L'avvenire!?/Capitolo ventiduesimo

Capitolo ventiduesimo

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Edward Bellamy - L'avvenire!? (1888)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1891)
Capitolo ventiduesimo
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CAPITOLO VENTIDUESIMO




Eravamo intesi di ritrovare le signore alla trattoria, all’ora del desinare; quando esse se ne furono andate, noi rimanemmo seduti a tavola e, fumando e bevendo, discorremmo di un’infinità di cose.

«Signor dottore,» dissi, nel corso della conversazione, «non sarei ragionevole se non riconoscessi che, paragonato con quello di qualsiasi altra epoca ed anche con quello del mio infelice secolo, il vostro sistema sociale è ammirevole. Se dovessi, questa notte, ricadere nel mio sonno mesmerico, e, anzichè andare avanti, tornare indietro di cent’anni; e se potessi narrare allora a’ miei amici tutto quanto ho veduto, essi direbbero certamente che il vostro mondo è un paradiso di ordine, giustizia e beatitudine. Ma, siccome i miei contemporanei erano assai pratici, dopo aver riconosciuto il merito del vostro sistema, essi chiederebbero indubbiamente dove mai avete preso il danaro necessario a rendere tutto il mondo così felice; che, per permettere alla nazione un tal benessere ed un tal lusso, devono occorrere ricchezze assai più grandi di quelle allora possedute. Quando anche potessi spiegar loro esattamente tutte le particolarità del [p. 124 modifica]vostro sistema, non giungerei a rispondere a questa loro domanda, sicchè essi, — che erano maestri nell’arte del calcolo — mi risponderebbero che io ho sognato e ricuserebbero di credermi.

So che se, al tempo mio, si avessero voluto ripartire ugualmente gl’introiti annui dello stato, una tal divisione non avrebbe dato, ad ogni uomo, più di tre o quattrocento dollari; somma che appena sarebbe bastata a procacciarsi le cose più necessarie alla vita, con pochissimo od anche nessun lusso. Come va che ora possedete tanto?»

«Questa sarebbe una domanda giustissima, signor West,» soggiunse il dottor Leete, «e non disapproverei i vostri amici se non volessero prestar fede ai vostri racconti. Non posso soddisfarvi interamente e, qualora accadesse il caso di cui parlate, vi proporrei di rispondere ai vostri compagni, di consultare, circa la statistica, alcuni libri che si trovano nella mia biblioteca. Cominceremo a parlare di una quantità di piccole cose nelle quali, a paragone di voi, facciamo grandi economie. Noi non abbiamo debiti nazionali, governativi o comunali da pagare, non abbiamo da far spese per mantenere una flotta, un esercito, una milizia; non abbiamo impiegati doganali, nè gabellieri. Per quanto riguarda il personale di giustizia, di polizia, o delle carceri, il numero d’impiegati che occorreva allora al solo Massachusetts, basta ora per tutta la nazione. Non abbiamo malfattori che, come quelli dei vostri tempi, rubino ciò che appartiene alla società; e il numero di tutti gli inabili al lavoro che vivevano un tempo alle spalle del resto della società, è oggi, in grazia dello stato di salute e di comodità in cui ognuno vive, singolarmente diminuito e tende a scomparire ognor più.

Un’altra ragione d’economia è la mancanza di danaro e per conseguenza, l’assenza di tutte quelle occupazioni che non potevano andar disgiunte dalle operazioni finanziarie e per le quali occorreva impiegare tutto un esercito di uomini. Riflettete inoltre che tutte quelle spese fatte dai ricchi, per procurarsi un lusso superfluo, non ha più ragione d’essere; riflettete pure che oggi non vi sono più fannulloni, siano essi ricchi o poveri. [p. 125 modifica]

Un’altra causa della povertà d’allora era l’immenso sciupio di forza lavoratrice nei lavori domestici; il lavare, il far cucina, ed un’infinità d’altre piccolezze alle quali abbiamo applicato il sistema d’associazione.

Un’economia maggiore poi di tutte queste unite, consiste nell’organizzazione del nostro sistema di divisione, mercè il quale, il lavoro, che una volta veniva eseguito dai negozianti e da tutta la loro plejade di piccoli e grandi commercianti, di sensali, di agenti, di viaggiatori e di mille altri ausiliari, con grande spreco di forza nei trasposti e negli infiniti maneggi, viene ora eseguito da una decima parte di operai e senza il minimo sforzo inutile. Avete già imparato a conoscere questo sistema. I nostri statistici hanno calcolato che l’ottantesima parte dei nostri operai, colla nostra divisione, basta ad eseguire quel lavoro che, ai tempi vostri, occupava l’ottavo di tutta la popolazione; ora tanta forza danneggierebbe la produzione».

«Comincio a vedere,» dissi, «da dove proviene la vostra grande ricchezza».

«Scusate,» soggiunse il dottor Leete, «ma credo che non lo possiate ancora comprendere. I risparmi da me accennati possono superare della metà i vostri introiti annui, però meritano appena di essere indicati, a paragone di quelli immensi, derivanti dal non essere più l’industria nazionale in mani private. Per quanto grandi fossero i guadagni dei vostri contemporanei, e per quanto lodevoli i progressi da loro fatti nelle invenzioni meccaniche, io credo che, continuando a seguire il loro sistema, non si sarebbe mai giunti a distruggere la miseria.

Non è possibile immaginare un mezzo più atto a distruggere la forza lavoratrice, e, bisogna pur dirlo ad onore dello spirito umano, un tal sistema non fu appositamente inventato; ma fu un avanzo di un tempo rozzo, in cui la mancanza di un’organizzazione sociale, rendeva impossibile ogni specie di associazione».

«Voglio ammettere», dissi, «che, dal punto di vista etico, il nostro sistema fosse cattivo; ma, prescindendo dalla morale, esso ci sembrava ammirevole per far danaro».

«Come già vi dissi», rispose il dottore, il «soggetto è troppo [p. 126 modifica]vasto per poter esser trattato interamente ora; ma se desiderate conoscere le principali osservazioni che noi, moderni, facciamo al vostro sistema, paragonandolo col nostro, ve ne accennerò alcune.

Vi son quattro punti che, affidando voi, come facevate, la direzione della vostra industria ad individui non responsabili, che lavoravano senza reciproca intesa, concorrevano a questo scialacquo: primo, le perdite derivanti da false intraprese; secondo, le perdite derivanti dalla concorrenza e dall’inimicizia degli industriali; terzo, quelle prodotte dai ristagni periodici e dalle crisi seguite da interruzioni; quarto, le perdite recate dai capitali e dalle forze lasciate infruttifere. Una sola di queste ragioni, basterebbe a dare alla nazione ricchezza o povertà.

Incominciamo dalle perdite derivanti dalle grandi intraprese. Siccome, ai vostri tempi, la produzione e la distribuzione delle varie merci, avveniva senza concordia e senza organizzazione, non si poteva mai sapere precisamente qual fosse la quantità occorrente di un prodotto, nè l’ammontare della vendita di esso e perciò ogni impresa, tentata privatamente da un capitalista, era un esperimento dubbioso.

Siccome l’impresario non poteva gettare uno sguardo generale sul campo della produzione e del consumo, come lo fa il nostro governo, non era possibile sapere ciò che desiderava il pubblico, nè quali fossero le misure prese da altri capitalisti per somministrare la merce desiderata. A questo riguardo, non ci sorprende la grande probabilità di non riuscire in un’intrapresa, e nemmeno il caso di persone che riuscivano soltanto a fare un colpo, dopo diversi fallimenti. Se un calzolaio, ad ogni paio di scarpe che fa, tagliasse il cuoio per quattro o cinque paia e oltracciò perdesse anche il tempo impiegato a quello spreco, quegli arricchirebbe allo stesso modo dei vostri contemporanei col vostro sistema di intraprese private; essi facevano in media tre o quattro fallimenti per ogni vincita.

Un altro gran danno era quello della concorrenza. Paragonando l’industria ad un campo di battaglia, grande come il mondo, nel quale gli operai, lottando fra loro, sprecano delle forze che, [p. 127 modifica]impiegate in comune, li renderebbe tutti ricchi. In questo combattimento non si dava perdono. La deliberazione di entrare in un campo d’affari e distruggere le intraprese di coloro che ne erano prima i padroni, per costrurre le proprie ricchezze su quelle rovine, era un’azione che non mancava mai di destare l’ammirazione generale, e non è fuor di luogo il paragonare questo combattimento ad una vera guerra, poichè oltre all’angoscia d’animo ed alle sofferenze fisiche, compagne della lotta, si presentava infine la miseria, che atterra il vinto e tutti i suoi dipendenti.

Nulla è più sorprendente per un uomo dei nostri tempi, il quale si volga indietro, che il constatare come gli uomini addetti ad una stessa industria, si consideravano fra loro quali rivali e nemici che bisognava atterrare e disperdere; mentre avrebbero dovuto vivere fraternamente e lavorare insieme onde raggiungere uno stesso scopo per il comune interesse; e questo sorprende assai gli uomini del nostro tempo, sembra veramente una follia, un’azione da manicomio; però considerando più da vicino, non è così; poichè con questo scannarsi reciproco, i vostri contemporanei sapevano benissimo ciò che volevano. I produttori del secolo decimonono non lavoravano come i nostri, per il mantenimento di tutti in generale, bensì per quello loro proprio ed a spese di tutti.

Se con un simile lavoro la ricchezza generale cresce, è per puro caso; era pure possibile e comune l’occasione di vedere aumentato il proprio erario, in seguito ad affari che pregiudicavano il bene comune.

I peggiori nemici erano necessariamente quelli dello stesso ramo, poichè, secondo il vostro sistema, il guadagno privato era il movente principale della produzione, e il desiderio d’ogni singolo produttore consisteva nel veder mancare l’articolo che produceva; il suo sforzo costante era nel cercar di opprimere e abbattere i lavoratori dello stesso genere. Riuscendo poi ad opprimerne il maggior numero possibile, cercavano di unirsi con quelli ai quali non potevano nuocere e facevano insieme a questi una guerra contro la massa, mediante chiusura del mercato e [p. 128 modifica]accrescimento di prezzo, che il pubblico pagava piuttosto che fare a meno della merce.

Giorno e notte il produttore sognava di ottenere un controllo illimitato sulla consegna di una merce necessaria a bisogni della vita, cosicchè il pubblico si trovava in procinto di morire di fame ed egli esigeva del suo prodotto prezzi sempre elevati; questo si chiamava al secolo XIX sistema di produzione; domando io, signor West, se non era piuttosto un sistema per distruggerla.

Quando avremo molto tempo per discorrere, vi pregherò di spiegarmi, ciò che io, dopo lungo studio, non sono riuscito a comprendere, e cioè come va che quei furboni, come sembra siano stati i vostri contemporanei, affidavano l’ufficio di provvedere a tutti, ad una classe, che per il suo profitto, mirava ad affamare. Non ci sorprende il fatto che con un simile sistema il mondo non sia arricchito, ci meraviglia anzi non sia andato in rovina per mancanza di mezzi, e questa meraviglia crescerebbe ancora, se vi mostrassi alcuni esempi di dissipazione, constatati nel vostro secolo. Prescindendo dal consumo della forza operaia e dei capitali, conseguenze dell’industria mal guidata e del continuo cavar sangue prodotto dalla guerra industriale, il vostro sistema subiva delle scosse periodiche, che abbattevano il saggio e l’imprudente, vittima dell’efficace mignatta.

Voi chiamavate tempi cattivi le crisi commerciali, che nello spazio di cinque a dieci anni atterravano gli affari, distruggevano le piccole intraprese, indebolendo le grandi; e durante le quali i capitalisti radunavano lentamente le loro forze e gli operai affamati facevano sciopero; poi veniva nuovamente un breve tempo di benessere al quale succedevano tosto altre crisi e annate di esaurimento.

Quando il commercio si estese e conseguentemente le nazioni si fecero indipendenti, queste crisi si allargarono nel mondo intero e l’ostinazione di questo stato crebbe in proporzione dell’area scossa, e della risultante penuria; quando poi l’industria mondiale si fece più complicata, e la grandezza del capitale diviso aumentò, divennero più frequenti quelle calamità commerciali, finchè nell’ultima parte del secolo decimonono si presentavano [p. 129 modifica]due annate cattivo per una buona, ed il sistema industriale, prima esteso, sembrava in pericolo di soggiacere al proprio peso.

Dopo discussioni infinite, gli economisti si accordarono nel dire ch’era tanto impossibile impedire o limitare quelle crisi, quanto volere mettere in freno il tempo asciutto o l’uragano; di modo che nulla v’era di meglio, che sopportarle come un male necessario, e una volta passate riedificare il sistema industriale, appunto come fanno gli abitanti delle contrade distrutte dai terremoti, che ergono le loro città allo stesso posto di prima.

Giudicando i motivi delle difficoltà dipendenti da questo vostro sistema, i vostri contemporanei avevano ragione; esse erano effetto dello stesso sistema, e diventavano peggiori, poichè crescevano gli affari e lo scompiglio. Una delle cause di ciò era il difetto di comune controllo ai diversi rami d’industria, e la derivante impossibilità d’un regolare sviluppo; per conseguenza era anche inevitabile ch’essi non essendo d’accordo producessero più del necessario.

In quanto alle provvisioni occorrenti, non c’era misura, e il primo segno che in qualsiasi ramo il bisogno era oltrepassato, si manifestava con un ribasso di prezzi, fallimenti di produttori, arrestarsi di produzioni, diminuzione di paga, e licenziamento di operai; questo modo d’agire era costantemente in uso in molti rami industriali, anche nei cosidetti tempi buoni; ma la crisi sorgeva appena si eccedeva nella fabbricazione.

I mercati allora venivano sopraccaricati di merci che nessuno voleva più del bisogno, e siccome il compenso e l’utile di coloro che le lavoravano, diminuiva o s’arrestava, così questi non comperavano altre merci, se non quelle ch’erano in abbondanza; ed in seguito a ciò, quelle che realmente non erano eccedenti, le si facevano abilmente sembrare crescenti, finchè anche i loro prezzi calavano, e i fabbricanti restavano senza lavoro, e perdevano i loro denari. Così progrediva la crisi che nulla poteva rattenere, ed i beni della nazione così si dissipavano.

Una delle cause dipendenti dal vostro sistema, cagione essa pure dell’inasprirsi della crisi, era la manipolazione in contanti e a credito; finchè la produzione si trovava nelle mani dei [p. 130 modifica]privati ed il comperare e il vendere erano per l’acquisto del necessario, il denaro era indispensabile; per cui il cambio di merci col denaro conduceva al sistema di credito con tutte le sue innumerevoli illusioni: il pubblico già avvezzo ad accettare denaro per merci, si appagava, primieramente con promesse di denaro. Il denaro era il contrassegno per le merci effettive; ma il credito era soltanto un contrassegno per un contrassegno; esisteva un limite naturale per l’oro e per l’argento, vale a dire per il vero denaro, ma non così per il credito, e ciò aveva per conseguenza che il circuito del credito, cioè delle promesse di denaro, perdeva tutte le determinabili proporzioni col denaro esistente e ancora più con le merci. Con un tale sistema dovevano avvenire crisi periodiche, per la stessa legge, che anche gli edifici crollano, inclinando al di là del centro di gravità.

L’emissione dei valori per parte del governo e delle banche autorizzate, era una finzione, mentre chiunque dava credito per un dollaro, emetteva denaro per questa valuta, buono, come qualunque altro, ed aumentava la circolazione fino alla prossima crisi.

Una caratteristica del secolo decimonono, è la grande estensione del sistema di credito e ciò spiega le quasi continue crisi in questo periodo; e non potevate dispensarvi dal credito per quanto pericoloso esso fosse, poichè non avendo un’organizzazione nazionale o pubblica pel capitale, quello serviva come unico mezzo di concentramento delle intraprese industriali; esso ingrandiva il pericolo del sistema di intraprese private, rendendo possibile l’isolamento di rami d’industria sproporzionatamente all’ammontare del loro capitale, che veniva assorbito andando incontro alle avversità.

Le intraprese commerciali erano continuamente in debito per sborsi di credito, ora fra loro, ora presso delle banche e dei capitalisti; ed al primo segnale d’una crisi, la rapida ritrazione di questo credito, influiva acceleratamente su di essa.

Era un’infelicità per i vostri contemporanei il dovere fabbricare le loro costruzioni commerciali, con un materiale, il quale, ad ogni istante, poteva scoppiare; come un uomo che per [p. 131 modifica]l’edificazione della sua casa, abbia adoperato la dinamite in luogo di calce; poichè il credito non può paragonarsi ad altro.

Se voi considerate l’inutilità di queste scosse del commercio, dipendenti esclusivamente dall’essere l’industria in mani private e non organizzata, riconoscerete l’equità del nostro sistema. La produzione eccessiva di certi articoli, che era uno spauracchio ai vostri tempi, non è possibile al giorno d’oggi, poichè mediante l’unione della divisione e produzione, la provvista dipende dalla richiesta, come la velocità d’una macchina a vapore dipende dal regolatore.

Ammettiamo che per errore nel calcolo o giudizio approssimativo, un oggetto sia in eccedente prodotto, per rallentamento o sospensione di produzione, nessun operaio rimarrebbe senza lavoro e senza impiego; per gli operai restati senza lavoro, si trova subito nei diversi altri compartimenti dei grandi laboratori, un’occupazione ed essi non perdono che il tempo pel cambiamento; in quanto a ciò che concerne l’agglomerazione delle merci, la nazione ha mezzo di ammucchiarne altrettante finchè la richiesta riprende il regolare cammino.

In un simile caso di produzione superflua, non avviene, come da voi, il disordine nel meccanismo; naturalmente che noi non avendo denaro, non abbiamo neppur credito; tutte le valutazioni si riferiscono direttamente a oggetti reali, come farina, ferro, legna, lana e lavoro, cose per le quali voi non avevate, in denaro o in credito, che un compenso illusorio.

Nei nostri calcoli di spese non può esservi alcun errore. L’ammontare necessario per il mantenimento del popolo è guadagnato dai prodotti annuali e serve al lavoro necessario per procurare tutto quello che occorrerà l’anno seguente. Il residuo di materiale e di lavoro presenta ciò che può essere impiegato senza pregiudizio dei miglioramenti. Se un raccolto è cattivo, la rimanenza per l’anno è minore del solito, ecco tutto; all’infuori delle minime conseguenze di tali naturali cause, non risulta nessun sconcerto negli affari; il benessere materiale della nazione prosegue il suo cammino di generazione in generazione, come un torrente che ingrossa e s’allarga gradatamente. [p. 132 modifica]

Le vostre crisi commerciali, signor West, come ogni altro sperpero da me accennato, basterebbero da sole a snervare, ma devo ancora parlare di un’altra causa energica della vostra povertà, ed è che lasciavate infruttoso gran parte del vostro capitale e della forza lavoratrice; da noi, per cura dell’amministrazione, ogni minima parte di essi vien conservata nel paese in continua attività.

Ai vostri tempi, invece, non v’era controllo generale, nè per il capitale, nè per il lavoro; una gran parte di essi rimaneva improduttiva.

Voi solevate dire che il capitalista è per natura ansioso, e difatti sarebbe stata una temerità, se in un tempo in cui predominava la possibilità di veder fallire ogni tentativo commerciale arrischiato, non fosse stato ansioso.

Non vi fu mai tempo in cui il capitale impiegato in industrie produttive colla sicurezza necessaria, non avrebbe potuto essere aumentato. Così, era costantemente sottomesso alle oscillazioni insolite, a seconda dello stato industriale più o meno solido; di modo che, il provento dell’industria nazionale subì molti cambiamenti in diversi anni; ma per lo stesso motivo che l’ammontare del capitale produttivo era molto più piccolo in tempi incerti, appunto per ciò una gran parte del capitale non veniva impiegato, perchè il pericolo negli affari era sempre grande; anche nei tempi migliori.

Bisogna pur osservare che il gran capitalista che cercava una sicurezza produttiva, eccitava la concorrenza fra gli altri, e l’infruttosità del capitale, conseguenza della sua ansiosità, dimostrava naturalmente una analoga inattività di forza lavoratrice; di più, ogni variazione nelle disposizioni commerciali, il minimo cambiamento nei rapporti di commercio, e di fabbricazione, derivanti dagli innumerevoli fallimenti, che si verificavano annualmente, anche nei migliori tempi, lasciavano una quantità di operai per settimane, mesi ed anni, senza lavoro; un gran numero di questi infelici cercanti lavoro, si aggiravano costantemente nel paese ed erano chiamati prima vagabondi di professione, poi malfattori. [p. 133 modifica]

«Dateci del lavoro» era il grido di quella schiera di oziosi e in tutti i tempi di tiepidezza di lavoro, la tranquillità del governo veniva minacciata da quegli esseri erranti, riuniti in masse disperate.

Può darsi prova più palpabile dell’incapacità del sistema delle intraprese private, quale metodo per arricchire la nazione, del fatto che, in un tempo di povertà così generale, i capitalisti dovevano strozzarsi l’un l’altro, per crearsi un’occasione sicura per l’impiego del loro capitale, e gli operai si rivoltavano, distruggevano e incendiavano, perchè non trovavano lavoro?

Insomma, signor West,» continuò il dottor Leete, «vi prego di non dimenticare che questi punti da me accennati indicano soltanto negativamente i vantaggi della nostra organizzazione, mentre dimostrano certi difetti e debolezze fatali del vostro sistema di intraprese private; questi punti soltanto basterebbero a provare perchè la nazione ora è molto più ricca che ai vostri tempi; con tutto ciò non ho però parlato dei nostri vantaggi, considerati dal lato positivo.

Sopposto che, il sistema delle intraprese private industriali, non avesse tutti quei difetti menzionati, non risulterebbe nessuna perdita riguardo la richiesta e l’impossibilità di acquistare una perspicacia generale sul campo dell’industria; supposto che la concorrenza non esercitasse nessuna influenza distruttiva, facendo rincarire le produzioni; supposto anche che nessuna perdita provenga dalle crisi commerciali, dai fallimenti e dalle lunghe sospensioni di affari, e nemmeno dall’infruttuosità del capitale e della forza lavoratrice; supposto ancora che tutti questi mali, i quali sono essenziali per la direzione dell’industria mediante capitali privati, potessero evitarsi, ed il sistema pure potesse essere conservato; anche allora i risultati ottenuti mediante il medesimo sistema di controllo nazionale, avranno la preponderanza sul sistema dei vostri tempi.

Voi possedevate alcuni grandi stabilimenti di manifatture di tessuti, ma non da paragonarsi coi nostri. Avrete certamente visitato le grandi fabbriche d’allora, le quali occupavano una vasta area e migliaia di mani, e sotto un controllo formato da [p. 134 modifica]cento processi, usciva da una balla di cotone greggio, una balla di magnifico percallo.

Avrete anche ammirato il grande risparmio di lavoro per la forza meccanica, ottenuto dal preciso ingranaggio di ogni ruota e di ogni mano; e avrete pensato, senza dubbio quanto meno lavoro produrrebbero quegli operai se lavorassero separatamente.

Credereste la mia un’esagerazione se dicessi che il prodotto di questi operai, che lavorano separatamente, fossero pure nei rapporti più amichevoli, aumenterebbe non solo della percentuale ma sarebbe moltiplicato, se il loro lavoro fosse organizzato sotto un controllo unico? Ebbene, signor West, l’organizzazione dell’industria della nazione sotto un solo controllo generale, per radunare tutti i processi in uno, ha innalzato al più alto punto il prodotto totale, ciò che poteva esser fatto col sistema antecedente, anche non curandoci delle quattro grandi perdite accennate, e cioè nella stessa proporzione che il prodotto di questi operai di fabbriche cresceva colla loro unione. La capacità di direzione della forza lavoratrice di una nazione, sotto la guida multipla del capitale privato, anche quando i capi non sono inimicati fra loro, paragonata a quanto può fare sotto un capo solo, può esser messa a confronto con l’abilità di direzione militare di una massa di popolo o di un’orda di selvaggi con cento duci, paragonata a quella di un’armata disciplinata sotto un solo generale, per esempio, quella immensa macchina di guerra, qual’era l’armata tedesca al tempo di Moltke».

«Dopo ciò che mi avete detto,» aggiunsi «non mi stupisce tanto meno che la nazione sia ora molto più ricca d’allora, quanto il non essere voi altrettanti Cresi.»

«Eppure,» soggiunse il dottor Leete, «noi siamo in buonissime condizioni finanziarie. Il modo con cui viviamo è tanto comodo, quanto lo possiamo desiderare.

Il desiderio delle apparenze esterne che ai vostri tempi conducevano alla dissipazione, senza offrire piacere, non può naturalmente trovar posto in una società di uomini le cui risorse sono assolutamente uguali, e la nostra ambizione è soddisfatta. Noi potremmo avere tutti una maggiore entrata, se volessimo [p. 135 modifica]impiegare il soprappiù delle nostre produzioni, ma lo spendiamo preferibilmente a scopo di divertimenti, ai quali tutti prendono parte; per sale pubbliche e teatri, gallerie artistiche, ponti, statue e comodità delle nostre città; per grandi rappresentazioni musicali e teatrali e per divertimenti popolari in vastissime proporzioni.

Voi non avete ancora una giusta idea del nostro modo di vivere, signor West; nelle nostre abitazioni abbiamo tutte le comodità, ma la magnificenza nella vita sociale, la dividiamo coi nostri concittadini; quando avrete veduto maggiormente, comprenderete dove va il nostro denaro, come usate dire, ed io penso che converrete che facciamo bene d’impiegarlo in questo modo.

Al ritorno della trattoria il dottor Leete osservò: «Suppongo che nessuna considerazione avrebbe maggiormente offeso la gente del vostro secolo, in cui tanto si adorava la ricchezza, quanto il dir loro che non sapevano far denaro. Ciò non pertanto, questo è il giudizio che la storia ha dato di essi; il vostro sistema dell’industria non organizzata, era economicamente stolto quanto moralmente aborrevole. L’egoismo era tutto quanto i vostri contemporanei conoscevano e, nella produzione industriale, l’egoismo è suicidio; la concorrenza, radice dell’egoismo è un’altra espressione per lo spreco delle forze, mentre nell’unione sta il segreto della produzione efficace e, soltanto quando il pensiero dell’aumento del tesoro personale, cede all’aumento della fortuna comune, può avverarsi l’unione industriale e cominciare realmente l’acquisto di ricchezze.

Quand’anche il principio della ripartizione uguale fra tutti gli uomini, non fosse la sola base umana e ragionevole della società, lo introdurremmo come spediente economico quando fossimo persuasi, che non è possibile una vera unione nell’industria, fintanto che non sia distrutta l’influenza malefica dell’egoismo.