Jolanda, la figlia del Corsaro Nero/CAPITOLO VENTINOVESIMO

Un'impresa pericolosa

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CAPITOLO VENTINOVESIMO

Un’impresa pericolosa


Dopo tante disgraziate vicende, la fortuna aveva finalmente arriso a quel pugno di valorosi.

La nave, che con tanta astuzia ed audacia avevano conquistata e senza subire perdita alcuna, non valeva certo la fregata che li aveva affrontati dinanzi al forte della Barra di Maracaybo, era però infinitamente migliore di quella montata dal conte di Medina che avevano abbordata col rottame.

Si trattava d’un solido veliero, alto di ponte, armato di dodici pezzi di grosso calibro e quasi nuovo. Doveva aver fatto parte di qualche squadra incaricata di scortare qualche convoglio di navi mercantili od i famosi galeoni, recanti in Europa l’oro estratto dalle ricche miniere del Perù e del Messico.

Probabilmente qualche colpo di vento lo aveva separato dal grosso, costringendolo a cercar rifugio sulle coste venezuelane.

Morgan e Pierre le Picard, accertatisi che la corvetta, contrariamente a quanto avevano supposto, era anche sufficientemente fornita di viveri, deliberarono di richiamare senza ritardo gli uomini che avevano lasciati a terra a guardia dei primi prigionieri e di muovere verso il villaggio dei caraibi per imbarcare la signora di Ventimiglia.

"Tu che hai percorso quel canale comunicante colla laguna, credi che troveremo acqua sufficiente per inoltrarci fino all’aldè di Kumara?"

"Sì, il canale è profondo quanto basta" aveva risposto Pierre.

"Fa dunque ritirare i nostri uomini e portare ai prigionieri alcuni moschetti e dei viveri, onde non muoiano di fame in mezzo alla foresta."

Pierre le Picard stava per obbedire, quando, verso la costa, si udì la voce di Carmaux che gridava:

"Signor Morgan!... Signor Morgan!... Mandate subito una scialuppa!... Presto!... Presto!..."

"Che cosa vuole quel brav’uomo?" si chiese il filibustiere, il quale provò nondimeno un sussulto.

"Otto uomini nella baleniera!..." comandò Pierre. La scialuppa che non era stata innalzata sui paranchi, partì quasi subito montata da otto corsari, dirigendosi frettolosamente là dove Carmaux continuava a gridare:

"Presto, camerati!... Più presto!..."

La baleniera toccò la spiaggia, poi tornò con rapidità fulminea verso la nave, coll’equipaggio aumentato di due uomini.

"Uno è Carmaux di certo" disse Pierre, che si era collocato dietro Morgan. "Chi può essere l’altro?"

Morgan non aveva risposto. Curvo sulla scala, guardava attentamente l’uomo che sedeva presso Carmaux, tentando di ravvisarlo.

Quando la baleniera giunse presso la corvetta, un grido di doloroso stupore sfuggì dalle labbra del filibustiere:

"Don Raffaele!..."

"Il piantatore!..." esclamò Pierre. "Per quale motivo ha lasciato l’aldè dei caraibi?"

Morgan era impallido. Presentiva già una disgrazia.

Il piantatore, quantunque fosse rotondo come una botte e pesante come un piccolo ippopotamo, saliva in fretta, spinto da Carmaux.

"Signor Morgan..." gridò con voce affannosa... "l’hanno rapita... i birbanti..."

"Chi?" urlò il filibustiere, afferrandolo per un braccio e scuotendolo violentemente.

"Lui... il conte... ci ha sorpresi ed ha condotta via la signora di Ventimiglia."

Morgan mandò un urlo come di belva ferita e aveva fatto due passi indietro, portandosi una mano sul cuore. Quell’uomo, ordinariamente così calmo e freddo, era in quel momento così trasfigurato da un dolore intenso, che i suoi uomini, accorsi subito alla notizia che don Raffaele era tornato, ne furono profondamente commossi.

"Udiamo" disse Pierre le Picard. "Spiegatevi meglio, don Raffaele."

Il piantatore narrò meglio che poté quanto era avvenuto nell’aldè dei caraibi dopo la loro partenza, e riferì il colloquio che aveva udito fra il conte di Medina, il capitano Valera e la signora di Ventimiglia.

"A Panama!... La conducono a Panama!..." gridò Morgan, facendo un gesto di disperazione.

Poi, completamente accasciato da quella notizia, si era appoggiato contro la murata, tergendosi nervosamente il sudore freddo che gli bagnava la fronte.

"Tu l’ami, è vero?" gli sussurrò Pierre, avvicinandoglisi.

"Sì" rispose il filibustiere.

"Me n’ero accorto. Che cosa dobbiamo fare per strapparla un’altra volta dalle mani di quel maledetto conte? Tu sai come noi tutti ti amiamo e di che cosa siamo capaci. Speri di poter raggiungere la nave prima che tocchi i porti dell’America Centrale?"

"È quello che tenteremo" rispose Morgan, che riacquistava a poco a poco la sua energia.

"Don Raffaele" disse Pierre. "Siete mai stato a Panama?"

"Vi sono nato, signore" rispose il piantatore.

"Allora conoscete il passo dello Chagres?"

"È il solo che conduce a Panama."

"Vi è una guarnigione colà?"

"Sì, e ce n’è una nell’isola di Santa Caterina, abbastanza numerosa... ma, signore, io, dicendovi ciò, tradisco la mia patria."

"Anche senza le vostre spiegazioni nessuno ci tratterrebbe. Comanda, Morgan. Dove dobbiamo andare, innanzi tutto?" chiese Pierre.

"A bruciare il villaggio dei traditori" rispose Morgan. "Guai se Kumara cadrà nelle mie mani."

"A quest’ora, signore, egli è a Cumana ed il conte sarà salpato per l’America Centrale" disse don Raffaele.

"Ritengo inutile perdere del tempo prezioso" disse Pierre. "Veleggiamo senza ritardo verso la Tortue e là vedremo cosa dovremo fare.

"Non ci mancano né uomini, né navi."

Morgan trasse in disparte il suo luogotenente, dicendogli:

"Giuro su Dio che se non raggiungeremo il conte prima che sbarchi a Chagres, io vi condurrò sotto le mura di Panama."

"Tu mediti una simile impresa!..." esclamò Pierre. "Come vorresti attraversare l’istmo ed espugnare una così grande città, la più popolosa e la meglio fortificata di tutte quelle che posseggono in America gli spagnoli?"

"Eppure mi sento l’animo di condurre a buon fine una simile impresa, che renderebbe maggiormente temuta la filibusteria" disse Morgan.

"Alla Tortue non mancano uomini audaci, pronti a qualsiasi cimento e quanto alle navi, oggi ve ne sono in abbondanza nella nostra isola. Che mi diano mille corsari ed io li condurrò a vedere la regina dell’Oceano Pacifico e darò loro milioni e milioni di piastre."

"Sarebbe meglio per noi poter mettere le nostre zampe sul conte, prima che sbarchi sulle coste dell’istmo!" disse Pierre le Picard. "Se si potesse sapere quale rotta terrà, sarebbe una gran bella cosa."

"Ed in quale modo?"

"Dove supponi che si sia recato colla signora di Ventimiglia?"

"L’avrà condotta nel porto più prossimo."

"A Cumana, allora, che è vicino. Se potessimo mandare là ad informarsi qualcuno dei nostri..."

"L’idea non mi dispiace. Uomini di fegato ne abbiamo finché vogliamo. Ah!..."

"Che cosa vuoi?"

"Don Raffaele che può esserci ancora molto utile."

Si guardò intorno e scorgendo sul cassero il piantatore che chiacchierava con Carmaux e coll’amburghese, lo raggiunse, chiedendogli:

"Aveva cavalli il conte di Medina?"

"Nessuno, signore."

"Dove si è diretto?"

"A Cumana, che è la città più vicina e dove troverà navi in abbondanza, essendo quel porto assai frequentato."

"Conoscete qualcuno laggiù?"

"Sì, un notaio che anni orsono abitava in Maracaybo e che è un po’ mio parente."

"Vorreste recarvi colà assieme a due dei miei uomini?"

"Correrei il rischio di farmi impiccare come traditore."

"La vostra vita mi appartiene e ve l’ho risparmiata già un paio di volte."

"Riflettete, signore, e non dimenticate che io sono uno spagnolo."

"Che sarebbe ben lieto però di vendicarsi del capitano Valera."

"Non lo nego" rispose don Raffaele; "ed è appunto del capitano che io ho paura. Se è ancora a Cumana potrebbe riconoscermi e farmi stringere il collo con una buona cravatta."

"Vi trasformeremo in modo da rendervi irriconoscibile, se lo desiderate, e poi non vi obbligo a mostrarvi al vostro nemico. Non vi chiedo altro che di condurre due dei nostri in quella città e di farli ospitare nella casa del vostro amico. Non desidero altro da voi."

"Non mi comprometteranno i vostri uomini?"

"Non vi daranno alcun fastidio e vi lasceranno libero, dopo che li avrete condotti da quel notaio. Accettate?"

"Farò quello che vorrete" rispose don Raffaele, con un sospiro.

"Seguitemi nel quadro e tu, Pierre, prepara tutto perché all’alba la nave possa salpare senza ritardi."

Mentre stava per scendere nel quadro assieme allo spagnolo, Carmaux e Wan Stiller s’accostarono a Pierre, che si preparava a mandare a terra delle scialuppe, onde far ritornare gli uomini rimasti a guardia dei prigionieri.

"Si parte dunque, signor Pierre?" chiese Carmaux.

"È vero che si va a Panama?"

"Sembra" rispose il filibustiere.

"Benone" disse il francese. "Speriamo questa volta di torcere il collo a quel furfante di conte. Amico Stiller, andiamo a dormire."

Invece però di ritirarsi nella camera comune, si cacciarono sotto il castello di prora che era ingombro di vele e di cordami e trassero da un bugliolo due bottiglie polverose che guardarono amorosamente.

"Beviamo, compare" disse Carmaux "e scacciamo un po’ il malumore. Devono contenere dello Xeres eccellente, avendole prese nella dispensa del capitano spagnolo." Baciò il collo della bottiglia, poi: "Tuoni di Brest!... Perdere ancora la signora di Ventimiglia, quando era ormai nostra!..." esclamò.

"La riprenderemo, compare."

"E quando?"

"Il capitano Morgan è un uomo capace di andare anche a Panama."

"Un’impresa che nessun filibustiere ha mai sognato di tentare."

"La tenterà lui. Bevi, compare."

"Corpo..."

Carmaux si alzò bruscamente alzato, vedendo un’ombra comparire sotto il castello.

"Il capitano!..." aveva esclamato, cercando di nascondere le bottiglie.

"Continua pure a bere, Carmaux" disse Morgan, poiché era lui in persona. "Intanto, rispondi."

"Se posso offrirvi, signor Morgan" disse il francese, con aria imbarazzata.

"Più tardi. Ho altro da fare per il momento."

"Voi sapete, capitano Morgan, che noi siamo i pezzi vecchi della filibusteria, sempre pronti a qualunque sbaraglio."

"È perciò che ho pensato a voi, che siete stati i più fedeli marinai del Corsaro Nero."

"Avete qualche missione da affidarci, capitano Morgan?" chiese Wan Stiller.

"Voi conoscete Chagres?"

"Ci siamo stati, anni or sono, coll’Olonese" rispose Carmaux. "Brutta borgata dove si beve male e si mangia peggio."

"Hai conoscenze laggiù?"

"Sì, signor Morgan, un taverniere basco che mi ha fatto assaggiare del Malaga che poi non ho più bevuto in vita mia."

"Fidato?"

"Eh!... Un basco non è né spagnolo, né francese, sta fra gli uni e gli altri, a seconda che gli conviene. Si chiamava... aspettate, capitano."

"Ribach" disse Wan Stiller.

"Sì, Ribach" ripeté Carmaux.

"Dovrete andarlo a trovare, mentre io alla Tortue organizzerò una poderosa spedizione per attraversare lo stretto e piombare su Panama" disse Morgan.

Carmaux aveva fatto un soprassalto.

"Milioni di cannoni!..." esclamò.

"Io non so ancora se sarà necessario spingersi così lontano ed affrontare i gravi pericoli che presenterà tale impresa. Se però tu e Pierre le Picard giungerete troppo tardi a Chagres per arrestare il conte di Medina, noi marceremo su Panama, parola di Morgan. Sono risoluto tentare tutto pur di riavere la contessa di Ventimiglia, dovessi dare fondo a tutte le mie ricchezze.

"Ho già preso gli accordi opportuni con Pierre le Picard perché mi preceda a Chagres assieme a voi e ad un buon numero di filibustieri. Vi domando ora di rendermi un servizio urgente."

"Sapete, capitano, che noi non rifiutiamo mai, anche quando si tratta di arrischiare la pelle" disse Carmaux.

"Lo so, miei bravi" rispose Morgan. "Siete mai stati a Cumana?"

"Mai, signore."

"Vorrei mandarvi colà assieme a don Raffaele."

"Ci andremo" risposero Carmaux e l’amburghese ad una voce.

"Sapete come gli spagnoli trattano i filibustieri che cadono nelle loro mani."

"Nessuno ignora che tengono sempre in serbo un bel numero di cravatte di canapa per noi" disse Carmaux ridendo. "Ce ne guarderemo, signor Morgan, non datevene pensiero. Diteci invece che cosa dobbiamo fare a Cumana."

"Informarvi della rotta che terrà il conte di Medina, della nave che avrà noleggiata e della sua esatta destinazione."

"Volete possibilmente assalirlo prima che sbarchi nell’America Centrale?"

"Sì, se farò in tempo" rispose Morgan.

"Come andremo a Cumana? A piedi?"

"Colla baleniera che Pierre sta già fornendo di vele e di reti."

"Fingeremo di essere dunque dei pescatori?"

"Sì, cacciati dalla tempesta sulle coste venezuelane. Io verrò ad incrociare fra due giorni dinanzi a quella baia per raccogliervi e non partirò senza avere vostre notizie. Ho fatto collocare nella scialuppa dei razzi, che voi accenderete su qualche punto della costa. Noi saremo pronti ad accorrere."

"Va bene, signor Morgan" risposero i due corsari.

"La baleniera è già in acqua."

Carmaux e Wan Stiller vuotarono i bicchieri, poi si alzarono frettolosamente, scomparendo nella camera comune di prora.