Istorie dello Stato di Urbino/Libro Secondo/Trattato Primo/Capitolo Secondo

Libro Secondo, Trattato Primo, Capitolo Secondo

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CAPITOLO SECONDO.

Della Città di Pesaro, e suoi accidenti, fino al presente.


L
a Città di Pesaro, non meno in questi nostri tempi famosa, che ne gli Antichi superba, & illustre (se prestar fede si deve alle penne de’ più stimati Scrittori, che de’ fatti di lei gloriosi parlarono) situata nell’angolo retto si torva, che fà con l’acque salse l’onde Isaure, à piè della già nel primo Libro descritta pianura, resasi dal medesimo Fiume, e letto, e riva. La qual Cittade (come pregiata Gemma in fin metallo) dalle sue superbe strutture scintillando i raggi, mostra in bell’ordinanza, disposte, adorne, ample, e diritte le vie, ce in simitriaca proportione divide; col Foro si sontuoso, e bello, che da pochi, ò da niuno vien pareggiato altrove, non tanto per le moli grandissime de’ Palagi, e de’ Tempi, che lo spalleggiano; quanto per lavista de’ limpidi, & de’ christallini Fiumi, i quali gorgogliando suonori dentro un pregiato Fonte ivi ne sgorgano, e per l’aria sparsi verso il Cielo ergendosi, increspati al medesimo cadono, & altrove si diffondono. E per difesa de gli habitatori, si come viene di fosse, di baluardi, di mura, e di terrapieni benissimo circondata cosi da grossi presidij, con occhio paternamente geloso, è custodita. Trovandosi Pesaro (da che fù primieramente fondato) nel luogo apnto, ove al presente si vede (quantunque altrimente con falsi inchiostri n’habbia scritto Procero) viene da Marco Tullio, e da Tito Livio dentro i [p. 90 modifica]campi Gallici posto, da cui non discordarono Plinio, Augusto, e Mela; se bene con altro nome chiamino il paese. E se altri diversamente pensando, chiamarono questa Città, Città dell’Umbria; essendo ignari della Cosmografia moderna, han preso equivoco. Mà per non allungare il Discorso in frase inutili, solo per acquetarli, servirommi dell’argomento autorevole di Giovanni XXII. Pontefice Romano, il quale in un Breve, che scrisse al Barone Ondadeo de gl’Ondadei da Avignone à Pesaro, che nell’originale suo conservasi nelle mani di Giovanni Ondadei successore di quello, tanto nel sangue come ne i meriti eccelsi, che per li sentieri della gloria lo portarono all’honore non solo di Consegliero di Stato, appesso Francesco Maria della Rovere ultimo Duca di Urbino; mà etiandio al favore della di lui privanza, chiama Pesaro Città della Marca, in queste parole: Provinciæ nostræ Marchiæ Anconitanæ, in qua dicta Civitas situata fore dinoscitur. Onde se non mente questo Pontefice (come non si concede,) resta la detta Città dentro i confini della Marca, & gli suoi Cittadini, con giusto titolo Marcheggiani s’appellano. Mà più assai, che nel sito, sopra i Fondatori della medesima gli Scrittori discordano: peròche Mileto vuole, che li Romani edificasserla, e con Modona, e Parma in Colonia la deducessero: Et à lui apponendosi Licinio Garo, attesta che Tresemio Anio Umbrio, nell’Anno quarantesimo dell’espulsione de i Re da Roma, fosse della medesima il fondatore. Mà poi ad ambi contradicendo Gabino Leto, per certo vuole, che il famoso Piceno Pisonio Fano, insieme con Fano l’edificasse; lasciando à questo, & à quello nome con il cognome uniti. Altri vogliono che i Pisci, fieri popoli della Grecia, inondando per queste campagne, quivi per loro habitatione l’ergessero; si come nell’Etruria fabricarono Pisa. Salvadore de' Salvadori, Dottore, e Scrittor egregio, de’ nostri tempi, nelle Notitie Historiche, (le quali molto eruditamente di questa sua Patria scrisse) accenna, che in quella Contrada sia traditione d’Antichi, fosse Pesaro, con Rimino, da i Compagni edificato di Hercole, & che col Fiume, che lo bagna, dal famoso Tempio in honore della Dea iside, in quelle sponde fondato, habbiane tratto il nome, come anco che da un’Idolo d’oro della medesima Dea, che ivi si adorava, e l’uno, e l’altro Isis Aureum venga chiamato. A tal opinione (come d’ogni altra più probabile) io adherisco, e di sicuro tengo, questa Cittade, altre volte col fiume detto isauro, dal figlio d’Osiride, e della Dea sudetta havere gli suoi principij havuto nell’istesso tempo, che gli suoi Compagni edificarono Rimino. Et à creder questo, non meno mi persuade l’antico nome di essa, medesimo (come dicemmo) à quello della Dea sua Genitrice; quanto il testimonio dell’antichissimo Beroso Babilonico, che nel quinto libro dell’antichitadi, apertamente scrisse, il Libico Hercole havere in questa Regione molte Città [p. 91 modifica]fondate, quelle dal suo Nome, ò Cognome appellando, in tal tenore scrivendone; in Italia decem Annis apud illos pacificè regnavit, multaque illis Oppida à suo nomine, & à suo cognomine Musarna, sicut Gedrosiae, & Carmaniae fundavit, & locis aquis impedita, habitationi hominum commoda fecit. Da onde s’inferisce, che trà i molti luoghi, in questa Regione edificati da Hercole, uno fosse Rimino, & che poi dalla vista di sì amene pianure invitato, in questo luogo edificasse Pesaro, à cui donasse col fiume della sua Madre il nome: per lo che nei secoli primieri fù detto Isauro; se bene dal P, che nel principio della dittione aggionse il volgo, poscia da Latini Pisaurum fù nomato; E da più moderni corrotta anche la Dittione Latina Pesaro communemente nell’Italia si noma. Da questo breve discorso, chi legge può raccogliere, gareggiar Pesaro d’antichità con qualsivoglia più antico luogo d’Europa; havendo egli dentro à quel terreno gli suoi stabilimenti havuti, circa l’Anno dall’acque del Diluvio 591. che fu avanti l’edificatione di Roma 963. e prima del parto della Vergine 1720. Fù questa Città gran tempo da gli suoi fondatori Egitij posseduta; mà poi da Piceni cacciati, credesi, che da medesimi sino alla venuta de i Pelasgi habitata fosse, da cui tiensi di certo per l’attestationi, che fanno le materie antiche, passasse in man de gli Umbri, & che da quelli, con le duecento, e novantanuove Città venisse in poter de’ Toscani, i quali più d’ogn’altro nobilitaronla, per la fede, che n’apportarono i pretiosi rottami, che sotto il terreno frà quel recinto giornalmente si scuoprono. Sconfitti poscia questi da i Celti, con la Contrada insieme, sotto il Dominio transitò de’ Senoni: Onde più di trecent’Anni senza popoli rimanendo, per le folte piante silvestri, allignanti frà quelle gloriose rovine imboscossi. Da cui parimente i Senoni cacciati, fù per l’industria de’ generosi Romani sviluppata, e con maggior bellezza edificata di nuovo. Crescendo poi nelle Provincie Galliche il Romano Impero, da’ Pretori à nome di quella Republica (à riferir del Segonio) governata venne: & accioche dalla parte di questi mari divenisse maestosa, nel più bel mezzo di essa v’indrizzaron la Via Flaminia, & appresso à quei Magnanimi Prencipi, per la fertilità del terreno in riputatione crescendo, fù dai medesimi in forma di Colonia, in diversi tempi dedotta; E la prima volta, che questo (al favellar di Livio, nel nono Libro della quarta Deca; e di Vellio nel primo) successe, l’Anno di Roma 566. per ordine di Claudio Pulcro, & di Portio Licinio Consoli, nella divisione del Territorio, à ciascheduna famiglia, Iugeri sei di terra si concessero; E toccato essendo à gli Accij quel Monte, che dalla parte dell’Occaso la Cittade ombreggia, da quelli sortendo il nome, Accio sempre nomossi, per fino all’Anno del Signore 1469. Sopra il cui dorso, havendo in quei giorni Alessandro Sforza, in honor [p. 92 modifica]di Federico Terzo Imperatore, un sontuoso Palagio edificato, quello col Monte volle che Imperial si nomasse. Diece Anni dopò, che de’ Romani famosi nobil Colonia divenne, fù pur (al riferir di Livio) da Q. Fabio, & da Aulo Posthumio Censori pomposamente ornata, & arricchita di fabriche; specialmente d’un Tempio superbo, in capo al Foro, à Giove Massimo consacrato, sopra le cui rovine hoggi stà il celebre Tempio del Patriarca Domenico Santo, con parte di quel Monastero fondato. L’Anno di Roma 701. passato havendo Cesare il Rubicone, & occupato Rimino, prese anche Pesaro con Fano, ed’Ancona (secondo che egli medesimo ne’ gli suoi Commentarij attesta) e M. Tullio nelle Famigliari lettere al suo Tirone, aggiunge, che à P. Vatinio suo confidente il dasse in custodia; e per quei Cittadini affettionarsi, honorò questa Città, col titolo di Colonia Giulia felice, come in un marmo lessi, che hoggi ne i portici del Palazzo conservasi di quel Publico, di cui vien l’inscrittione da Salvadore, nelle sue Notitie Historiche dichiarata. L’ultima volta ch’ella di Colonia godè gli honori, successe (al ragionar di Plutarco nella Vita di Marco Antonio) dopò il caso di Cesare, dal quale anche si hà, che avanti la guerra navale di Attio, dove fù il sudetto Marc’Antonio sconfitto, ivi un terremoto si spaventoso venisse, che dalla terra tutto ingoiato restasse, additando per questo prodigio i Dei, del sudetto Marc’Antonio, & di Cleopatra la total rovina. Ben che Plutarco in questo sia singolare, non perciò consento, ch’egli del tutto sia stato mendace: perche il Cielo, come à questa Città favorevole, altre volte hà presagito in essa gl’infausti eventi della Romana Repubblica; specialmente al tempo di Gneo Cornelio, & di P. Licinio Consoli, poco avanti, che delle discordie civili uscissero i preludi, à riferire di Giulio Ossequente, de prodig cap 461. perche non solo della medesima ruinarono dalla parte superiore i muri, mà nella meza notte à gli suoi habitatori, un nuovo Sole, non meno splendente, che l’ordinario, comparve: Onde, se qualche edificio di quella, stato non fosse dal terreno assorto, Plutarco Scrittore veridico, non l’haverebbe per celeste prodigio, pubblicato. Estinto Marc’Antonio Signore di Pesaro, questo passò all’obedienza di Ottaviano Augusto, dalla cui benignità, favori eccessivi ricevettero i Cittadini, come le penne attestano di Pomponio Mela, e di Marco Vitruvio, che di quel glorioso Imperatore osservarono i fatti. Anzi le rovine di mille superbissimi edificij l’insegnano, ritrovandosi sotto à questo terreno statue di bronzo, e di pario marmo, che Dei, ed huomini famosi rappresentano; parimente Archi, Colonne, co i piedistalli, capitelli, ed Architravi, con magistero sommo, al modo Ionico, Corinto, Dorico, e Tosco lavorati: Acquedutti d’incredibile spesa, come infiniti fragmenti d’Altari, d’Idoli, e di pretiosi vasi, che di gran Tempij additano esere stati in uso; & altre somi [p. 93 modifica]glianti cose, che in uno l’antichità, e la grandezza di Pesaro testificando, quasi ridutte in cenere, di esso con mutola facondia, involte nel silentio, ragionano. Et assai più di queste lo dimostran le pietre; mentre da lor caratteri si raccoglie, che quivi furono i Pontefici, i Flamini, gli Auguri, gli Epuloni, e tutto l’ordine del Sacerdotio Romano. Come anche i Decurioni, i Consoli, i Prefetti, i Tribuni de’ Soldati, e dell’armate, con tutti gli Magistrati, che in quella età primiera, in una ben governata Città si trovavano.

Si godè Pesaro, sotto l’Impero d’Augusto quella grand’abbondanza di pace, che fù à tutto il Mondo commune. Indi questo Imperatore mancato, sotto il Dominio passò di Tiberio, e di mano in mano sotto la Signoria d’ogni altro, che tenne del Mondo l’Impero, sino ad Honorio, à i Decreti de’ quali sempre ubediente si rese, purche dalla commune salute non fossero deviati: peròche, questi come ingiusti, ed empij, sprezzando, con sommo ardor, e costanza abbracciò di Christo la vera fè col Battesimo: La onde avenne, che molti de gli suoi Cittadini, nella primitiva Chiesa questa verità protestando, co’l Martirio loro detta Città illustrarono, e cosi dal proprio sangue lavati di palme adorni, e della stola purissima del mansueto Agnello coperti, quai purissimi Cigni saliron al Cielo; singolarmente l’inclito Martire Terentio, l’Anno di Christo 247. E dopò esso i due germani Recentio Vescovo, e Germano Diacono, i quali havuto havendo nella gran Bretagna, da una stessa Madre in Terra i natali, più che Madre pietosa nutrilli Pesaro, con alimenti eterni. Destrutto Masenzo, e tutti gli altri dal Magno Costantino, i quali con titolo regnavano d’Imperatore: questa con altre Città passò col dono in Dominio de i Romani Pontefici, à quali, con indicibile divotione ubediente si rese; ne senza mai la dovuta riverenza lasciare, perseverovi, de gli suoi Cittadini, con incredibil contento, sino all’inondatione de i Barbari Settentrionali, da’ quali con infinite scorrerie afflitta, fù al loro Impero Barbaro soggiogata: e dal crudel Vetigi ridotta finalmente in cenere (come racconta Procopio nel terzo libro de bello Gotico) benche Belisario di Giustiniano Imperatore Capitan Generale, di repente occupato quel sito, adonta di Totila, che con tanto sforzo s’oppose, la riedificasse, & di un grosso numero di brava gente, sotto il commando d’Artabase, la presidiasse (al riferir d’Agathias de bello Gotico) il qual’essendo Capitan valoroso l’Anno 544. vedendo, che Leuthese Gallo, con infiniti armati della natione, trionfante ritornando in Gallia dalla saccheggiata Italia, dava senza discrettione al Territorio Pesarese il guasto, con tal’ordinanza incontrollo, che tosto di quello scompigliate le schiere, à vergognosa fuga lo spinse; necessitandolo lasciare à i vincitori le spoglie, con gli prigionieri d’Italia, per non rimaner esso de’ Pesaresi captivo. [p. 94 modifica]Riposò molti Anni questa nuova Città sotto il Dominio Greco, da gli Essarchi retta, che’l seggio in Ravenna tenevano; Indi fù connumerata frà le Pentapoli di questa Regione: Mà l’Anno 726. per la disubidienza d’Isaurico al Sommo Pontefice Gregorio Secondo, questa Città come Cattolica, i lacci delle fulminate censure abhorrendo, da quel Dominio levossi, & in libertà si ripose: mà non potendo con le proprie forze da gli empiti de gli mostruosi Tiranni mantenersi; ella con l’altre Pentapoli, l’Anno seguente, da Luitprando Rè de’ Longobardi occupata venne; dalle cui mani, da gli Essarchi ricuperata, rimase à quelli con giusta ragione soggetta. Mà d’Aistolfo poi cacciato Eustachio, per se medesima in poter de’ Longobardi tornossi, à quali (dopò tre Anni) da Pipino Rè di Francia, con l’altre Pentapoli fù ritolta, & alla Chiesa resa, sotto il Ponteficato di Stefano: alqual con tanto ardore di spirito ubbidiro quei Cittadini, che non solo fecero testa, con incredibil coraggio, à i fieri assalti di Desiderio successore d’Aistulfo, l’Anno 772. Mà l’Anno seguente, contro di lui, dinari, e genti alla difesa mandarono d’Adriano Pontefice, che con questo Re fraudolente, haveva infiniti litigi. Perseveraro con la solita obedienza in questa divotione i Pesaresi, sin’all’Anno 1106. nel qual tempo volendo haver la sopraintendenza d’Italia Enrico Quarto Imperatore Tedesco, eglino in libertà si riposero; da Magistrati, con le proprie Leggi corretta. Bramoso Rugiero Viscardo di questa Repubblica impadronirsi, l’Anno 1137. cercò di occuparla: Mà da Lottario Secondo Imperatore francamente difesa, riusciron di quegli i disegni vani, & acciò che la sua partita non fosse dal medesimo nuovamente invasa, caldamente ad Innocentio Secondo, all’hora di Roma Pontefice, raccomandolla. Tre Anni essendo à pena scorsi, dopò che da Rugiero liberossi; i Cittadini contro Fanesi, per cagione de’ confini sdegnati; co i Ravennati, e con i Sinigagliesi collegandosi, la Città loro assediarono in guisa, che quando stata non fosse dall’armata Navale de’ Venetiani, che all’improviso comparve in quei lidi, soccorsa, infallibilmente ne divenivan padroni, come ne scrisse Pietro Marcelli, nella Vita de i Veneti Duci. Al tempo, che Federico Barbarossa perseguitava la Chiesa, questa mai sempre, all’empio Tiranno s’oppose, tenendolo coraggiosamente dalle sue mura lontano: per lo che acquistossi unitamente il nome di Guelfa, e di principal Propugnacolo, & Antemurale della Cattolica Fede. Et perche tale nell’avvenire si tenesse, fù da Innocenzo Terzo, e dal buon’Ottone Imperatore, l’Anno di nostra Salute 1210. data in governo ad Aldobrandino da Este, singolar difensore della santissima Sede; à cui nel governo, Azio Quinto successe, figlio di Azio Quarto Marchese di Ancona, l’Anno 1216. la quale se ben dall’anatema Federico Secondo Imperatore scacciato ne [p. 95 modifica]fosse, alla medesima casa nondimeno, da Honorio Terzo Pontefice, con molta benignitade fu resa. Per lo che dalla sceleraggine di Federico sudetto la medema Città malignata, dopò haver dall’armi sue longa molestia sofferto, necessitata venne di cedendo alla di lui potenza, nelle sue mani cadere, l’Anno 1241. da cui mancò poco non venisse destrutta. Federico poi morto, in mano di Manfredo herede suo cadette, ilqual parimente estinto l’Anno 1265. dopò infinite rivolte transitò alla Chiesa, nel Pontificato regnante Clemente Quarto, dalquale data in governo à Giovanni Sciancato figliuolo di Malatesta da Verrucchio, fù da quello come da Padrone supremo, non meno, che dal Padre, fù Rimino, signoreggiata: Onde perciò di essa i Cittadini della parte Ghibellina sdegnati, levato dal governo, della Cittade il cacciorno, quelli pigliandone l’assoluto Dominio: da cui ne furono in breve privati anch’eglino da Celestino Quinto, prima che renunciasse il Papato, l’Anno 1264. e dal medesimo resa benignamente à Giovanni sudetto; dopò la cui morte fù con tirannide occupata l’Anno 1304. dal Malatesta Pandolfo: E dopò due Anni questo co’ gli suoi adherenti da Cittadini cacciato, all’obedienza tornò alla Chiesa, sotto il cui governo sino all’Anno trattennesi 1318. Mà di quella i Cittadini, essendo in questi giorni astretti dall’armi di Lodovico Bavaro, per non cedere la libertà loro à quest’empio scismatico, di nuovo il sudetto Pandolfo à quella Signoria chiamorno; il quale non men per lo suo gran valore, che con l’aiuto di Giovanni Vigesimosecondo, costantemente la difese; & nel Dominio suo si trattenne per sin’all’Anno 1326. Et essendo Pandolfo mosso co’ Pesaresi per acquistar Urbino, che seguitando la fattion Ghibellina s’era in aperto de’ Sommi Pontefici dichiarato nemico, fù da quelle mura scacciato; & essendo quei Difensori soccorsi da suoi partiali Toscani, fecero de’ Pesaresi crudelissima strage: indi la vittoria seguendo, in Pesaro si portarono; il quale sproveduto mirando, l’occuparono tosto, e nel dar principio al sacco, da i Cittadini rimasti con tal’empito, e valore furono ributtati, che pochi di essi alla Patria tornarono, in modo che non fù possibile trovare, se maggior fosse in Urbino de’ Pesaresi il numero, ò de gli Urbinati restati morti in Pesaro. A questa Signoria successero Malatesta, e Galeotto, del defonto Pandolfo, e figli, & heredi; i quali habitando in Rimino, Pandolfo di Malatesta figlio, e del vecchio Pandolfo nipote (come d’ambi Vicario) reggeva Pesaro. Mà fattisi questi due fratelli potenti; cresciuto havendo sopra molte Città, e Terre della Chiesa il lor Dominio titannico, adherirono, per ispogliati non essere, à Lodovico Bavaro, dal quale come di tutto il mal’acquistato dichiarati Vicarij, si tennero falsamente legitimi possessori. Venuto poi d’Avignone il Cardinal Carilla, Legato d’Innocenzo Sesto Pontefice, questi fieri Tiranni sconfisse, ponendo Galeotto in carcere; [p. 96 modifica]carcere; à cui poscia (pentito) fù col perdono, la bacchetta del Generalato di Santa Chiesa donato; il quale in ogni impresa deportandosi da Generoso Campione, per merito delle sue fatiche, fù col suo fratello, e nipote sudetti dal Sommo Pontefice investito della Signoria di Pesaro, di Rimino, di Fano, e di Fossambrone: si che per l’innanzi di questi luoghi furono i Malatesti legitimi possessori, stati essendone per l’adietro fieri Tiranni, come racconta Pio Secondo nel libro decimo de gli suoi Commentarij. Morti poscia i sopradetti Malatesti fratelli, l’Anno 1364. Pandolfo restò di loro legitimo successore nella Signoria dello Stato; & essendo Prencipe di gran valore, fù sempre da Pesaresi con supremi honori benignamente servito, & la sua morte, che seguì l’Anno 1373. venne universalmente da tutti celebrata con pianto; A questi nel valore, e nel Dominio, Malatesta suo germano fratello d’Anni 33. successe. Quindi co’ gli suoi meriti; alla degna carica di Romano Senatore portossi, e con le sue attioni Heroiche, credito grande à se medesimo, & à suoi figli accrebbe, che furono quattro, cioè, Galeazzo, Galeotto, Pandolfo, e Carlo, i quali tutti volle, che ugualmente regnassero, e delli sudditi sentendo le cause, ministrassero la giustitia. Mà deviando questi dai paterni sentieri, contro ogni aspettatione riuscirono crudeli Tiranni: Onde da i popoli furono meritamente dalla Signoria cacciati; benche dopò infiniti travagli, e desperate guerre, Galeazzo à questa Signoria venisse finalmente rimesso. Mà parendo à lui non potervi, per le continue molestie durare, che da Gismondo Nipote suo, e Signore di Rimino haveva, per le pretensioni di quello, sopra la detta Cittade; à persuasione di Federico Feltrio Duca d’Urbino, spogliossi volontariamente di essa, concedendola in dote à Costanza Varana sua nipote, che ad Alessandro Sforza maritossi: Onde fine hebbe da quì la Signoria de i Malatesti in Pesaro, sotto cui, da Giovanni Sciancato sino à Galeazzo stette, intorno à centocinquant’Anni. Vedendo Alessandro, che fù figliuolo di Mutio Attendolo, come nella Marca le cose di Francesco Sforza suo fratello cadevano; dall’armi di Eugenio Quarto intimorito, in mano del suo Legato ponendolo, con tutti gli suoi n’usci: mà con l’aiuto de’ Venetiani risorgendo Francesco, e seco repacificandosi, à forza d’armi tutto questo Dominio da Gradara in fuora, che da Gismondo, sotto nome del Pontefice tenevasi occupò, e ve lo ripose. Agiustatosi con la Sede Apostolica il sudetto Francesco, e dalla Marca per Milano partito; Gismondo tentò con l’armi questa Città ricuperare, per le ragioni antiche de gli suoi Antenati pretendendola sua; mà da’ Milanesi Alessandro soccorso, da queste gravi cure liberossi tosto, come parimente dalle molestie intrinseche, che qual cruda lima nella sinderesi, come non legitimo possessore, le rodevan la mente: Per lo che da Nicolò Quinto Sommo [p. 97 modifica]Pontefice procurò l’investitura di essa, e benignamente l’ottenne. Dunque trovandosi questo generoso Prencipe, di sì nobil Dominio legitimo Possessore, tutti gli suoi pensieri applicò, sì dentro, come fuori al beneficio publico; in modo che Pesaro chiamossi, con meritati encomi Giardino d’Italia. Mancato poi, con doglia infinita de’ sudditi l’Anno 1473. à lui successe Costanzo suo generoso figlio, che spinto dall’attioni paterne, il secondo Anno del suo Governo, diede à quel superbissimo Castello principio, che al lato giace della Città, frà l’Oriente, e Borea, sopra l’Adriatiche onde, il qual desiderando egli che facesse al tempo scorno, nel gettare à gli suoi fondamenti le prime pietre, osservò del Cielo i moti e de’ Pianeti gli benigni aspetti: Onde (se il vero Francesco Giuntino, e Luca Gaurico riferiscono, che l’Astrologica figura ne formarono) volle che il Leone Celeste, ove raccoglie il Regolo, Oroscopasse; che à punto correva l’Anno 1474. lì 2. di Giugno ad hore 21. e min. 17. dopò il mezo giorno: e facendo sopra questo punto discorso il citato Gaurico, ne parla così: Castellum Pisauri inexpugnabile, factum fuit, & munitum ab Illustrissimo, & doctissimo Ioanne Sfortiade; & post eius interitum, iure optimo, sub Dominio Ducis Urbini, & filiorum, atque nepotum fuit. Dopò la morte di questo Prencipe, che fù l’Anno 1483. non havendo lasciati legitimi successori, prese la Signoria Giovanni suo figliuolo naturale; da cui l’Anno 1500. sotto debil protestone fù da Alessandro Papa Sesto privato, & à Cesare Borgia conferita. Mà questo havendola trè Anni solamente goduta, per forza cacciato, à Giovanni sudetto fù restituita; ove in pace il rimanente della sua vita regnovvi, à cui pose glorioso termine l’Anno 1510. E restandoli solo un figliuol bambino di cinque mesi, chiamato Costanzo, raccomandollo, col Prencipato à Galeazzo fratello suo naturale, il quale fedelmente portossi; tanto nel governo de’ popoli, come nell’education del Bambino, amandolo più che figlio: mà questo mancando l’Anno 1512. Galeazzo fù dalla Signoria, dal Sommo Pontefice Giulio Secondo levato; il quale da Pesaro partendo, fù per lungo tratto, da tutto il popolo Pesarese, con amare lagrime accompagnato; non potendosi consolar per la perdita di sì pietoso, e giustissimo Prencipe, con estinguersi sopra di questa Città la tanto bramata Signoria de gli Sforzeschi, i quali con rettitudine incredibile, per lo corso di tant’Anni governata l’havevano. Per la partita di Galeazzo da Pesaro, questa Città ritornò alla Chiesa, sotto cui solamente sei mesi fermossi, rivestendone il sudetto Pontefice l’istesso Anno 1512. Francesco Maria figlio di Giovanni della Rovere, che fù di Sisto Quarto nipote, con tutti gli suoi discendenti nella linea mascolina, in perpetuo, con patto che ogni Anno alla Camera Apostolica pagasse una tazza d’argento d’una libra. Benche questo Prencipe, [p. 98 modifica]l’Anno 1515. da Papa Leone Decimo cacciato ne fosse, affinche à Lorenzino de’ Medici la Città cadesse, con tutto lo Stato d’Urbino; morto finalmente il Pontefice l’Anno 1521. fù alla Signoria da i Pesaresi richiamato, nella quale da Adriano Sesto benignamente, co’ gli successori, per sino alla terza generatione venne confermato. Mancando questo invitto Prencipe l’Anno 1538. successe à lui Guido Ubaldo suo primo genito figlio, il quale dopò la morte di Giulia Varana sua primiera Moglie, passando alle seconde Nozze, sposò Vittoria Farnese, di Paolo Terzo nipote; da cui più ampla investitura, sopra il Dominio di questa Città ottenne, l’Anno 1548. Quindi affetionandosi à lei, più che all’altre del suo Stato, non solo volle farvi la residenza, mà di più cingere la fece di fortissime mura, secondo l’uso delle fortificationi moderne; & accrescendola di fabriche sontuose, con ordine di Architettura mirabilmente disposte, resa l’ha, frà l’altre più belle d’Italia, famosa. Dopò la morte di questi, che fù l’Anno 1574. prese la Signoria del Ducato d’Urbino, e di Pesaro Francesco Maria Secondo unico figliuol suo in linea masculina, il quale per non lasciare senza successori lo Stato, havuto non havendo prole da Lucretia, che fù sorella di Alfonso da Este Duca di Ferrara, dopò lei sposò l’Anno 1599. Livia figlia d’Hippolito della Rovere Marchese di S. Lorenzo, essendo quella Giovinetta di tredici Anni; da cui l’Anno 1605. li 16. di Maggio hebbe un figlio, che chiamò Federico Ubaldo, il qual’havendo sposata l’Anno 1621. Claudia figlia di Ferdinando de’ Medici gran Duca di Toscana, da lei generò solo una figlia, la qual chiamarono Vittoria, che hoggi parimente da Cosmo de’ Medici sposata, con esso unitamente regna. Morì questo Prencipe d’apoplesia in Urbino, l’Anno 1623. lì 28. di Luglio: (benche altri dicessero di veleno) iquali senza fallo ingannati si sono; perche sendo io presente, mentre della sua morte cercavasi la cagione da’ Medici, non si scoprì dell’accennata morte indicio alcuno. Mancò Francesco Maria d’Anni, e di fastidi aggravato, l’Anno 1631. in Castel Durante nel mese d’Aprile, con doglia universale di tutto lo Stato; vedendosi privo dell’ombra tanto gloriosa, e desiata della Rovere, che dai Mari di Liguria, alle rive del Metauro trapiantata, tanto nei Senoni allargò gli suoi rami. Mancato quest’ultimo Duca, si come ritornò alla Chiesa tutto lo Stato d’Urbino, così Pesaro fù il primo ad acclamarla per sovrana Signora, & à prestarle il giuramento di fedeltà; in quei giorni trovandosi Lorenzo Campeggi in Pesaro, che del medemo Stato era per il defonto Duca Governatore. Altro direi di questa Illustre Città, quando Salvadore, con le sue Notitie non mi havesse tolto la fatica di favellarne. Onde à lui rimettendomi finisco il Discorso.