Atto III

../Atto II ../Nota storica IncludiIntestazione 9 maggio 2020 100% Da definire

Atto II Nota storica

[p. 175 modifica]

ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa del dottor Polisseno.

Ridolfo con un braccio al collo fasciato, ed il Dottore.

Dottore. Ecco qui, signor fratello, il primo frutto del di lei valor militare: una ferita in un braccio.

Ridolfo. Non è niente.

Dottore. E niente sia. Me ne rallegro; ma dice il chirurgo che dubita della puntura di un tendine, e se questo è vero, aspettatevi una cura lunga e tediosa.

Ridolfo. Eh! che sa il chirurgo? Noi altri militari ce ne ridiamo delle ferite.

Dottore. Sì, i militari hanno le membra differenti da quelle degli altri. [p. 176 modifica]

Ridolfo. Il valore, lo spirito e la fatica sono cose che danno un moto straordinario al sangue, e gl’infondono un balsamo che rende più sanabili le ferite.

Dottore. Questa, fratello mio, è da Capitano Coviello.

Ridolfo. Che cosa sapete voi? Di queste cose non se n’intende chi non è militare.

Dottore. E voi da quando in qua siete diventato tale?

Ridolfo. Io primieramente ho il genio guerriero; e poi, da che pratico il signor colonnello, ho acquistato sempre nuovi lumi e maggior valore.

Dottore. Sì, è valorosissimo il signor colonnello. Due volte ha lasciato voi nella peste, e si è valorosamente ritirato.

Ridolfo. Oh bella! bisogna sapere il perchè. La prima volta lo ha trattenuto una staffetta colla nuova che venivano le patenti.

Dottore. E la seconda?

Ridolfo. Un corriere colle patenti e colle bandiere. (nel nominare le bandiere, si cava il cappello)

Dottore. Sono venute le patenti? Sono arrivate le bandiere?

Ridolfo. Sì signore, cavatevi il cappello quando le nominate.

Dottore. Servitor umilissimo. (si cava il cappello) Le avete voi vedute queste bandiere?

Ridolfo. Non ancora.

Dottore. Chi ve l’ha detto che sono venute?

Ridolfo. Il signor colonnello.

Dottore. Ah! ve l’ha detto lui!...

Ridolfo. Sto a vedere che non lo crediate.

Dottore. Sì! a poco per volta mi sono avvezzato a credere ogni cosa.

Ridolfo. Mettete in ordine tutte le cose vostre, perchè a momenti si marcerà.

Dottore. Per me non ho da far gran cose, cred’io. La casa non la vo’ toccare. Sentirò per dove s’ha da marciare, se pure è vero.

Ridolfo. Ancora, se pure è vero?

Dottore. Non lo sapete il proverbio? Non si dice quattro, se non è nel sacco. [p. 177 modifica]

Ridolfo. Voi mi fareste dir quattro davvero. Sono venute le bandiere: le bandiere, intendete? (cavandosi il cappello)

Dottore. L’ho inteso, ed ho fatto loro umilissima riverenza, (cavandosi il cappello) In ogni modo io son lesto quando abbisogni.

Ridolfo. E questa sicurtà quando la faremo?

Dottore. S’ha da fare questa sicurtà?

Ridolfo. Che domande! S’ha da fare sicuro.

Dottore. Ma se il signor Pantalone...

Ridolfo. Il signor Pantalone l’accetta.

Dottore. E Fabio Cetronelli?

Ridolfo. L’ammazzerò.

Dottore. Come lo avete ferito.

Ridolfo. Lo passerò da una parte all’altra.

Dottore. Come un ranocchio.

Ridolfo. Orsù, ci vuol per me un abito magnifico, per la carica di maggiore del reggimento.

Dottore. A proposito, un’altra nuova.

Ridolfo. Gallonato.

Dottore. Diamantato.

Ridolfo. Pazzie!

Dottore. Pazzo voi.

Ridolfo. A me?

Dottore. Al signor maggiore, se sarà vero.

Ridolfo. Se sarà vero?

Dottore. Se sarà vero.

Ridolfo. Ma se...

Dottore. Sono venute le bandiere. (cavandosi il cappello)

Ridolfo. E per questo?...

Dottore. E per questo, se sarà vero.

Ridolfo. Mi mangerei dalla rabbia... [p. 178 modifica]

SCENA II.

Arlecchino e detti.

Arlecchino. Con grazia, se pol intrar? (avanzandosi)

Dottore. Quando siete entrato, è segno che si può entrare.

Arlecchino. Cussì diseva anca mi.

Ridolfo. Buon giorno, vivandiere.

Arlecchino. Servitor umilissimo. Cossa sala vussioria della carica de vivandier?

Ridolfo. Non l’ho da sapere io? Sono il maggiore del reggimento.

Arlecchino. Vussioria l’è el maggior?

Ridolfo. Sì; io sono il maggiore.

Arlecchino. Compatirne, sior, no l’è vero gnente.

Ridolfo. Come, non è vero?

Arlecchino. No l’è vero, perchè in sto reggimento gh’è dei soldadi grandi, che son maggiori de vussioria.

Ridolfo. Povero sciocco!

Dottore. Non lo sapete chi è? (a Ridolfo) E bene, galantuomo, che cosa posso fare per voi?

Arlecchino. La me pol pagar, se la vol.

Dottore. Pagarvi di che?

Arlecchino. De quel che ho d’aver.

Dottore. Ma da chi?

Arlecchino. Dai soldadi.

Dottore. Che c’entro io coi soldati?

Arlecchino. Oh bella! No elo vussioria el cassier?

Dottore. Io cassiere?

Ridolfo. No, amico, mio fratello non è il cassiere, è l’auditore del reggimento.

Dottore. Se sarà vero.

Ridolfo. Se sarà vero? (con ira)

Dottore. Sono venute le bandiere? (a Ridolfo)

Ridolfo. Sì, sono venute. (con ira)

Dottore. Sarà vero.

Arlecchino. Sal lezer vussioria. (al Dottore) [p. 179 modifica]

Dottore. A un Dottore tu domandi se sa leggere?

Arlecchino. Elo dottore de leze, o de medesina?

Dottore. Sì, caro, sono dottor di legge.

Arlecchino. Quand l’è dottor de leze, el saverà lezer. Che la leza sta carta, e la varda a chi la va.

Dottore. Questo è un viglietto che viene a me.

Arlecchino. Donca l’è vussioria che m’ha da pagar.

Dottore. Ma di che?

Arlecchino. Cento paoli, signor.

Ridolfo. Aprite il viglietto, e sentite che cosa contiene. (al Dottore) Quello è carattere del signor colonnello.

Dottore. Sentiamo che cosa dice. (apre)

Arlecchino. E la favorissa de sbrigarme presto.

Dottore. Ritiratevi per un momento. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Signor sì, me retiro e aspetto i cento paoli. El conto l’ha giustà el sior colonnello. El doppio, e paga subito. (parte)

Ridolfo. Vorrei sentire ancor io. (al Dottore, accennando al viglietto)

Dottore. È giusto. Il signor maggiore!

Ridolfo. Se pure è vero?

Dottore. Sono venute le bandiere. (s’accosta a Ridolfo, e legge) Signor Auditore.

Ridolfo. Sentite? Signor Auditore. (al Dottore)

Dottore. Tiriamo innanzi. «Il latore della presente è un oste, che oltre l’estorsioni praticate a’ miei soldati, ha tenuto mano alla deserzione di alcuni di essi, e merita di esser punito. Io non voglio ricorrere per ciò al Tribunale del paese, e non avendo il reggimento completo, non posso condannarlo alla militare, però V. S., come Auditore, lo trattenga cautamente in sua casa, sino alle mie ulteriori disposizioni. — Sbocchia Colonnello».

Ridolfo. Sentite? Ecco il primo ingresso alla vostra carica.

Dottore. Principio bene, se principio dal fare il carceriere e lo sbirro!

Ridolfo. Eh, spropositi! Questo è un ripiego.

Dottore. Come volete ch’io faccia a trattenere costui? [p. 180 modifica]

Ridolfo. Lasciate fare a me.

Dottore. Fratello carissimo, l’azione non mi pare molto onorata.

Ridolfo. Che scrupoli! Sarà la prima volta che un giudice, un ministro, mandi a chiamare un reo sospetto, o lo riceva dai superiori mandato, e lo trattenga poi per cautela?

Dottore. Va bene, ma si chiama lo sbirro per assicurarsi della persona.

Ridolfo. Nel militare non si adoprano sbirri.

Dottore. E chi dunque?...

Ridolfo. I soldati.

Dottore. Dove sono questi soldati?

Ridolfo. Io farò venire sei granatieri con baionetta in canna: lo prenderanno fra l’armi, e lo condurranno al profosso.

Dottore. E intanto?

Ridolfo. Intanto lasciate fare a me. Lo tratterrò in discorsi, finchè giungono i granatieri.

Dottore. Portatevi bene, signor capitano tenente.

Ridolfo. Signor maggiore potete dire.

Dottore. Se sarà vero.

Ridolfo. Se... se... Voi mi volete far dare al diavolo. (parte sdegnato)

SCENA III.

Dottore solo.

Possibile che io non possa adattarmi a credere perfettamente tutto quello che dicono rapporto al signor colonnello? Ora credo, ora non credo. Prese le cose in distanza, il desiderio me le fa credere: sul punto di verificarle, principio con l’animo a dubitare. Sono venute le bandiere. L’ho da credere? Si vedranno. Le donne sogliono dire: il cuore me lo dice, e quando il cuore mi dice una cosa... Quasi quasi direi anch’io lo stesso. Il cuore mi dice che il signor colonnello, il signor maggiore e il signor auditore abbiano a formare il più bel terno di questo mondo. (parte) [p. 181 modifica]

SCENA IV.

Luogo campestre coll’osteria d’Arlecchino.

Orazio e Brighella.

Orazio. Che c’è di nuovo? Hai tu sentito il tamburo? (incontrandosi con Brighella)

Brighella. Non solo ho sentido el tamburo, ma da quella montagnola che è là, ho visto un distaccamento de soldadi marciar verso de sto paese.

Orazio. Chi credi tu che possano essere?

Brighella. Le pol esser reclute, el pol esser un destaccamento per dar la muda a qualche presidio, el pol esser un passaggio de truppe; cossa voli che sappia?

Orazio. Sai di che nazione sieno? Conosci l’uniforme?

Brighella. Li ho visti da lontan; no i ho podesti distinguer ben; el m’ha parso però un uniforme compagno al nostro.

Orazio. Che fosse qualche partita del reggimento da cui siamo fuggiti, che andasse in traccia di desertori?

Brighella. Qua no gh’è pericolo. Semo zoso de stato.

Orazio. Basta; in ogni forma non è bene lasciarsi vedere.

Brighella. Certo co sto abito intorno se dà in te l’occhio.

Orazio. Senti il tamburo. Sono qui vicini.

Brighella. Andemose a retirar.

Orazio. Qui, nell’osteria.

Brighella. L’osteria l’è el primo logo che da sta zente sarà visità.

Orazio. Facciamo così; buttiamo abbasso l’insegna. (col bastone e colla spada getta1 a terra l’insegna)

Brighella. Za Arlecchin no vien per adesso.

Orazio. No, il signor auditore lo trattiene per ordine mio.

Brighella. L’ha principià la so carica el sior auditor.

Orazio. Principiata e finita. (entra nell'osteria)

Brighella. Dubito che anca nu presto finiremo la nostra; ma za per mi ho preparà un recipe da salvarme, e salvà mi, no ghe penso de altri. (entra e chiude) [p. 182 modifica]

SCENA V.

(Sentesi in qualche distanza toccare il tamburo; indi s’avanza un Tenente di fanteria alla testa di vari soldati, che marciano in ordine militare col loro sargente e loro caporali. Avanzati che sono, ed ordinati in file, il Tenente grida ad alta voce Alto, facendo segno col bastone al tamburo, il quale s’accheta, ed i soldati si fermano. Dopo di ciò il Tenente fa diversi comandi colla regola militare ai soldati, i quali restano poi in buona ordinanza, collo schioppo in spalla.)

SCENA VI.

Un Soldato di quelli di Orazio e detti.

Soldato. (In qualche distanza fa cenno al Tenente che gli vorrebbe parlare e consegnargli una carta.)

Tenente. Accostatevi. (al soldato)

Soldato. Devo presentare questo viglietto a V. S. illustrissima.

Tenente. Chi lo manda?

Soldato. Non lo so, signore. Me l’ha dato uno ch’io non conosco.

Tenente. Siete voi di questo paese?

Soldato. No, signore, son forestiero.

Tenente. Soldato di queste truppe?

Soldato. Son soldato, non so nemmen io di chi.

Tenente. Che vuol dire?

Soldato. Favorisca di leggere.

Tenente. Quell’uniforme è compagno del nostro.

Soldato. È vero, signore.

Tenente. Di qual reggimento siete?

Soldato. D’un reggimento... Legga, signore, che qualche cosa saprà.

Tenente. Sentiamo. (apre e legge)
"Signor Offiziale. Due desertori del suo reggimento si trovano qui nascosti. Uno di essi è pronto a svelare il compagno, e di più dargli nelle mani da venti uomini belli e vestiti, se ne ha di bisogno, purchè gli sia accordata l’impunità. Il lator del presente è un onorato galantuomo. A lui è pregato [p. 183 modifica] il signor Offiziale dire la sua intenzione, e dar la parola d’onore se sia lecito a chi scrive potersi francamente presentare".
(Bellissimo avvenimento! Sono in traccia di disertori, e due ne trovo, dove meno me li aspettava. Ho bisogno di far reclute, e me ne vengono offerte in buon numero, vestite ancora. L’occasione non s’ha da perdere. Qui conviene facilitare, tanto più che senza dipender dal Governo, usar non posso in paese straniero della mia autorità). (da sè) Galantuomo, accostatevi. (chiama il soldato in disparte, dove non possa essere dagli altri inteso)

Soldato. Sono ad obbedirla.

Tenente. Ditemi, non sareste già voi quello che ha scritto?

Soldato. Io non so scrivere, signore, e se sapessi scrivere, non mi sarei fatto soldato.

Tenente. Quanto tempo è che siete soldato?

Soldato. Pochi giorni; mi hanno promesso l’ingaggio, e non ho avuto niente, e non ho nemmeno avuto la paga.

Tenente. Quello che ha scritto, lo conoscete? Ditemi la verità; già io vi giuro da offiziale d’onore, che non gli voglio far male.

Soldato. Quando la mi dice così, le confesserò che lo conosco benissimo, e le dirò che egli ha nome Brighella, e si dice che sia sargente.

Tenente. Orsù, andate da questo tale, ditegli che sicuramente, sulla mia parola, venga a parlare con me, che non gli sarà fatto verun insulto.

Soldato. Vado subito a consolarlo. (fa la sua riverenza e parte)

SCENA VII.

Il Tenente co’ suoi soldati, come sopra; poi Brighella.

Tenente. Vero è ch’io non ho autorità d’accordare l’impunità ad un disertore che me ne scopre un altro: ma essendo in uno stato estero, ed offerendomi gente d’armi, bella e vestita, posso compromettermi d’ottenergli il perdono, e in caso diverso, posso procurargli almeno la sua libertà. [p. 184 modifica]

Brighella. (Dalla parte dell’osteria, ma non dalla porta) Ecco ai so piedi, lustrissimo sior tenente, un poveromo, che confida in te la so pietà, e in te la fede che la s’ha degnà de farme assicurar.

Tenente. Mi conoscete?

Brighella. Lustrissimo sì. Sibben che non era della so compagnia, ho l’onor de conosserla, e son qua a svelarghe colui che è stà causa della mia deserzion, che l’è un pezzo de carne de collo, ma come va.

SCENA VIII.

Orazio ad una finestra sotto il letto dell’osteria, e detti.

Orazio. (Ah scellerato! Brighella mi tradisce. Fuggasi e si deluda l’indegno). (si ritira)

Brighella. Oltre a questo, posso offerir a V. S. illustrissima della bellissima zente; ghe dirò po come fatta, come vestida...

Tenente. Basta così; questo non è luogo per discorrere più lungamente sopra di ciò. Ritiriamoci in altro sito meno esposto e meno sospetto.

Brighella. Se la comanda, podemo entrar in sta osteria.

Tenente. È un’osteria questa?

Brighella. Sì, signore; el mio camerada, per politica, ha buttà zoso l’insegna.

Tenente. Costui dove si trova?

Brighella. Là dentro, signor. La manda una pattuglia, e i lo trova là caldo caldo.

Tenente. Caporale. (ad un caporale dei suoi) Fate fare a sei granatieri baionetta in canna, entrate in quell’osteria, e assicuratevi d’uno... Come si chiama? Com’è vestito? Ditelo al caporale. (a Brighella)

Brighella. L’è un tal Orazio Sbocchia. (al caporale)

Caporale. Lo conosco benissimo.

Tenente. Presto dunque, conducetelo fra le armi. (Il caporale sceglie sei granatieri; fa far loro baionetta in canna ad uso militare, e ponendoli a due a due, egli alla testa, entrano nell'osteria aperta colle chiavi da Brighella.) [p. 185 modifica]

Tenente. Ma questa gente che voi mi offerite, che uomini sono? Da chi ingaggiati? Da chi arrolati?

Brighella. Quel furbo d’Orazio, signor, l’ha fatt zo sta povera zente. El se finz capitanio, colonnello, l’inganna tutti; e siccome a sti poverazzi noi ghe dà da magnar, i ho speranza di mi de metterli in qualche hon reggimento, e i è tutti contenti, e no i vede l’ora de esser arroladi, e de poder tirar la so paga.

Tenente. Sono niente pratici dell’esercizio?

Brighella. Gh’ho insegnà mi qualcossa.

Tenente. Li uniremo con questi del mio distaccamento.

Brighella. La vederà che i ghe farà onor.

Tenente. E voi con questo merito potete sperare di essere ricompensato.

Brighella. La vede ben, i abiti solamente i val dei denari molti.

Tenente. Ecco il caporale che torna. Non v’ha nessun prigioniero. (Il caporale con li sei granatieri, come sopra, ritornano, usciti dall'osteria.)

Caporale. Signore, Orazio Sbocchia non è altrimenti nell’osteria. (al Tenente)

Brighella. Che el sia fuggido per l’altra porta?

Tenente. Se colui non si trova, perde il merito l’accusatore. Caporale, assicuratevi di Brighella: sia condotto là dentro, e custodito con sentinella a vista.

Brighella. Ma mi non ho colpa, signor...

Tenente. Tant’è, eseguite. (al caporale, il quale dai sei granatieri fa prendere in mezzo Brighella, e lo conducono nell’osteria.)

Brighella. L’ho fatta bella. Son cascà mi in te la fossa che ho scavà per el mio compagno. (entra nell’osteria fra i soldati)

Tenente. Vi è altra gente in quell’osteria? (al caporale)

Caporale. Vi sono dei soldati che vorrebbero venir con noi. Io non so che imbroglio sia...

Tenente. Conduceteli fuori, e si uniscano a questi nostri, quando essi mostrino desiderarlo.

Caporale. Farò il mio dovere. (entra nell'osteria)

Tenente. Pare difficile che uno sia fuggito senza intelligenza dell’altro. Tutti costoro sono sospetti, e devo bene assicurarmi [p. 186 modifica] della verità, prima di prestar fede alle parole loro. A buon conto non trascurerò di acquistar questa gente, e circa gli abiti, a chi spetterà il pagamento, non lo defrauderò certamente.

SCENA IX.

(Dalla parte dell’osteria, donde prima era uscito Brighella, viene il caporale col seguito de’ soldati d’Orazio, in ordine militare, col loro tamburo, e detti. Avanzati fino a un certo segno, il caporale dicendo Alto, li fa fermare.)

Tenente. Bella gente! Uniamoli colla nostra. (al caporale)

Caporale. Faccia ella il comando. Pare che l’intendano bene.

Tenente. Colui che è arrestato non li ha male istruiti. Attenti.
(Qui il Tenente comanda in maniera che i soldati avventizi s’uniscono a’ suoi; indi a tutti uniti fa vari comandi ed ordina vari movimenti militari a piacere de’ recitanti o direttori di essi, secondo che saranno da gente pratica bene istruiti; dopo di che, posta la gente in ordine di marciare, col tamburo battente, il Tenente alla testa, marciano tutti dentro alla scena.)

SCENA X.

Camera in casa di Pantalone.

Pantalone ed Ottavio.

Ottavio. Caro signor padre, permettetemi che con tutta umiltà e rispetto vi dica, che l’interesse dee prevalere fino ad un certo segno, ma la fede... ah signore, la fede è il miglior capitale delle persone onorate.

Pantalone. Per che motivo, sior dottor della favetta, me feu sta lizion?

Ottavio. Torno a chiedervi umilmente scusa; Fabio Cetronelli ebbe da voi la parola...

Pantalone. Fabio Cetronelli xe un strambazzo: l’è vegnù a casa nostra a farne delle bulae: lo savè pur.

Ottavio. Chi gli ha dato motivo di mettersi a tal cimento? [p. 187 modifica]

Pantalone. Chi ghe l’ha dà? La so stramberia.

Ottavio. Ah signor padre, perdonatemi. Un uomo d’onore, che vedesi mancar di parola, è compatibile se non sa frenare lo sdegno.

Pantalone. E po l’ha squasi mazzà sior Ridolfo.

Ottavio. Ridolfo lo ha provocato, ha voluto battersi seco lui per forza.

Pantalone. Scuselo quanto che volè; ve digo che el xe un omo pericoloso, e no me fido a darghe mia fia.

Ottavio. Per amor del cielo, scusatemi. Queste riflessioni si dovevano fare prima di dargli parola.

Pantalone. Saralo questo el primo contratto de nozze che sia andà a monte?

Ottavio. No, signore. Se ne sciolgono tutto giorno, ma con qualche onesta ragione.

Pantalone. Chi ve sente vu, sior, mi son una bestia senza rason.

Ottavio. No, signor padre, difenderò l’onor vostro a costo di spargere tutto il mio sangue: ma qui, fra noi, posso dirvi che Orazio vi ha affascinato.

Pantalone. Sto sior Orazio, per dir la verità, capitanio o colonnello che el sia, el m’ha messo un pochetto in sconcerto; sto vestiario che el m’ha fatto far, me costa assae, e se nol lo tiol, la xe per mi una mezza ruvina.

Ottavio. Eh caro signore, peggio per voi, se lo prende. Finalmente la roba, quantunque rimanga nei magazzini, se non si vende un giorno, si vende l’altro; ma s’egli vi porta via gli abiti, e non li paga, perdete tutto, senza speranza di ricuperar cosa alcuna.

Pantalone. Vedeu? No savè cossa che ve disè. Con una cambial che ghe doverare pagar, de tremile zecchini, squasi squasi se pareggia el conto dell’importar del vestiario.

Ottavio. Questa cambiale di tremila zecchini non potrebbe essere falsificata?

Pantalone. Via. Cossa diavolo diseu? Chi v’ha insegna a sospettar dei omeni in sta maniera? [p. 188 modifica]

Ottavio. Degli uomeni che non si conoscono, degli uomini che non rendono conto dell’esser loro, non è colpevole il dubitare; e nel caso nostro viene autenticato il ragionevole mio sospetto da un altro mercante, che non crede ad Orazio come voi credete.

Pantalone. Chi xelo questo?

Ottavio. Il signor Salamone, uomo onorato, ma cauto e circospetto. Sopra di lui Orazio ha una cambiale simile di tremila zecchini a vista, ma egli non gliela paga, se prima non ha ordini replicati dal supposto traente: con ciò viene a sospettare di quello che l’esibisce, e Orazio non insiste, segno manifesto di qualche interno rimorso.

Pantalone. Voleu che ve la diga, che sta cossa me fa sospettar anca mi?

Ottavio. Aprite gli occhi, signor padre. Vi sono degl’impostori moltissimi per il mondo.

Pantalone. Caro fio, no so cossa dir. Mi, quel che fazzo, lo fazzo per ben; per mantegnir onoratamente la mia fameggia. Savè anca vu quanto che ho speso fin adesso per mantegnirve in collegio con reputazion.

Ottavio. Vi pare di aver gettato il denaro?

Pantalone. No, fio mio, lo benedisso mille volte, e non ho speso bezzi al mondo con più profitto de questi. Sto solo avviso che me dà adesso el vostro amor, la vostra prudenza, recompensa tutte le spese che ho fatto in tanti anni per vu.

Ottavio. Voglia il cielo ch’io possa in ogni tempo mostrarvi...

SCENA XI.

Il Dottor Polisseno e detti.

Dottore. Oh di casa. (dentro)

Ottavio. Il dottor Polisseno. (a Pantalone)

Pantalone. Felo vegnir avanti. (ad Ottavio)

Ottavio. Anche questo signor Dottore è bene imbrogliato con il degnissimo signor capitano. (parte) [p. 189 modifica]

Pantalone. Pur troppo l’è la verità. Nualtri mercanti semo esposti a cento pericoli. Se no se crede, no se fa negozi; se se crede, se rischia de perder tutto. Oh che mondo! oh che mondo!

SCENA XII.

Il Dottor Polisseno, Ottavio ed il suddetto.

Dottore. Riverisco il signor Pantalone.

Pantalone. Fazzo reverenza a sior dottor Polisseno. Cossa alo da comandarme?

Dottore. Caro amico, sono venuto a sfogarmi un poco con voi. Avete sentito con che bel garbo mi vogliono obbligare a una sicurtà?

Pantalone. Ho capio tutto, e mi averè sentìo cossa che ho resposo.

Ottavio. Signor Dottore, favorisca dire con quella lealtà che è propria di lei, che fede ha nel signor Orazio?

Dottore. Per dir il vero, pochissima: ma mio fratello m’empie il capo di cose... non so niente; ora dice che sono arrivate le patenti, le bandiere...

Pantalone. Le bandiere? Mo caspita! Le xe arrivae le bandiere, el negozio xe fatto.

Ottavio. Che! non si possono fare delle bandiere dove si vuole?

Pantalone. Certo che anca queste le se poderia far con malizia.

Dottore. E poi nessuno le ha vedute queste bandiere.

Pantalone. Pezo.

Ottavio. Signori miei, credetelo a me: costui è un furbo.

Dottore. È un pezzo che lo vado temendo.

Pantalone. Vedere che la sarà cussì. Mio fio sa quel ch’el dise.

SCENA XIII.

Ridolfo e detti.

Ridolfo. Schiavo di lor signori. (frettoloso)

Pantalone. Servitor suo.

Dottore. Che nuova c’è? [p. 190 modifica]

Ridolfo. Tutto quello che ha principio, ha fine.

Dottore. Massima incontrastabile.

Ridolfo. Sinora si è parlato assai del signor capitano. Ora siamo allo scoprimento della verità.

Pantalone. Elo un furbo?

Dottore. È un impostore?

Ottavio. Si verifica il mio sospetto?

Ridolfo. Che furbo? Che impostore? Che andate voi sospettando? Escite di questa casa, e vedrete il paese pieno d’armati.

Dottore. E ciò che vuol dire?

Ridolfo. Vuol dire, signor incredulo, che unitisi li corrispondenti del signor capitano colle genti da loro fatte, son qui arrivati, ed il reggimento è completo.

Pantalone. Subito donca ghe vorrà el vestiario.

Ridolfo. Sono tutti vestiti, signore, tutti coll’uniforme e le armi loro.

Pantalone. Come xela donca? El m’ha burlà.

Ridolfo. Il signor capitanio Orazio, ora già colonnello, non è capace di burlare nessuno.

Ottavio. Chi vi ha detto, signore, che questi armati sieno del suo reggimento?

Ridolfo. A voi non rispondo. Voi non sapete nulla.

Ottavio. Ed io rispondo a voi che spessissimo di qua passano truppe.

Ridolfo. Eh! tornate in collegio, che ne avete ancor di bisogno.

Ottavio. Mi maraviglio di voi...

Pantalone. Tasè là. (ad Ottavio)

Ottavio. Vi farò vedere...

Pantalone. Tasè là, digo; e andè via subito.

Ottavio. Obbedisco. (parte mordendosi il dito)

SCENA XIV.

Il Dottor Polisseno, Pantalone e Ridolfo.

Ridolfo. Troppo fuoco ha il signor Ottavio. Non è bene educato.

Pantalone. In questo mo, sior, perdoneme, che disè mal. El caldo xe un effetto de natura, un stimolo de delicatezza; ma el [p. 191 modifica] reprimerlo per obbedienza la xe una bella virtù, el xe un effetto d’un’ottima educazion.

Dottore. Bravissimo, signor Pantalone.

Ridolfo. Basta, sia comunque esser si voglia, il reggimento è completo, e domani lo vedrete squadronato colle bandiere.

Dottore. Se pur è vero.

Ridolfo. Maledettissima ostinazione! Ecco qui il signor colonnello.

SCENA XV.

Orazio e detti.

Orazio. (Misero me! Son perduto!) (da sè, confuso)

Ridolfo. Mi rallegro con voi, signor colonnello.

Orazio. Di che, signore?

Ridolfo. Dell’arrivo fortunato di tutta la vostra gente. Ora il reggimento sarà completo.

Orazio. Sì, è completo. (confusamente)

Pantalone. Ma i abiti, patron? I dise che la zente è vestida.

Orazio. Sì, è vestita... ma vestiario vecchio... Domani li vestirete voi.

Pantalone. Voleva ben dir mi!

Dottore. Che ha, signor colonnello, che mi pare un poco confuso?

Orazio. Vi pare poco imbarazzo questo? Arrivarmi a ridosso tanta gente, e queste cambiali nessuno le vuol pagare? Signor Pantalone, ho bisogno di denaro.

Ridolfo. Bisogna dargliene, signor Pantalone.

Pantalone. E i abiti?

Orazio. Per gli abiti si parlerà. Ora vuol esser denaro.

Ridolfo. Denaro vuol essere, e non parole. (a Pantalone)

Pantalone. Denaro, denaro! A proposito di denaro, anca mi, signor, aspetto lettere dal corrispondente.

Orazio. Che lettere? Mi maraviglio di voi. La cambiale è a vista; pagatela o, giuro al cielo, mi farò giustizia colle mie mani.

Ridolfo. Pagatela, signor Pantalone, che sarà meglio per voi.

Pantalone. Come! In casa mia prepotenze? [p. 192 modifica]

Dottore. Fratello, abbiate giudizio.

Orazio. Animo, dico, fuori il denaro. (a Pantalone)

Ridolfo. Denaro, signor Pantalone.

SCENA XVI.

Ottavio e detti.

Ottavio. Signore, un tenente accompagnato da un caporale con granatieri, desidera di parlarvi. (a Pantalone)

Pantalone. Son qua.

Orazio. (Misero me!) (da sè) Sarà un mio... Sì signore, andate... poi per la cambiale... basta, ne parleremo. (Mi potessi almeno nascondere), (da sè, e parte confusamente per la parte opposta all'ingresso)

Pantalone. Coss’è sto negozio?

Ridolfo. Se non pagherete, sarà peggio per voi. (a Pantalone)

Dottore. Voi non c’entrate. (a Ridolfo)

Pantalone. Andemo a veder cossa che vol sto sior tenente.

Ridolfo. Verrà per ordine del colonnello a farvi star a dovere. Povero signor Pantalone! Verrò con voi per vostra salute. Il maggiore del reggimento può unicamente in questo caso giovarvi.

Pantalone. No so cossa dir. Sarà quel che piaserà al cielo. Andemo, fio mio, no me abbandonè. (ad Ottavio) Dottor, vegnì via anca vu. (parte)

Ottavio. Non mi staccherò da mio padre. (parte)

Dottore. Son qui; almeno colle parole. (parte)

Ridolfo. Dia denaro alla truppa, ed ogni cosa passerà bene. Anche il maggiore deve principiare ad aver la sua paga. (parte)

SCENA XVII.

Altra camera remota in casa di Pantalone, con un armadio nel fondo.

Flamminio ed Orazio.

Orazio. Caro amico, nascondetemi in qualche luogo.

Flamminio. Nascondervi? Perchè?

Orazio. Per fare una burla al signor Pantalone. [p. 193 modifica]

Flamminio. Una burla?

Orazio. Sì, per allegria, per divertimento.

Flamminio. Vi condurrò a nascondervi in camera di mia sorella.

Orazio. No, no; qui in queste camere, in questo appartamento, vicino al tetto, non vi è un nascondiglio, un sottoscala, un qualche luogo segreto?

Flamminio. Vi potete nascondere... aspettate. (pensando)

Orazio. Ma fate presto.

Flamminio. Nascondetevi nella capponaia.

Orazio. Eh, scioccherie. Colà mi vederebbono.

Flamminio. Volete andare sul tetto?

Orazio. Sì, anderò sul tetto. Per dove si va?

Flamminio. Si va per di qui. (accenna l'alto della stanza)

Orazio. Ma come?

Flamminio. Ci vuole la scala a mano.

Orazio. E dov’è? Presto.

Flamminio. E nell’altra stanza. Volete che la vada a prendere?

Orazio. Sì, presto, per amor del cielo.

Flamminio. Questa burla vi preme assai?

Orazio. Mi preme, spicciatevi. E sopra tutto, venga chi che sia, non dite nulla che mi sia nascosto.

Flamminio. Non dubitate.

Orazio. Giuratelo.

Flamminio. Da fanciullo da bene.

Orazio. Sento gente. La scala, presto.

Flamminio. Subito. (parte)

SCENA XVIII.

Orazio solo.

Se posso andare sul tetto, cercherò di salvarmi. Brighella mi ha tradito. Ma! Così va. I traditori si tradiscono fra di loro. Misero me! Il calpestio s’avanza. La scala non viene. Non sono a tempo... mi celerò in quest’armadio. (va a chiudersi in un armadio) [p. 194 modifica]

SCENA XIX.

Il Caporale del distaccamento con sei granatieri
ed il suddetto nell’armadio nascosto.

Caporale. In questa casa è nascosto; il padrone ci ha dato la libertà di cercarlo. Usiamo ogni diligenza per rinvenirlo.

SCENA XX.

Flamminio colla scala a mano, e detti.

Flamminio. (S’avanza colla scala sollecitamente, non vedendo il caporale e i soldati.)

Caporale. Alto lì. (a Flamminio)

Flamminio. (Lascia cadere la scala, e resta tremante.)

Caporale. Chi siete voi?

Flamminio. Sono il signor Flamminio per obbedirla. (tremando)

Caporale. Siete di questa casa?

Flamminio. Sono figlio legittimo e naturale del padrone di questa casa.

Caporale. Che cosa fate di questa scala?

Flamminio. Per andar sul tetto.

Caporale. A far che volete andare sul tetto?

Flamminio. Non ci vado io, che ho paura a andare sul tetto.

Caporale. Chi dunque ci deve andare?

Flamminio. L’amico... l’avete veduto?

Caporale. Io non ho veduto nessuno.

Flamminio. No eh? Dunque si sarà nascosto.

Caporale. Chi è quello che si sarà nascosto?

Flamminio. Eh niente! Per una burla.

Caporale. Parlate, presto, dite la verità. Chi si è nascosto? Dove si è nascosto?

Flamminio. Se volete ch’io parli, non mi fate paura.

Caporale. No, non dubitate. Non sono qui ne per farvi male, [p. 195 modifica] nè per farvi paura. Ditemi tutto con verità. (Questi è un sempliciotto, per quello ch’io vedo). (da sè)

Flamminio. Vi dirò, io non so dove si sia nascosto; ma se anche lo sapessi, non ve lo potrei dire.

Caporale. No? Perchè?

Flamminio. Perchè ho giurato di non dirlo a nessuno.

Caporale. Almeno ditemi il nome di quello che si voleva nascondere.

Flamminio. Oh, questo ve lo dirò volentieri.

Caporale. Via, ditelo.

Flamminio. Non me ne ricordo.

Caporale. Era forse un certo capitano Orazio?

Flamminio. Sì, bravo: era lui.

Caporale. E non sapete dove si sia nascosto?

Flamminio. Non lo so certamente. Voleva andar sul tetto, ma senza scala non ci sarà andato.

Caporale. Era qui dunque.

Flamminio. Era qui.

Caporale. Per di là non è andato.

Flamminio. No, l’avrei veduto.

Caporale. Per di qua l’avrei veduto io.

Flamminio. Se non siete orbo.

Caporale. Dunque dovrebbe esser qui...

Flamminio. Lo direbbe anche il mio cane.

Caporale. Ma dove si può egli esser nascosto?

Flamminio. Lo domanderete a lui, quando avrà fatto la burla.

Caporale. Ehi! Potrebbe essere in quell’armadio?

Flamminio. Perchè no? Anch’io mi nascondeva colà, quando sfuggiva la scuola.

Caporale. Vediamo dunque. Attenti. (ai granatieri, accostandosi all’armadio)

Orazio. (Apre l’armadio da sè, esce con una pistola alla mano che vuole sparare, ma ella non prende fuoco.)

Caporale. Arrestatelo. (ai granatieri, quali rivoltano l’armi contro di Orazio)

Flamminio. Aiuto. Genti. Papà. (fugge via) [p. 196 modifica]

SCENA XXI.

Orazio, il Caporale e sei granatieri.

Orazio. Sì, m’arrendo; giacchè così vuole il destino.

Caporale. Prendetelo fra le armi (gli leva la spada, i granatieri lo circondano)

SCENA ULTIMA.

Pantalone, il Dottor Polisseno, Ottavio, Ridolfo,
il Tenente, e detti.


Caporale. Eccolo, signor tenente. Si è ritrovato, e con una pistola alla mano tentò resistere alle nostre armi.

Tenente. Pagherà il fio di tutte le sue colpe.

Orazio. Signore, ascoltatemi, se non siete inumano. La mia nascita è assai civile; la disperazione mi fece fare soldato; la sinderesi mi obbligò a disertare, e l’esempio di tanti altri m’insegnò la scuola degl’impostori. Falsi caratteri, mentite impronte, macchine, falsità, estorsioni, sono colpe da me commesse dopo la deserzione. Son reo di morte, il confesso, ma voi mi potete salvare. Voi solo potete farmi quel bene, che un consiglio di guerra non ha arbitrio di altrui concedere, che un re medesimo avrebbe soggezion d’accordare; potete farlo senza marca di disonore, senza timore d’imputazione, ed eccone il fondamento. Un reo che trovato sia in uno stato alieno, o non s’arresta, o con facilità si rilascia. Eccovi aperto il campo di usare la vostra pietà verso d’un infelice, di praticare un atto eroico in faccia a questi, che aspettano forse di conoscer chi siete dalle prove della vostra virtù. Signore, colle mie suppliche intendo muovervi per questa parte. Se ciò non vi tocca il cuore, è disperato il mio caso, nè aspettate da me atti di maggiore viltà.

Tenente. Amico, la vostra rettorica fa conoscere che vi hanno fatto studiare, ma che male siete riuscito, usando a danno [p. 197 modifica] vostro quel talento medesimo che il cielo vi aveva per vostro bene concesso. Non è vero che stia in mia mano il darvi la libertà; ma quando ancora ciò fosse, ho appresa la massima, che il perdono concesso ai rei la cagion sia de’ nuovi loro misfatti. Dovrete con noi venire dinanzi al vostro e mio Generale: verravvi Brighella ancora, e deciderà il consiglio di guerra.

Dottore. Io intanto ringrazio il signor colonnello della patente che mi voleva dare d’auditore, donandogli, per iscarico di sua coscienza, tutto quello che mi ha mangiato, e consolandomi delle sue bandiere. Posso dire, se pure è vero? (a Ridolfo)

Ridolfo. Sì, pur troppo egli è vero che è un perfido, è un impostore. Arrossisco della mia debolezza, e a voi, caro fratello, chiedo un amoroso perdono.

Pantalone. E i mi abiti? Cossa ghe ne faroggio?

Orazio. Non mi affliggete d’avvantaggio. Tutti quanti qui siete, carnefici mi sembrate, che lacerate il mio cuore.

Pantalone. Ve paremo tanti boia? E vu me pare un bel galiotto. Sior tenente, quei vintiquattro abiti coi quali xe vestia quella zente che vien adesso con ela, i xe roba mia, ghe li ho dadi mi, e noi li ha pagai.

Tenente. Bene, lo dirò al colonnello.

Ottavio. Signor padre, vorrei supplicarvi d’una grazia.

Pantalone. Parla, fio mio, domanda quel che ti voi; siestu benedetto, che ti m’ha avvisà per mio ben.

Ottavio. Vorrei che quei ventiquattro abiti li donaste a me.

Pantalone. Sì, volentiera, te li dono; prego el cielo che i te li paga, e to sorella sarà muggier de sior Fabio.

Ottavio. Sente, signor tenente? Quegli abiti, quelle armi, sono cosa mia.

Tenente. Procurerò che siate soddisfatto.

Ottavio. Ciò non mi preme, poichè alla presenza vostra, di quegli abiti, di quelle armi, faccio un dono ad Orazio; ma siccome egli forse non sarà in istato di poterne godere, questi per sua cagione resteranno liberi al reggimento. In gratificazione dell’amor mio, e di un accidente che rende Orazio al suo [p. 198 modifica] reggimento benefico, una grazia chiedo al signor tenente, ed è questa: che siccome Orazio è stato preso in casa nostra, che è una casa onorata, libero sia dalla morte, e con questa fermissima condizione al suo Generale lo presenti. Mi si dirà forse: non posso farlo, non lo posso promettere. Signore, perdonatemi, l’avete a promettere, l’avete a fare. Il governatore, da me avvisato, con quest’unica condizione vi lascerà trasportare i due desertori. Altrimenti spedirà una staffetta alla capitale, che giungerà forse in tempo per liberarli. Senza ricorrere a tali estremi, gradite il dolce modo che io vi propongo, accettate la lieve offerta che vi esibisco, promettete per la di lui vita, e ritornate con una preda, che se non porta alle truppe vostre il terrore, recherà almeno un esempio del vostro zelo e della nostra docilità.

Pantalone. Tiò; siestu benedetto. (gli dà un bacio)

Tenente. Persuaso dalle vostre buone ragioni, vi do parola che salvo egli sarà dalla morte.

Dottore. (È una buona ragione ventiquattro abiti). (da sè)

Orazio. Sempre più confuso ed atterrito io resto col confronto di sì bella virtù all’aspetto delle mie colpe. Le detesto, le abomino, le maledico; e voglia il cielo che il resto di quella vita che menerò fra gli stenti, vaglia a scontare i miei passati delitti, e apprenda almeno dall’esempio il mondo, che poco dura e malamente termina la vita pessima dell’Impostore.

Fine della Commedia.



Note

  1. Forse è da leggersi gettano. L’ed. Pitteri stampa: o colla spada.