietro i Camini un luogo in cui il terreno fosse eguagliato con gran cura; quivi collocò un mucchio di rami e di legna triturata, su cui furono posti pezzi di schisto piritosi appoggiati gli uni contro gli altri, poscia il tutto fu ricoperto d’un sottile strato di piriti, prima ridotti alla grossezza d’una noce; ciò fatto, fu dato fuoco alla legna, il cui calore si comunicò agli schisti, che s’accesero, essendochè contenevano carbone e zolfo; allora nuovi strati di piriti pestate furono disposti in modo da formare un mucchio enorme, che fu esternamente tappezzato di terra e d’erbe, dopo che vi furon fatti alcuni sfiatatoi come se si fosse trattato di carbonizzare una catasta di legna.

Si lasciò che la trasformazione si compisse da sè, e non bisognarono meno di dieci а dodici giorni, perchè il solfuro di ferro fosse mutato in solfato di ferro e l’allumina in solfato di allumina, due sostanze egualmente solubili, mentre le altre, silice, carbone bruciato e ceneri, non lo sono.

Intanto che si compiva questo chimico lavoro, Cyrus Smith fece fare altre operazioni. Ci si metteva più che dello zelo, accanimento.

Nab e Pencroff avevano raccolto il grasso del dugongo in grandi giarre di terra. Si trattava ora di isolare uno degli elementi del grasso, la glicerina, saponificandola, e ad ottenere simile risultato bastava trattarlo colla soda o colla calce. Infatti l’una o l’altra di queste sostanze, dopo d’aver attaccato il grasso, formerebbe sapone, isolando la glicerina, ed era appunto questa glicerina che Cyrus Smith voleva ottenere. Si sa che non gli mancava la calce. Solamente il trattamento colla calce doveva dare saponi calcarei insolubili, e perciò inutili, mentre il trattamento colla soda fornirebbe invece un sapone solubile che servirebbe al bucato domestico. Ora, da uomo pratico, Cyrus Smith doveva cercare di ottenere della soda. [p. 53 modifica]

Era difficile? No, perchè abbondavano sulla spiaggia le piante marine, solicornie, ficoidi e tutte quelle fucacee che formano le alghe. Venne dunque raccolta gran quantità di tali piante, che furon prima fatte seccare, poi bruciate entro fosse all’aria aperta. La combustione di codeste piante fu mantenuta diversi giorni in guisa che il calore s’elevasse tanto da fondere le ceneri, ed il risultato dell’incenerimento fosse una massa compatta, grigiastra, da gran tempo conosciuta col nome di “soda naturale.”

Ottenuto codesto risultato, l’ingegnere trattò il grasso colla soda: il che diede da una parte un sapone solubile e dall’altra quella sostanza neutra, detta glicerina. Ma non era tutto, abbisognava ancora a Cyrus Smith, in vista della sua preparazione futura, un’altra sostanza, l’azotato di potassa, che è più conosciuto sotto il nome di salnitro.

Cyrus Smith avrebbe potuto fabbricare questa sostanza trattando il carbonato di potassa, che si estrae facilmente dalle ceneri dei vegetali, coll’acido azotico; ma gli mancava l’acido azotico, ed in fin dei conti era precisamente quest’acido che egli voleva ottenere. Gli era dunque un circolo vizioso da cui non sarebbe mai uscito, se questa volta la natura stessa non gli avesse fortunatamente dato il salnitro senza che egli avesse da far altra fatica che raccoglierlo. Harbert ne scoprì uno strato al nord dell’isola, ai piedi del monte Franklin, e si dovette solo purificare questo sale. Tali differenti lavori durarono otto giorni circa; erano dunque terminati prima che la trasformazione del solfuro in solfato di ferro si fosse compiuta. Nei giorni che seguirono, i coloni ebbero il tempo di fabbricare dei vasellami con argilla plastica e di costrurre un forno di mattoni d’una speciale disposizione, che doveva servire alla distillazione del solfato di ferro. Tutto ciò fu compiuto verso il 18 maggio all’incirca, nel momento in cui avveniva la trasformazione chimica. [p. 54 modifica]

Gedeone Spilett, Harbert, Nab e Pencroff, abilmente guidati dall’ingegnere, erano divenuti ottimi operaj. Del resto, la necessità è di tutti i maestri quello che insegna meglio e che è più ascoltato.

Quando il mucchio di piriti fu interamente ridotto dal fuoco, il risultato dell’operazione consistente in solfato di ferro, solfato di allumina, silice, residui di carbone, e cenere, fu deposto in un bacino pieno d’acqua; fu agitato il miscuglio, lasciato riposare, poi decomposto, e se ne ottenne un liquido chiaro contenente in dissoluzione solfato di ferro e solfato di allumina, essendo le altre materie rimaste solide perchè insolubili.

Finalmente, essendosi questo liquido evaporato in parte, si formarono dei cristalli di solfato di ferro, ed il liquido non evaporato che conteneva solfato di allumina fu abbandonato. Cyrus Smith aveva dunque a sua disposizione una gran quantità di quei cristalli di solfato di ferro da cui si trattava di estrarre l’acido solforico.

Nella pratica industriale è una costosa preparazione quella che richiede la fabbricazione dell’acido solforico. Occorrono di fatto grandi officine, utensili, speciali apparecchi di platino, camere di piombo inattaccabili all’acido e nelle quali si opera la trasformazione, ecc. L’ingegnere non aveva codesti utensili a sua disposizione, ma sapeva che in Boemia specialmente si fabbrica l’acido solforico con mezzi più semplici, i quali hanno anzi il vantaggio di produrlo ad un grado superiore di concentrazione. È così che si fa l’acido conosciuto col nome di acido Nordhausen.

Per ottenere l’acido solforico Cyrus Smith non aveva più che una sola operazione da fare: calcinare in vaso chiuso i cristalli di solfato di ferro, in guisa che l’acido solforico si distillasse in vapori i quali producessero poi l’acido per condensazione.

È a questa manipolazione che servirono i vasi re[p. 55 modifica]frattari, nei quali furono posti i cristalli, ed il forno il cui calore doveva distillare l’acido solforico. L’operazione fu fatta benissimo, ed il 20 maggio, dodici giorni dopo, l’ingegnere era possessore dell’agente di cui doveva trar partito più tardi in tante guise differenti. Ora, perchè voleva egli dunque avere codesto agente? Semplicemente per produrre l’acido azotico, e ciò fu facile, perchè il salnitro attaccato dall’acido solforico gli diede precisamente quest’acido per distillazione.

Ma, in fin dei conti, in che voleva egli adoperare l’acido azotico? È ciò che i suoi compagni ignoravano ancora, non avendo egli svelato l’intento del suo lavoro.

Frattanto l’ingegnere era presso alla meta, ed un’ultima operazione gli procurò la sostanza che aveva richieste tante manipolazioni.

Dopo aver preso dell’acido azotico, egli lo mise in presenza della glicerina, che era stata prima concentrata per evaporazione al bagno-maria, ed ottenne, anche senza adoperare miscuglio refrigerante, molti litri d’un liquido oleoso e giallastro.

Quest’ultima operazione Cyrus Smith l’aveva fatta solo in disparte, lontano dai Camini, poichè presentava pericoli d’esplosione, e quando portò una boccetta di quel liquido a’ suoi amici, egli s’accontentò di dire:

— Ecco della nitro-glicerina!

Era infatti codesto terribile prodotto, la cui potenza esplosiva è forse decupla di quella della polvere ordinaria e che ha già cagionato tanti accidenti. Peraltro, dacchè si è trovato il modo di trasformarlo in dinamite, vale a dire di mescolarlo con sostanza solida, argilla o zuccaro, porosa tanto da contenerlo, del pericoloso liquido si potè far uso con maggior sicurezza; ma la dinamite non era ancora conosciuta al tempo in cui i coloni operavano nell’isola Lincoln. [p. 56 modifica]

— È questo liquore che farà saltare in aria le roccie? domandò Pencroff in aria incredula.

— Sì, amico mio, rispose l’ingegnere, e questa nitro-glicerina produce maggior effetto, in quanto che il granito è durissimo ed opporrà una resistenza maggiore allo scoppio.

— E quando vedremo questo, signor Cyrus?

— Domani appena avremo scavato un buco di mina.

Il domani, 21 maggio, all’alba, i minatori si recarono ad un punto che formava la riva est del lago Grant ed a cinquecento passi soltanto dalla costa. In quel luogo l’altipiano era ancora all’insù delle acque che erano solo trattenute dalla cornice di granito. Era dunque evidente che, se si spezzasse quella cornice, le acque, sboccando, formerebbero un ruscello, il quale, dopo di essere scorso sulla superficie inclinata dell’altipiano, andrebbe a precipitarsi sul greto, producendo un abbassamento generale del livello dell’acqua e mettendo allo scoperto l’orificio dello sbocco, che era l’intento finale.

Si trattava adunque di spezzare la cornice. Sotto la direzione dell’ingegnere, Pencroff, armato di un piccone, che maneggiava robustamente, cominciò a picchiare sul granito. Il buco che si trattava di aprire traeva origine sopra una cresta orizzontale della spiaggia e doveva addentrarsi obliquamente in modo da giungere ad un livello sensibilmente inferiore a quello delle acque del lago.

Il lavoro fu lungo perchè l’ingegnere, volendo produrre un effetto formidabile, contava di consumare non meno di dieci litri di nitro-glicerina all’operazione; ma, ajutato da Nab, fece tanto che verso le quattro pomeridiane il buco della mina era finito; rimaneva la questione dell’infiammazione della sostanza esplosiva. Ordinariamente la nitro-glicerina s’infiamma per mezzo di esche di fulminato che nello scoppiare determinano l’esplosione. Occorre infatti un urto per l’esplosione [p. 57 modifica]della nitro-glicerina che, semplicemente accesa, arderebbe senza scoppio.

Cyrus Smith avrebbe certamente potuto fabbricare una capsula, ed in mancanza di fulminato gli sarebbe stato facile ottenere una sostanza analoga, perchè non gli mancava l’acido azotico; questa sostanza compressa entro una cartuccia, ed introdotta nella nitro-glicerina, avrebbe potuto scoppiare per mezzo d’una miccia e determinare l’esplosione.

Ma Cyrus Smith sapeva che la nitro-glicerina ha la proprietà di scoppiare all’urto. Risolvette adunque di servirsi di questa proprietà, salvo a ricorrere ad un altro mezzo se quello non gli riuscisse.

Infatti l’urto d’un martello su poche goccie di nitro-glicerina sparse alla superficie d’un corpo duro basta a cagionare l’esplosione; ma l’operatore non poteva starsene là a dare il colpo di martello; onde Cyrus Smith immaginò di sospendere ad un sostegno sopra un buco della mina, e per mezzo d’una fibra vegetale, una mazza di ferro del peso di molte libre. Un’altra lunga fibra, intonacata di zolfo, era attaccata alla prima per una delle estremità, dall’altra strisciava a terra fino a molti piedi dal buco della mina. Appiccando il fuoco a questa seconda mina essa doveva ardere fino a raggiungere la prima, che, arsa alla sua volta, lascerebbe cadere la massa di ferro sulla nitro-glicerina.

Fu allestito adunque l’apparecchio, poi l’ingegnere avendo fatto allontanare i compagni, riempì il buco della mina, in guisa che la nitro-glicerina venisse a sfiorarne l’apertura, e ne gettò alcune goccie alla superficie della roccia sotto la massa di ferro già sospesa. Ciò fatto, Cyrus Smith prese l’estremità della fibra solfurata, l’accese e lasciando il suo posto tornò presso i compagni ai Camini. La fibra doveva ardere per venticinque minuti; ed in fatti, passato questo tempo, si udì uno scoppio, di cui non è possibile dare un’idea. Parve che tutta l’isola tremasse dalle fondamenta. [p. 58 modifica]

Un zampillo di sassi si spinse in aria come eruttato da un vulcano. La scossa prodotta dall’aria rimossa fu tale che le roccie dei Camini oscillarono; i coloni, sebbene fossero a più di due miglia dalla mina, furono buttati a terra.

Si risollevarono, risalirono sull’altipiano, e corsero verso il luogo in cui l’argine del lago doveva essere stato rotto dallo scoppio. Un triplice evviva emisero i loro petti. Il masso di granito era spaccato largamente ed attraverso la fessura sfuggiva un rapido corso d’acqua che correva spumando attraverso l’altipiano, ne toccava la cresta e si precipitava dall’altezza di trecento piedi sul greto.