L'arte della cucina, 1917/Istruzioni generali

Istruzioni generali

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Al lettore Cucina

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Istruzioni generali.


Obblighi del padrone di casa.

Quando si vuol dare un pranzo, si deve evitare di riunire persone che fra loro non si veggano di buon occhio, o che siano troppo disparate per condizione sociale, e per educazione: e nemmeno debbono invitarsi alla stessa mensa uomini di vedute opposte, e di natura facili ad accendersi, specie se trattasi di opinioni politiche; poichè, o li forzereste a serbare un contegno contrario al loro carattere, o, senza volerlo, sareste causa d’ire e di calorosi diverbi.

Fare aspettare lungamente i convitati dopo l’ora fissata per il pranzo, perchè non è giunta l’una o l’altra persona, è offendere gli astanti in onore degli assenti, i quali dal canto loro potrebbero esser trattenuti da motivi urgenti. La dilazione al pranzo sarebbe tuttavia scusabile ove si trattasse di fare onorevole accoglienza a distinti viaggiatori, aspettati in quel dato giorno, senza però conoscere con precisione l’ora del loro arrivo, giacchè in tal caso gl’invitati sarebbero già avvisati del probabile ritardo.

Nel destinare i posti ai convitati, procurerete, con delicato accorgimento, che le signore siano frammiste ai signori, onde nessuno possa credersi negletto, o meno favorito.

Non mettete mai in soggezione i commensali facendo pompa di un lusso esorbitante; e neppure deludetene l’aspettazione con un’eccessiva parsimonia, che potrebbe passare per gretteria.

Eccettuato il caso di persone alquanto timide, che vogliono essere incoraggiate a mangiare e bere, con qualche facezia, il padrone non devo insistere perchè i convitati mangino o bevano più di quello che il loro stomaco comporta, nè dar segno di accorgersi dell’altrui disappetenza, so non alla sfuggita, e appena per dimostrare che egli è più premuroso degli [p. 8 modifica]altri che di sè stesso. Ma non dovrà mai lodare le vivande ed i vini serviti alla sua mensa, nemmeno allo scopo d’incoraggiare chi non vuole o non può assaggiarne.

Sarebbe poi somma scortesia lasciarsi vincere dalla collera contro le persone di servizio alla presenza dei convitati, giacchè questi ne proverebbero tanto maggior dispiacere, inquantochè considererebbero sè stessi come occasione di quell’ira e della mortificazione dei servi.

Procuri finalmente il padrone di casa che, durante, come pure prima e dopo il pranzo, la conversazione si mantenga fra i commensali vivace, piacevole, ma scevra di parole pungenti e maligne che possano in qualche modo offendere l’altrui suscettibilità.

Doveri dei commensali.

Non accettate con avidità tutti i pranzi che vi vengono offerti, se non volete esporvi a guadagnare la taccia di parassita; ma il vostro rifiuto sia fatto in forma cortese. Se accettate, adattatevi agli usi della casa presso la quale siete invitato, e non vi dimostrate scontento se i riguardi che vi vengono usati non corrispondono alla vostra aspettazione: anzi, qualunque sia il vostro ceto, evitate di scegliervi alla mensa un posto distinto, se questo non vi viene da altri assegnato; poichè altrimenti dimostrereste di essere orgoglioso, e ne sareste censurato.

Sarebbe atto sconveniente lo spiegare il tovagliuolo o incominciare a mangiare prima che il padrone di casa ne abbia dato l’esempio.

Accetterete poi con buona grazia, e senza smorfie, quelle vivande che vi vengono presentate, pur riserbandovi il diritto di mangiarne solo quanto vi abbisogna, non quanto vi è dato: giacchè nessuno può obbligarvi a prendere una indigestione.

Se dal padrone, o da chi fa gli onori di casa, vi viene direttamente presentato qualche cibo, o bevanda, vi guarderete dal passarlo ad altro convitato, poichè con ciò fareste tacito rimprovero di mancata convenienza a chi volle usarvi cortesia.

Prendete in una sol volta quanto vi aggrada, e non a più riprese, nè dimostrate particolare predilezione per una vivanda piuttosto che per un’altra. Non censurate le vivande che non vi vanno a genio, oppure se non fossero ben fatte per qualche sbaglio successo per sbadataggine del cuoco; non magnificate nemmeno i pranzi che vi furono dati in altre case, poichè il confronto sarebbe offensivo pel padrone.

Quanto sopra riguarda più specialmente i doveri morali: ma esistono anche dei doveri fisici o naturali, di cui darò qualche cenno:

1.° Si pieghi pochissimo il capo sulle vivande, e quando si debbono portare alla bocca cose liquide, non si faccia sentire l’aspirazione rumorosa.

2.° Tossire, sputare, pulirsi il naso, il meno che sia possibile. Mai fiutar tabacco, almeno finchè si è seduti a mensa.

3.° Il pane deve essere spezzato colle mani, o col coltello se è pane casalingo, non già coi denti; egualmente nessuna vivanda devesi toccare tranne che col coltello, o con la forchetta. [p. 9 modifica]

4.° Evitare di annusar le vivande, o soffiarvi sopra quando son troppo calde.

5.° Si mangi a labbra chiuse, masticando senza rumore; e non si facciano dei bocconi troppo grossi che gonfino le gote. Anche il portare un osso alla bocca per rosicchiarne la poca carne che vi può essere attaccata, o succhiarne il midollo, è cosa molto volgare.

6.° Ritirando qualche cosa dalla bocca, non si lasci cadere dall’alto: ma, ricevuta con destrezza sulla punta della forchetta, oppure in mano, si metta da una parte sul proprio piatto.

7.° Si procuri di non imbrattare in alcun modo la tovaglia, e molto meno pulirvisi le dita.

8.° Lo stuzzicarsi e pulirsi i denti è cosa troppo familiare; quindi si eviterà di farlo alla presenza di persone di non troppa confidenza, e qualora non se ne possa fare a meno, si copra con la mano libera l’altra mano che compie tale faccenda.

9.° Guardatevi dall’offrire agli altri commensali ciò che fu sul vostro piatto, anche se non toccato.

10.° In quanto poi al bevere, devesi aver cura di non riempire mai troppo il bicchiere, e non tracannare il vino in un sol fiato: si beverà lentamente, ma non a lungo, evitando pure di sorseggiare a centellini, facendo schioccare la lingua in bocca.

11.° Non vi alzate da tavola prima che il padrone di casa ne dia l’esempio.

12.° Se volete lasciare la mancia al cameriere, la qual cosa non è reputata come un fior d’eleganza, cercate però di farlo non in presenza del padrone di casa.

Imbandigione della mensa.

L’apparecchio della tavola, soprattutto quando si hanno a pranzo persone estranee e di qualche riguardo, non è cosa da trascurarsi. In primo luogo, volendo dare un pranzo, bisogna calcolare il numero dei commensali, scegliere una tavola sufficientemente grande perchè tutti vi possano stare senza darsi impaccio, e procurare che la sala sia vasta e bene arieggiata. Conviene poi che le stoviglie, le posate, i bicchieri, la biancheria, tuttociò insomma che deve servire per l’apparecchio, sia lindo e pulitissimo, e inoltre, che tutte queste suppellettili siano nella loro specie di una medesima forma e di uno stesso modello.

La figura incisa nella pagina seguente, può dare abbastanza una idea esatta del modo simmetrico ed ordinato con cui s’imbandiscono le mense: tuttavia il buon gusto, ed una certa pratica, guideranno ancor meglio.

Del resto, anche l’apparecchio della tavola segue la moda, e oggidì non si disprezza la semplicità, adottata specialmente dai forestieri, con cui si dispone sulla tovaglia i soli piatti con le posate e i bicchieri, accanto a ciascuno dei quali viene posto un elegante vasetto di cristallo colorato, di forma slanciata, che sopporta un ciuffo di fiori, fra i quali spesso si nasconde una lampadina di luce elettrica che fa un effetto stupendo. I vasettini per ogni singolo convitato potrebbero inveco essere suppliti da un centro di tavola di fiori fini, in forma di cuscino o di paniera. [p. 10 modifica]

In ogni modo non devesi trascurare di preparare nella sala da pranzo una tavola più piccola, oppure un altro mobile, possibilmente a palchetti, su cui siano preparati: i piatti e le posate da cambiarsi successivamente, i vini di lusso, e tutto quanto dovrà poi servire per l’ultima portata, o dessert.

Mensa imbandita per 24 persone.

N. B. — Colla norma di questa si possono imbandire anche altre mense per un numero maggiore o minore di convitati, purchè si avverta di adoperare tavole proporzionate alla quantità dei piatti che si vogliono disporre. Nei pranzi di lusso la tavola dev’esser foggiata a T, oppure a ferro di cavallo.

Spiegazione della Figura.

A. Gran vaso elegante con fiori, nel mezzo della tavola.

B. Quattro candelabri a branche, portanti ciascuno almeno 6, o 8 candele.

C. Due pasticci, o croccanti, in forme elevate ed a guisa di trofei.

D. Quattro vassoi disposti con gusto, contenenti dolci diversi, o pasticceria minuta.

E. Due grandi piatti con frutta fresche, accomodate in bell’ordine.

F. Due compostiere con frutta sciroppate, o marmellate, o creme.

G. Due vassoi con gelatine dolci.

H. Due piatti con formaggio di diverse specie.

I. Otto piattini con principî di tavola, come: crostini, ostriche, burro, caviale, sardine di Nantes, prosciutto, salumi di varie specie, legumi verdi sottaceto, funghi sott’olio, olive conciate, ecc.

L. Due zuppiere all’estremità opposte della tavola, contenenti la zuppa, o minestra da servirsi al momento. Nel posto di queste vengono successivamente collocate le vivande che si debbono man mano servire, cioè: i lessi, i fritti, gli umidi, gli arrosti, ecc., quando queste siano da scalcarsi in tavola per far passare poi i piatti in giro ai commensali.

All’intorno della tavola sono disposti, ad eguali distanze, i piatti con le rispettive posate e tovagliuolo. Le posate debbono stare così: il cucchiaio orizzontale davanti al piatto; la forchetta a sinistra, il coltello a [p. 11 modifica]destra; dinanzi ad ogni piatto tre bicchieri di varia forma: uno pel vino comune, gli altri due per i vini scelti da servirsi alle frutta. A portata del braccio, e fra un piatto e l’altro, sono alternate le bottiglie di cristallo dell’acqua e del vino da pasteggiare. Infine, le salsiere, i portastecchini, le saliere e quanto altro può occorrere al servizio della mensa, vien collocato simmetricamente ed in modo che ogni convitato possa con facilità arrivarci.

Sarà cura di chi tiene la guardaroba di far piegare i tovagliuoli nel miglior modo elegante, molte essendo le fogge delle loro piegature.

Servizio della tavola.

Il servizio della mensa deve essere affidato a persone capaci, pulite, rispettose, pronte ad offrire con garbo le pietanze, cambiare i piatti e le posate; debbono inoltre stare attente a tuttociò che può occorrere, o che è desiderato dai convitati. Sarebbe atto incivile e riprovevole, in coloro che servono ad una tavola, presentarsi masticando, o farsi vedere in qualche modo mangiare.

Generalmente le pietanze vengono servite in due piatti, massime quando i commensali son molti, e si fanno passare uno per la destra e l’altro per la sinistra, onde il giro della tavola si compia più presto. I camerieri addetti a questo servizio, passando dietro le spalle dei commensali, presentano loro il piatto dal lato sinistro, affinchè ognuno possa con maggior comodo servirsi colla mano destra. A tal uopo è necessario lasciar sempre sul piatto una forchetta, e anche un cucchiaio, per le pietanze molli e condite con salse ed intingoli.

Nei pranzi familiari e nelle brigate di amici le pietanze si passano successivamente fra gli stessi commensali, pur serbando la regola di far girare un piatto a destra e l’altro a sinistra ad ogni portata.

Le Minestre in brodo si porgono già scodellate, servendo prima le signore, poi gli ospiti più distinti.

Le Paste asciutte e Risotto si servono tenendo nella mano destra il romaiuolo e nella sinistra una forchetta colla quale si sostengono e si accompagnano nei piatti le paste lunghe.

I Principî di tavola, chiamati anche Antipasti, e che consistono generalmente in carni salate affettate sottilmente, caviale, burro, acciughe, ostriche, crostini, ecc., si servono subito dopo la minestra.

I Fritti bisogna aver cura di servirli molto caldi, e aggiungere intorno al vassoio alcuni spicchi di limone ben tagliato di cui si serviranno coloro che lo gradiscono.

I Lessi si servono guarniti di verdure, e vengono accompagnati anche con qualche salsa, senapa, peperoni o mostarda a parte.

I Tramessi, che sono pietanze delicate e minute, con intingoli o salse piccanti, si servono dopo i lessi, ed occorre il cucchiaio e la forchetta por servirli.

Anche gli Umidi si servono con forchetta e cucchiaio.

La Pasticceria di Cucina avendo un involucro, o corteccia, devo essere tagliata a fette dalla persona che porge il vassoio a mano a mano che lo presenta a ciascun convitato. Così, presentando la vivanda con [p. 12 modifica]la mano sinistra, gli sarà facile eseguirne il taglio con la destra, a seconda della volontà di chi deve essere servito.

Gli Arrosti si sogliono servire unitamente a qualche insalata, semplice o composta.

I Rifreddi si guarniscono con le gelatine e si servono con cucchiaio e forchetta.

La Torta ed i Pasticci dolci, che sono di solito ripieni di creme o di conserve, si servono prima delle frutta.

Quindi, sgombrata dai servi la mensa, e pulita con apposite spazzole la tovaglia, viene disposto sulla medesima il necessario per l’ultima portata, che la moda suol chiamare in lingua francese dessert. Le frutta fresche e secche, i formaggi esteri, le conserve dolci, la panna montata che deve essere servita con cialdoni, lo zabaione in tazze, i gelati e simili ghiottonerie, variate con accorgimento, compongono quest’ultima portata, dopo la quale viene servito, talvolta in un salotto attiguo, il caffè.

Per il servizio dei Vini non vi è regola, poiché taluni preferiscono pasteggiare con vini nostrali, riserbandosi all’arrosto ed al dessert di far uso dei vini di lusso: mentre altri danno addirittura il bando ai vini comuni del paese, per sfoggiare esclusivamente in vini esteri, di gran prezzo bensì, ma non sempre da preporsi ai vini italiani, in specie a quelli di certe località della nostra bella patria. Tuttavia una cosa è certa: per molti la ricchezza di un convito si desume dalla varietà dei vini che ne sono l’ornamento, allo stesso modo che la bontà nel pranzo si giudica dalla squisitezza delle vivande sapientemente preparate.

In generale però, volendo seguire un certo ordine anche nel servizio dei vini, si potranno far recare dopo la minestra, quelli bianchi asciutti, come: il Madera, il Lacrimacristi, il Capri, il Sauterne, il Xères, ecc.; colle prime pietanze si faranno servire i vini rossi, sia nostrali che esteri, per esempio: il Montepulciano, Chianti, Barbèra, Barolo, Grignolino, Nebbiolo, Bordò-Lafìtte, quelli di Medoc, lo Chàteau-Margauz, ecc.; all’arrosto: Sciampagna spumante, Sillery, i vini d’Orvieto, di Siracusa, dell’isola d’Ischia e di Calabria, il Falerno, ed altri vini bianchi; al dessert i vini dolci o quelli liquorosi, e perciò i Moscati di Lunel e di Frontignano, l’Alicante, le Malvasie, il Malaga, il Tokay, il Vin Santo, il Marsala, e tanti altri che sarebbe lungo il nominare; e finalmente — dopo il caffè — si serviranno i liquori propriamente detti, ma scegliendo fra quei più fini, cioè: il Curaçau, l’Alkermes, il Kirsch-wasser, il Maraschino di Zara, non che i Rosoli prelibati. Quest’ultimi si potranno servire anche con la pasticceria minuta.

Modo di tagliare con garbo le vivande.

Se il cameriere deve compiere questa faccenda, deve farlo stando in piedi dinanzi ad un tavolino preparato espressamente a parte nella sala stessa dov’è imbandita la mensa.

Prima di tutto per tagliare bene le carni si adopera un trinciante affilato, che s’impugna colla destra, mentre colla mano sinistra, e per mezzo di apposito forchettone, si tiene fermo sul piatto il pezzo grosso. [p. 13 modifica]Generalmente, qualunque carne da macello non devesi affettare pel verso delle sue fibre, ma sibbene trasversalmente a queste. Occorre non far pezzi troppo grossi, poichè ognuno possa servirsi a piacere, senza incomodarsi a dimezzarli.

Ora indicherò il modo di procedere per trinciar bene le diverse specie di carni e le altre vivande.

Manzo. — La coscia ed il culaccio si affettano attraverso, dopo aver diviso in mezzo, nel verso delle fibre, il pezzo della carne, se fosse troppo grosso. La spalla e il petto si tagliano a pezzi come meglio si può, evitando di far porzioni esclusivamente colle parti grasse, le quali devonsi lasciare attaccate al magro, La carne della schiena si separa prima degli ossi delle coste, poscia si taglia a fette trasversali. Il filetto è la parte migliore. La lingua si taglia in mezzo per traverso, e si affetta poi per il lungo.

Vitello. — La lombata e il filetto si tagliano a fette. La testa si divide in pezzi piuttosto piccoli, evitando gli ossi, se già non fu disossata prima di servirla in tavola, come generalmente è uso. Per ogni altro lesso si opera come pel manzo.

Capriuolo e Daino. — Quel che si è detto pel vitello vale anche per la carne di questi due animali selvatici, dei quali però non si cuoce la testa.

Montone e Castrato. — La coscia, l’arrosto nella lombata e il filetto, sono i migliori pezzi di questi animali, e la carne della groppa vicino alla coda è il boccone più delicato. In generale la parte polputa si taglia a fette trasversali, e la carne aderente agli ossi si trincia a pezzi come meglio torna.

Capretto e Agnello. — Per l’arrosto di capretto o d’agnello — che si fa pel solito con i quarti posteriori, perchè più adattati e più gustosi — si separano le costolette passando col trinciante fra gl’interstizi degli ossi; indi si tagliano a pezzi la coscia e la groppa. Preparati in altre maniere, questi animali vengono spezzati prima di cucinarli, e perciò non hanno bisogno di essere tagliati in tavola.

Maiale. — La testa, che viene per lo più servita come rifreddo, o tramesso, si comincia a tagliare dalle orecchie giù giù verso la bocca. L'arista si affetta nella direzione delle coste, lasciando queste attaccato alla carne. La coscia si taglia in traverso a fette sottili, in modo che la parte grassa rimanga sempre unita alla parte magra.

Porcellino di latte. — Incominciasi a spiccargli la testa, che si divide poscia pel mezzo, dopo averne tagliati via gli orecchi. Indi si prosegue a trinciare staccando le zampe anteriori colle spalle, poi le cosce; il tronco si divide nel mezzo della schiena; infine si taglia il tutto in pezzi di giusta grossezza.

Cinghiale. — Ciò che si è detto pel montone e castrato vale anche per il cinghiale. Del resto le vivande preparate colla carne di questo animale sono quasi sempre divise prima di esser cotte.

Lepre e Coniglio. — Si comincia a tagliarli dal collo venendo giù per la schiena sino alla parte posteriore, e se ne fanno dei pezzi non troppo grossi. Per lo lepri grosse si procede come pel capretto.

Pollame e Selvaggina volatile. — Lo parti migliori del pollame, e quindi le più convenienti ad esser servite, sono le ali, il petto e le [p. 14 modifica]coscie. Nei pranzi di lusso le carcasse si fanno portar via su di un piatto a parte, giacchè non si usa servirle. Si stacca dunque prima un’ala ed una coscia dallo stesso lato, tenendo fermo il pollo col forchettone di cui è armata la mano sinistra, e tagliando col trinciante le giunture degli ossi; poi si fa la medesima operazione dal lato opposto, avvertendo di tagliare insieme a ciascun’ala anche il corrispondente mezzo petto; e poscia suddivise sì le ali che le cosce, si fa passare il piatto ai commensali. Se si vuol servire anche la carcassa, questa si taglia traversalmente in due o tre pezzi, secondo la grossezza del pollo. L’estremità della schiena con la rispettiva coda è un boccone eccellente. Il piccione, quando è grosso, si può tagliare come il pollo; quando è piccolo si taglia semplicemente in mezzo, lungo la schiena, od anche in quattro parti suddividendo in traverso le due metà. I fagiani, le pernici, le beccacce si tagliano pure come i polli. I bocconi migliori del fagiano sono il petto e le cosce, e della beccaccia le coscie e le interiora (budella) delle quali si fanno degli eccellenti crostini di pane.

Pesce. — I pesci grossi, di polpa tenera, siano lessi, in umido, oppure arrosto, non si taglian mai col coltello, ma si suddividono servendosi di un cucchiaio, facendo quindi passare il piatto ai convitati, lasciandovi sopra un cucchiaio ed una forchetta.

Pasticci e Torte. — Quando i pasticci hanno l’involucro o corteccia di pasta, devonsi tagliare a spicchi, partendo dal centro verso la periferia, facendoli poi servire accompagnati con un cucchiaio, onde se ne possa prendere il ripieno che è quasi sempre molle. Alle torte, se sono di diametro molto grande, si taglierà prima un tondo nel centro, affinchè gli spicchi non riescano troppo lunghi.

Gelatine. — Si dividono e si servono semplicemente col cucchiaio, non occorrendo per esse il coltello.

Conservazione delle sostanze alimentari.

Carne. — Solamente nei mercati delle grandi città, dove si trovano le celle frigorifere, le carni macellate possono essere mantenute fresche per moltissimo tempo e senza alcuna preparazione. Ma trattandosi di conservarle per otto o dieci giorni in casa propria, l’unico mezzo che possa mettersi in pratica con sicurezza è quello di garantirle dal contatto dell’aria, dall’umidità e dal calore. Si giunge a questo involgendo la carne strettamente in un pezzo di tela bianca, e mettendola poi in un vaso di terra ben pulito; si copre con un testo e si colloca in una cantina asciutta, sotto un mucchio di sabbia ben secca. Si avverta che il pezzo della carne deve riempire completamente il vaso, in modo che non vi restino interstizi; e perciò vi si pigierà a forza, sovrapponendovi poi il testo, o coperchio, il quale si stuccherà all’intorno con gesso, affinchè non penetri aria. Questo metodo vale per le carni grosse: mentre il pollame, gli uccelli, le lepri, gli agnelli, ecc., non presentano compattezza sufficiente per escluderne l’aria, la quale si trova sempre nel loro interno.

Uova. — Le uova che si vogliono conservare devono essere scelte freschissime, quindi si mettono in una rete di filo, od in una specie di [p. 15 modifica]paniere di fil di ferro; s’immergono così nell’acqua bollente contenuta in una caldaia, e dopo che hanno bollito un minuto (stando coll’ orologio alla mano) si ritirano, si fanno sgocciolare, si asciugano, e, freddate che siano, si ripongono in luogo fresco ed asciutto, chiuse in qualche vaso di vetro o di terraglia. Mediante tal leggiera cottura, uno strato di albumina si coagula internamente e aderisce ai guscio dell’uovo, i cui pori, in tal modo otturati, non lasciano penetrar l’aria ed impediscono l’evaporazione. Queste uova, che rimangono buone ai diversi usi della cucina, possono essere adoprate anche dopo parecchi mesi Latte — Per conservare al latte tutte le sue buone qualità bisogna metterlo in un recipiente, tenerlo immerso nell’acqua fresca, e coprirlo con una tela mantenuta sempre bagnata. In tal modo si può conservarlo facilmente per venti quattr’ore

Burro. — Il miglior modo di conservare il burro fresco per alquanti giorni è quello di lavarlo a più acque onde toglierne completamente il sierro-latteo che ancora può contenere, perchè questo lo farebbe divenir rancido; indi, quando l’acqua della lavatura riman limpida, si ritira il burro, si fa sgocciolare e si mette in un vaso di terraglia, comprimendovelo in modo che non vi resti aria interposta. Finalmente si finisce di riempire il vaso con acqua, e si mette in luogo fresco, avendo cura di rinnovar l’acqua tutti ì giorni. Si può conservare in tal guisa perfettamente anco per due o tre settimane. Altro sistema è quello di tenere il burro — dopo averlo ben bene lavato — avviluppato in un pannolino, che si deve mantener sempre bagnato d’acqua fredda: giacchè tale umidità, oltre al mantener più fresco il burro mediante l’evaporazione a cui dà continuamente luogo, rende più compatto il tessuto del pannolino stesso, e garantisce così il burro dal contatto dell’aria. Tuttavia, dovendosi conservare il burro per più lungo tempo, converrà struggerlo a bagno-maria, salarlo, e colarlo poi in adatti recipienti, da chiudersi ermeticamente non appena il burro sia raffreddato.

Erbe aromatiche. — Il basilico, la salvia, la menta, la maggiorana, il ramerino, e simili piante aromatiche che si vogliono conservare per i bisogni della cucina, si fanno seccare al sole, disposte sopra graticci; ed allorché sono ben seccate, si tengono appese a mazzetti in luogo asciutto e ventilato.

Legumi e ortaggi diversi. — I cavoli, e specialmente quelli detti cappucci, si posson conservare per alcuni giorni tenendoli sepolti nella sabbia in luogo fresco ed asciuttissimo. I cocomeri, le zucche, i cetriuoli si conservano lasciandoli un giorno, dopo tolti dalla pianta, esposti ad un sole cocente, e disponendoli poi sopra delle tavole in una stanza ventilata, in guisa che non si tocchino fra loro. I poponi si colgono prima che siano completamente maturi, unitamente al ramo ed alle foglio loro, e quindi si sospendono a cordicelle in luogo riparato — così il ramo alimenta il frutto por qualche tempo. Anche tenendoli nella sabbia si possono conservare per alcune settimane.

Funghi. — Scegliete funghi giovani, dei più sodi e più sani, di mezzana grandezza e che non siano molli. I morecci, detti anche porcini, sono i più adatti. Raschiatone il gambo e togliete loro accuratamente la terra e lo parti bacate, so ve ne sono, senza però lavarli; quindi [p. 16 modifica]tagliateli a pezzi grossi, poiché, seccando, scemano molto, e teneteli esposti al sole per tre giorni sopra un graticcio. Poi infilateli e teneteli in luogo ventilato; poscia di nuovo al sole finché non saranno completamente seccati. Allora metteteli dentro un sacchetto di carta, e teneteli in un luogo asciutto acciocché non ammuffiscono. Prima di servirvene, metteteli un poco in molle nell’acqua calda.

Tartufi. — I tartufi che si vogliono conservare per qualche tempo, debbono essere scelti sanissimi ed asciutti. Ecco come si procede: provvedetevi di una cassetta di legno con coperchio, e di sufficiente quantità di sabbia finissima, e cominciate collo stendere sul fondo della vostra cassetta uno strato di sabbia di tre o quattro centimetri, e su questo disponete tanti tartufi quanti ve ne possono stare, tenendoli però discosti gli uni dagli altri, affinchè non si tocchino fra loro; poi copriteli con un altro strato di sabbia; accomodatevi altri tartufi come prima, e continuate così sino a che abbiate riempita totalmente la cassa, avvertendo di terminare l'operazione con uno strato di sabbia. Da ultimo, sovrapponetevi il coperchio, inchiodatelo, ingessatene le commessure, onde l’aria non vi possa penetrare, e finalmente collocate la cassetta in luogo fresco e molto asciutto. I tartufi bianchi del Piemonte e del Bolognese, possono, in tal modo, conservarsi per due o tre mesi; quelli neri di Norcia per maggior tempo.

Istruzione sulla maniera di fare il pane.

In Italia l’uso di fare il pane in casa è molto esteso, specialmente in alcune provincie; perciò voglio dar qui alcune norme sul modo di fare da sé questo alimento che è il più necessario.

Nozioni sulle farine. — Il frumento, generalmente, si conserva meglio della farina; quindi non se ne deve far macinare che una quantità proporzionata al consumo di un mese, o poco più. Una buona farina di frumento dev’essere molle al tatto, di un bianco leggermente giallognolo, aderente al dito quando vi si immerge, e deve rimanere come in pallottoline, senza polverizzarsi immediatamente se viene compressa in quantità nel palmo della mano. Quella di seconda qualità è meno bianca, e cade in polvere comprimendola fra le dita. Quando ha un colore troppo giallo e vi si vedono dei puntolini grigi, è senza dubbio d’infima qualità. Nei paesi dove il frumento non costa troppo, le famiglie non si servono che di esso per fare il pane: ma più spesso questo vien fatto mescolando insieme le farine di frumento e di segale. Un tal miscuglio, pure facendo riuscire più compatto e meno bianco il pane, lo rende di un sapore più gradevole per molte persone, e lo mantiene più lungamente fresco, senza fargli perder nulla delle sue proprietà nutritive. Però la farina di segale deve esser sempre di recente macinatura; il che si riconosce facilmente per l’odore che ha quasi analogo a quello della mammoletta, odore che perde invecchiando.

Del lievito. — Il lievito, o fermento, è un pezzo di pasta serbata dalla precedente panificazione, e composta colle raschiature della madia che vengono impastate con un poco d’acqua fresca ed una piccola [p. 17 modifica]quantità di farina, in guisa da ottenerne un insieme alquanto duro ed uniforme. Così preparato, il lievito vien conservato in un angolo della madia stessa, coperto da poca farina, od anche in un vaso di terraglia, dopo averlo avvolto in un pannolino, sino al momento di doversene servire. Il giorno precedente a quello in cui si deve cuocere il pane, si ammucchia da una parte della madia la quantità di farina abburattata che si vuole panificare; poi si toglie al lievito la crosta che vi s’è formata, e si depone il rimanente in un buco fatto apposta nel mezzo della stessa farina; allora, con acqua, tanto più calda quanto più fredda sia la stagione, s’intride e s’impasta col lievito una porzione della farina che lo circonda, nella proporzione di un terzo della totalità nell’estate, e della metà nell’inverno; indi si lascia il tutto in riposo. Quando la stagione è fredda, la fermentazione si aiuta coprendo la detta pasta con un pannolano, il quale si può, all’uopo, prima scaldare. Nella stagione calda, invece, convien rallentare tale fermentazione lasciando scoperta la pasta in luogo fresco.

La quantità di lievito che occorre per la panificazione, non si può determinare con precisione, variando a seconda delle farine e della temperatura: ma pel solito se ne adopera da 10 a 20 grammi per ogni chilogrammo di farina che si vuole impastare. Acciocché la prima porzione di pasta che si sarà formata col lievito e con parte della farina — come abbiam detto sopra — giunga al grado voluto di fermentazione, occorrono nell’estate 4 o 5 ore, e da 8 a 12 nell’inverno. Questa pasta, così lievitata, raddoppia quasi di volume, prendendo una forma gonfia e rotondeggiante; essa manda un odore vinoso gradevole, diviene elastica, e se si getta un pezzetto di essa nell’acqua, resta a galla.

Dell’impasto. — Venuto il momento d’impastare il rimanente della farina già preparata, si comincia a fare sciogliere del sale in poca acqua tiepida — da 5 a 10 grammi di sale per ogni chilog. di pasta — e con quella si stempera il lievito, aggiungendo poi a poco a poco altr’acqua, e nello stesso tempo incorporandovi successivamente tutta la farina, coll’ avvertenza di non formar grumi. Ottenuta così una pasta di giusta consistenza, questa viene ben bene manipolata e battuta col pugno delle mani; quindi, distesala sul fondo della madia, la si ripiega su sè stessa, e così di seguito per 25 o 30 minuti in modo che tutta quanta riesca assimilata ed uniforme. L’impasto non dev’essere nè lento, nè precipitato, ma l’operazione deve eseguirsi regolarmente e senza interruzione.

Compiuto l’impasto, se la stagione è fredda, si lascia riposare per una mezz’ora la pasta sopra di una tavola in luogo dove siavi una temperatura mite; nella stagione calda, invece, si procede alla divisione della pasta stessa per formarne i pani del peso che sarà determinato, osservando che un pane che sorpassi i 3 chilog. difficilmente riceverà conveniente cottura. Qualunque poi sia la forma che si vuol dare ai pani, cioè tonda, allungata, quadrata o a ciambella, s’incomincerà sempre col ridurre i pezzi della pasta a guisa di pallottole, alle quali poi si darà la forma desiderata, maneggiandolo opportunatamente, o spargendo sulla loro superficie un poco di farina.

Fatti i pani, si mettono successivamente sopra di un’asse, o dentro appositi panieri, guarniti di grossa tela, dove si lasciano por qualche poco [p. 18 modifica]esposti all’aria se d’estate, od in vicinanza del forno se d’inverno, tenendoli coperti con tela, o pannolano, e ciò perchè la pasta abbia tempo di lievitare sufficientemente prima della cottura. La sola esperienza insegna a conoscere il momento in cui il pane può esser messo in forno.

Vogliamo poi avvertire che quando il pane sia composto di farina di frumento e farina di segale, non si devono impastare insieme queste due farine, ma sibbene si comincerà dall’incorporare il lievito colla farina di frumento, e poscia s’impasterà quella di segale coli’ acqua salata, unendo per ultimo e manipolando insieme i due impasti.

Quando si pesa la pasta, prima di formarne i pani, devesi aver presente che la cottura fa evaporare una parte notevole d’umidità, e che questa evaporazione riduce di un decimo i pani di 3 chilog., di un ottavo quelli di 2 chilog., e di circa un settimo quelli di minor peso: giacché più la massa della pasta è voluminosa, meno umidità ne evapora e quindi minor perdita si ha nel peso.

Cottura del pane. — Il forno dev’essere già caldo al momento opportuno, e perciò si comincia a riscaldarlo non appena si sono formati i pani e intanto che si attende che questi abbiano sufficientemente lievitato: giacché in ogni caso sarà meglio — come dicono le buone massaie — che il forno aspetti la pasta, anziché questa abbia ad aspettare il forno.

Non si dovrà adoprare che legna ben secca, la quale produca una fiamma limpida senza mandar fumo, o ne mandi ben poco; e le fascine si faranno ardere successivamente ad una per volta su vari punti del forno, acciocché questo si scaldi tutto in modo uniforme. A mano a mano poi che si sarà bruciata una fascina, se ne ritirerà coll’ attizzatoio la brace ardente verso la bocca del forno, disponendola ammucchiata a’ due lati. Basta far l’esperienza una o due volte per conoscer la quantità di legna che può occorrere per scaldare convenientemente il forno.

Per infornare, si collocano sulla pala — già spolverizzata di farina — quanti pani vi possono stare, od anche uno solo per volta quando siano grossi, e dopo averne rapidamente colla mano ricomposta la forma, si accompagnano nell’interno del forno, lasciandoveli scivolare e ritirando prontamente la pala stessa. Fatto ciò per tutti i pani, chiudesi la bocca del forno, riaprendola circa un quarto d’ora dopo onde vigilare alla loro cottura e rimuovere quei pani che avessero bisogno di esser cambiati di posto.

Mezz’ora o tre quarti d’ora bastano, ordinariamente, per la cottura dei pani di piccole dimensioni, o fatti di pasta più leggiera: mentre quelli molto grossi, o di pasta alquanto soda, hanno bisogno di rimanere in forno circa un’ora e mezzo. In generale poi, il pane riesce meglio ove sia cotto lentamente ed a moderato calore; giacché quando il forno è troppo caldo, la corteccia divien presto colorita, mentre nell’interno la pasta rimane quasi cruda.

Non bisogna mai riporre in luogo chiuso il pane finché è caldo, perchè prenderebbe facilmente cattivo sapore, od anche potrebbe ammuffire, quando si dovesse serbarlo per parecchi giorni. Perciò si avrà cura, dopo che è stato ritirato dal forno, di esporlo all’aria libera sopra una tavola, lasciandovelo sino a che siasi completamente freddato.